Il futuro dei videogiochi in una fiera “nascosta”: Sweden Game Conference 2017
Quando alla Milan Games Week 2017 abbiamo visto radunati ben 48 sviluppatori nostrani ci siamo riempiti di orgoglio e ammirazione: è un numero non indifferente per un paese come il nostro. E poi ci siamo ritrovati alla Sweden Game Conference, a Skövde, una cittadina dal nome (per noi) impronunciabile sperduta nel sud della Svezia abitata da meno di 50.000 persone. Ci credereste se vi dicessimo che Skövde ha visto nascere oltre 60 studi di sviluppo di videogiochi, molti dei quali ancora operativi nella zona? E se vi dicessimo che alcuni di essi hanno persino raggiunto la fama globale, come Coffee Stain Studios? Non è fantascienza, è tutto vero. Com’è possibile? E soprattutto, cos’è la Sweden Game Conference?
Partiamo dalle risposte facili: Sweden Game Conference 2017 si è svolta dal 18 al 20 ottobre ed è un evento dedicato a professionisti e studenti dell’industria videoludica (spiegheremo a breve il motivo del corsivo su “studenti”) in cui abbiamo potuto scoprire i prodotti di 30 studi di sviluppo locali e nazionali, ma soprattutto assistere a 35 tra presentazioni e conferenze, in compagnia di oltre 900 professionisti del settore provenienti da 22 diversi paesi.
A rendere possibile tutto questo non sono solo sponsor tecnici come Unity ed Epic Games, ma soprattutto le autorità locali, in particolare l’Università di Skövde e i suoi master di sviluppo videogiochi, molto ramificati e specifici – si va dalla programmazione in specifici ambienti di sviluppo fino a corsi dedicati alla narrativa digitale – che nell’ultimo anno hanno visto più di 600 iscritti provenienti da tutto il mondo. Le conseguenze sono quelle descritte poco sopra, e a spiegarci come questo sia stato possibile ci hanno pensato Per-Arne Lundberg, docente dell’università e co-fondatore della business incubator Gothia Innovation AB, e Marcus Toftedahl, game designer e docente.
L’idea di trasformare Skövde in un polo di ricerca tecnologico e di produzione di videogiochi nasce alla fine degli anni 90 per incrementare il numero di laureati nella zona, fino ad allora sotto la media svedese anche a causa dalle scarse possibilità di carriere offerte nel territorio, limitate a un grosso stabilimento di produzione automobilistico Volvo.
Durante la prima parte del nostro tour all’interno delle strutture universitarie abbiamo potuto scoprire alcuni dei primi progetti creati a inizio anni 2000 da studenti e docenti, come un primitivo simulatore AR/VR per i vigili del fuoco: usando quattro proiettori su pareti bianche all’interno di una stanza buia, il simulatore permetteva agli operatori di addestrarsi all’orientamento in ambienti sempre diversi, superando il limite imposto dalle strutture fisiche e immutabili delle loro caserme.
Abbiamo visto anche altri progetti di gamification e serious games creati nel corso del tempo e poi effettivamente utilizzati dalle parti coinvolte, come un “garbage simulator” creato per ottimizzare la gestione dei rifiuti all’interno dell’area urbana, un simulