Let’s Play – Il Festival del Videogioco
Potrebbe sembrare un azzardo parlare del videogioco in senso culturale, economico e sociale, dato che secondo un’idea diffusa esso non è che un semplice mezzo di intrattenimento rivolto soprattutto a un pubblico giovanile. Eppure, grazie a un’enorme crescita che ha coinvolto l’industria videoludica negli ultimi dieci anni, questa visione sta gradualmente scomparendo. Persino in Italia, dove ancora il videogioco è spesso usato come capro espiatorio nei casi di cronaca nera, l’aria sta cambiando.
La dimostrazione più recente è stato il Let’s Play – Il Festival del Videogioco, evento tenutosi a Roma dal 15 al 19 marzo interamente dedicato al mezzo videoludico e a tutte le sue potenzialità. Un concetto evidenziato dalla molteplicità di partecipanti che sono stati coinvolti: un pubblico fatto di oltre 30.000 appassionati ha infatti avuto l’opportunità di confrontarsi e avere un’esperienza diretta con sviluppatori, publisher, membri delle Istituzioni, ma anche registi, giornalisti, critici del settore e YouTubers.
Videogioco come espressione culturale
Un evento fatto di personalità eterogenee, con lo scopo di mostrare la stessa eterogeneità che caratterizza la natura del videogioco. Nel corso dei cinque giorni si sono tenuti numerosi panel e workshop dedicati al ruolo del mezzo videoludico in ambiti apparentemente estranei, come la didattica, il business e il cinema. A tal proposito è stato interessante il Cinema Talk con Sydney Sibilia, giovane regista salernitano di Smetto quando voglio, e del più recente Smetto quando voglio Masterclass.
L’autore ha infatti raccontato la sua esperienza nel mondo dei videogiochi, partendo dall’incontro da bambino con Monkey Island, che per lui è da ritenere come precursore del blockbuster hollywoodiano Pirati dei Caraibi per lo stile ironico e sfacciato con cui vengono rappresentati i corsari. Crescendo si è poi approcciato a titoli più seriosi in cui però la componente narrativa rimane molto forte, come Metal Gear Solid. E adesso in età adulta ha avuto la possibilità di toccare con mano i grossi passi avanti compiuti dai videogiochi a livello di regia, fotografia e sceneggiatura giocando a Uncharted 4.
Attraverso il dibattito incentrato sul rapporto tra Sibilia e i videogiochi, si è puntato l’accento sul carattere multimediale di questi ultimi. Infatti il videogioco accorpa e rimedia i codici linguistici di espressioni mediali e artistiche – dalla letteratura alla musica, dal cinema alla televisione, dal fumetto al teatro (M. Bittanti, 2008). Ed è un miscuglio di linguaggi che avviene in più sensi. Ciò risulta evidente nel paragone fatto durante il Talk tra una scena di Smetto quando voglio Masterclass e una missione di GTA V.
Videogioco come forma più pura
Non solo dibattiti e incontri, il Let’s Play è stata anche la celebrazione del videogioco nella sua forma più pura. La presenza di sezioni dedicate al retrogaming e ai publisher ha dato la possibilità di spaziare tra i grandi titoli in anteprima come Little Nightmares e Tekken 7 presso lo stand Bandai Namco, ma anche i maggiori successi videoludici adatti sia per il pubblico adulto che più giovane, passando da titoli come Horizon Zero Dawn e For Honor, a Overwatch e Lego Dimensions, giusto per citare qualche nome. Altro aspetto interessante è stata la possibilità di provare le ultime novità tecnologiche tra le quali Nintendo Switch e PlayStation VR, quest’ultimo utilizzato su Gran Turismo Sport.
Accanto ai grandi nomi, anche tanto Made in Italy, rappresentato dalle eccellenze videoludiche del nostro paese, come gli Invader Studio con il loro Daymare 1998, titolo appartenente al filone dei vecchi Resident Evil, o LKA e il loro piccolo ma profondo Town of Light, un horror psicologico ambientato nell’ex-manicomio di Volterra.
Tra le curiosità più particolari, ha spiccato sicuramente Ray Bibbia, titolo di Morbidware che ha sorpreso il nostro Francesco Paternesi, il quale ha provato il gioco ed è rimasto colpito dal gameplay tanto geniale quanto estremamente infame. Nei panni di un prete esorcista, bisogna farsi strada nei vari quartieri di Roma, affrontando minacce demoniache e non, armati soltanto della fidata Bibbia e delle formule rituali per combattere il male.
Le formule tuttavia andranno digitate sulla tastiera, come accade nei typing game, una cosa tutto sommato semplice se non fosse che Ray Bibbia è anche un bullet hell: è necessario muoversi e digitare le formule portando il gioco a ritmi davvero forsennati, rendendo l’intera esperienza faticosa in tutti i sensi. Parlando anche con i responsabili, Gabriele Niola e Matteo Corradini, il gioco proporrà una sfida elettrizzante sfruttando anche delle componenti investigative, sfruttate come intermezzo tra i vari livelli anche per narrare la storia del gioco.
Ray Bibbia può essere preso come uno dei tanti esempi di come la scena dello sviluppo indipendente non smetta di crescere, ma soprattutto di come l’indie gaming riesca a rielaborare e, letteralmente, giocare con i generi videoludici per creare sempre qualcosa di nuovo.
Videogioco come celebrazione
Il momento più emozionante del Let’s Play è stata la cerimonia del Premio Drago d’Oro, una premiazione tutta italiana dedicata ai migliori titoli dell’anno trascorso, giunta ormai alla quinta edizione. Video di approfondimento, umorismo e scambi di battute tra Rocco Tanica e Lucilla Agosti, conduttori della serata, hanno intervallato le varie premiazioni.
Novità di quest’anno è stata la partecipazione di due ospiti internazionali molto importanti nell’industria videoludica. Fumito Ueda, autore di perle poetiche come Ico, Shadow of The Colossus e il recente The Last Guardian, ha ritirato il premio alla carriera, mentre il game designer Hajime Tabata ha ricevuto il premio per il miglior gioco dell’anno con Final Fantasy XV. Entrambi sono stati accolti dalla standing ovation degli ospiti. Un momento unico che ha unito industria, stampa e appassionati, in una vera e propria esaltazione del videogioco.