La Tempesta perfetta
Questo è un articolo un po’ anomalo, un po’ scomodo, un articolo che spero faccia aprire gli occhi a qualcuno. E’ al contempo l’espressione della mia ammirazione per il colossale marketing Blizzard e al contempo l’esternazione dell’odio che provo per chi strumentalizza in questo modo il mondo dei videogiochi e il concetto di qualità.
Partiamo dai fatti: Blizzard è, al giorno d’oggi, una delle Software House occidentali più rilevanti, grazie alla fusione alla pari con Activision. Con una storia quasi ventennale alle spalle, fatta di grandi titoli, può indubbiamente vantarsi di aver lasciato un segno nella storia dei videogiochi. Diablo, Starcraft e Warcraft sono i tre brand che, negli ultimi 14 anni di attività, hanno costituito il 100% della produzione Blizzard. Se vi siete svegliati adesso, dopo 14 anni di sonno criogenico, potrebbe sembrarvi strano ed impossibile questo enorme successo con soli 5 titoli fatti su 3 ambientazioni differenti. Alla fine di questo articolo, questo fatto risulterà molto chiaro e logico.
Dov’è quindi il trucco? E’ semplice: Blizzard, da almeno una decina d’anni, dedica uno sforzo per sviluppare il gioco pari all’impegno per venderlo. La vera rivoluzione che Blizzard ha saputo condurre veramente bene è stata la trasformazione di prodotti di nicchia in prodotti rivolti ad un grande pubblico, anche snaturandoli. Il "fattore Blizzard" non è stato fare quello che tutti han sempre fatto: creare giochi semplici e costruirci intorno la pubblicità, strategia adottata da Nintendo dall’alba dei tempi, bensì attuare una fidelizzazione estrema del giocatore tramite tantissimi fattori che andremo ora ad analizzare, senza stare a filosofeggiare troppo.
Sidney Pardo, Vice Presidente di Blizzard. Sullo sfondo il padre Rob.
1-Semplità di utilizzo vs Illusione di difficoltà
I prodotti Blizzard, se si chiede ad un fan, sono sempre difficili, impegnativi, complessi e vari. Questa è la dimostrazione che Blizzard è riuscita nel suo intento. I giochi troppo semplici non appassionano, i giochi troppo difficili stancano la maggior parte del mercato, i giochi troppo complessi non piacciono e sono lunghi da sviluppare, i giochi troppo superficiali non sono visti come "validi". Big B ha compiuto la magia e ha trovato un punto di equilibrio che ripropone costantemente in tutti i suoi giochi. Fare un gioco semplice dando l’impressione che sia difficile, fare un gioco lungo spendendo il minor tempo possibile nello sviluppo, fare un gioco superficiale facendolo passare come valido anche agli occhi di alcuni "presunti" esperti: questo è stato il grande merito di Blizzard.
La strategia è qualcosa di difficile, cervellotico, impegnativo. Direste mai che Starcraft ha una di queste caratteristiche? No, visto che buona parte dell’abilità richiesta sta nel cliccare più velocemente possibile per dare ordini alle proprie truppe. Cos’ha a che fare questo con la strategia? Poco o niente, ma all’utente piace. Vi immaginate Napoleone, nella sua tenda a Waterloo, che parla velocissimo ai propri ufficiali per dare più ordini possibili? Io ogni tanto ci penso e rido. Per fortuna la strategia è cosa diversa e i videogiochi che veramente cercano di riproporla in digitale non sono nulla di simile a Starcraft o Warcraft. Il successo di questi due titoli è stato appunto snaturare il genere per renderlo molto più vendibile. Ritmi frenetici, centinaia di click al minuto, componenti strategiche minime ed alta competizione in multiplayer sono stati i punti chiave del successo di questi titoli. Lo stesso si può dire per Diablo, capostipite degli Hack N’ Slash, che ha preso i noiosi e impegnativi RPG, li ha spolpati e ha tenuto solo la parte facilmente vendibile, ovvero il magico algoritmo: "Clicca—>Ammazza il mostro—>Ottieni esperienza—> Raccogli l’oggetto—>Ricomincia". Poi dialoghi, interpretazione, background e immersività sono elementi per "nerd". La gente non ha voglia di leggere, vuole cliccare ed ammazzare mostri. Inutile dire che lo stesso processo è stato applicato ai Mmorpg, generando WoW.
La buona base d’utenza e queste meccaniche estremamente "arcadizzate", hanno permesso ai titoli Blizzard di prendere piede nelle competizioni multiplayer, loro naturale luogo. Se uno strategico "action" è un’aberrazione concettuale, l’introduzione di questi componenti ha permesso agli strategici di partecipare, a fianco degli FPS, a tornei e Lan party. Grazie all’allenamento manuale necessario e alla prevedibilità degli scontri, SC e WC3 hanno assunto dignità di gioco per "competizioni e-sportive", relegando gli strategici, quelli veri, ad una dimensione totalmente diversa ed escludendo la maggior parte dei propri simili dalle competizioni.
I trucchetti per risparmiare sui costi di sviluppo sono presenti nei videogiochi sin dagli anni ’70 in cui i dev mettevano livelli non superabili per non dover sviluppare quelli successivi. Blizzard, però, non tenta sempre di nasconderli ma più spesso li maschera sotto forma di pregi: la generazione random delle mappe, il gameplay lineare di WoW, il doppiaggio di Warcraft 2 e tanti altri aspetti. Già da questi punti si inizia a capire il motivo per cui nasce il mio odio e il mio rispetto per questa SH. E’ giusto far divertire un player ingannandolo sui propri stessi gusti? E’ giusto rifilargli qualcosa di oggettivamente inferiore a quello che appare? Per me no, per loro si. Questo dubbio etico mi attanaglia ormai da anni perchè c’è sempre chi mi risponde: "L’importante è che i giochi siano divertenti, poi se sono belli o no, non importa. I giochi sono fatti per divertire". Se i videogames siano solo un prodotto ludico o qualcosa di più, è un argomento che manda avanti un dibattito da quando sono nati. Non mi permetto di dire la mia in mezzo a tante voci di calibro ben maggiore della mia, anche perchè risulterei solo ridicolo. Mi basta avervi instillato il dubbio.
2- Fidelizzazione estrema
Un’altra mossa magistrale di Blizzard è stata quella di creare intorno ai propri giochi un percorso di fidelizzazione degno dei grandi nomi del marketing. Un giocatore Blizzard si sente superiore al normale videogiocatore. Si sente migliore, conscio di avere qualcosa che gli altri videogiocatori non hanno. Si sente parte di una comunità mondiale "speciale", accomunata dalla stessa sensazione di qualità. In questo campo Blizzard non ha inventato niente, mi pare scontato. Sicuramente però, ha saputo riadattare strategie di marketing vecchie come il mondo ad un mercato dove il campanilismo l’ha sempre fatta da padrone, ma che mai è stato sfruttato così abilmente da una software house.
Chiunque abbia visto un cliente Apple potrà trovare numerosi e numerosi punti in comune tra i due fenomeni che, ormai, hanno una rilevanza più sociale che economica visti i risvolti che riescono ad avere. Anche un cliente Apple si sente superiore ad un utente PC se ha un Mac, si sente superiore ad un utente Creative, Kowon, Philips o qualsiasi altro lettore MP3 se ha nel taschino il suo Ipod. A conti fatti però, prendendo come esempio l’Ipod, è un prodotto oggettivamente inferiore alla concorrenza, venduto a prezzo maggiore, con qualità audio inferiore e un’interfaccia discutibile. Lo stesso, agli occhi di molti cultori del videoludo, vale per Blizzard.
Il logo originale di Diablo 3, nuovo capitolo della saga
Un altro strumento, utilizzato in tempi più recenti con World of Warcraft, è quella che io chiamo "Strategia del Fenicottero". I fenicotteri, animali abbastanza stupidi per natura, riescono a riprodursi solo ed esclusivamente se sentono di essere tanti, di avere un gruppo folto che li protegga. In cattività, siccome è impossibile ospitare colonie immense di fenicotteri, si utilizzano degli specchi per dare l’illusione alla stupida bestia di far parte di uno stormo enorme. Risultato? I pochi animali presenti copulano come non vi fosse un domani. Lo stesso vale per le comunità virtuali, in particolare per i giochi online. Sapere che milioni di persone prima di te han giocato il gioco è ragione sufficiente per comprarlo. Non è solo "moda" è anche la sicurezza che, se tanti ci giocano, questo sia un buon gioco e, proprio come i fenicotteri, gli utenti si riprodurranno, portando dentro amici, parenti, partners e così via. Questo meccanismo va ad autoalimentarsi, generando a sua volta utenza.
Non è un fenomeno nuovo: si può osservare in tantissimi altri giochi, quasi in tutti a dire il vero. Le forme con cui questo fenomeno si diffonde sono varie e mutevoli ma è ovvio che il caso Blizzard sia uno dei più esemplificativi. E’ ovvio per il semplice motivo che World of Warcraft è uno dei Mmorpg più giocati al mondo. Sebbene WoW a livello locale non sia quasi mai il gioco più giocato, avendo una copertura mondiale può vantare numeri che, messi di fronte all’utenza, hanno il loro effetto. Ad esempio: in Francia Dofus è giocato quasi il triplo di WoW, ma ciò non interessa all’utente. Lo stesso dicasi per Runescape in America, Metin 2 in Italia, Fantasy Westward Journey in Cina. Però quando l’utente legge: "Wow ha 11 milioni di account attivi", perde la testa.
3- Pubblicità Perfetta
Ciò di cui abbiamo parlato in precedenza non sarebbe mai stato sufficiente se Blizzard non avesse investito sempre maggiori somme per promuoversi. La fidelizzazione di cui abbiamo parlato prima è solo una piccola parte del Marketing, forse una delle più importanti in questo caso, ma comunque inutile se non accompagnata da fondi e sforzi per altri tipi di pubblicità.
Generare hype, l’attesa per il titolo, è sempre stato uno dei fattori caratterizzanti del lavoro della casa di Irvine. Mesi di silenzio intervallati da preview minimali, seguiti a loro volta da ampi coverage e presentazioni integrali del gioco. Countdown, previews, anteprime, anticipazioni e rivelazioni criptiche vanno tutte regolarmente a confluire nel Blizzcon, la convention interna organizzata da Blizzard. Oltre ad essere un altro rilevantissimo esempio di fidelizzazione, rappresenta la possibilità di poter pubblicizzare i propri prodotti sostanzialmente giocando in casa, avendo spazi per promuovere liberamente i pochi titoli che si hanno a disposizione, senza dover rispettare le necessità e gli obblighi delle normali fiere. Anche qui s’intravede la genialità e la potenza del marketing Blizzard che quest’anno, oltre a far pagare l’ingresso, farà pagare anche la visione in streaming dell’evento, generando così altri soldi. Immagino la sconfinata soddisfazione provata dal Marketing Chief quando ha capito di esser così bravo nel suo lavoro da farsi pagare per dare pubblicità.
Blizzard però si è avvalsa, in numerose fasi della sua esistenza, anche dei metodi tradizionali di promozione. Con oculate campagne pubblicitarie, ha piazzato banner e loghi dei propri giochi nei punti migliori, attirando a sè nuovi e nuovi utenti, oltre a dare la sensazione a coloro che già giocavano dell’onnipresenza di Blizzard. "WoW is everywhere" recita il famoso slogan…ah no, forse non era proprio WoW… Sperare di competere con gente che può pagare abbastanza da mettere il logo del proprio gioco sulle lattine delle bibite, negli spazi pubblicitari degli Instant messenger o su tutte le televisioni americane è troppo per chiunque. Inoltre, il fatto che sviluppino pochissimi titoli, spesso sequel dei precedenti, facilita notevolmente questa operazione. Le persone conoscono già il nome, il logo, il prodotto, almeno per sentito dire, e lo spot pubblicitario dà il colpo di grazia, facendo arrivare a Blizzard un nuovo cliente.
Morhaime, Ceo di Blizzard in una riunione con i vertici dell’azienda
Conclusione
Spero che questo articolo, forse un po’ sconclusionato, sia riuscito a far chiarezza su come Blizzard ha lavorato in questi anni e del perchè chi la difende come portatrice di qualità, quasi sempre sia in torto. Spero inoltre di avervi insegnato a diffidare sempre e comunque da chi cerca di vendervi qualcosa, soprattutto se è la cara Mamma Blizzard, e da chi, come lei, preferisce spendere per illudere l’utente piuttosto che creare qualcosa di veramente nuovo e valido. Vi invito a riflettere e prendere coscienza che chi vuole i vostri soldi, quasi mai vuole il vostro bene, come sono convinti numerosi fanboy, risultato della politica paternalistica portata avanti da questa millantata chioccia protettrice dei propri bambini.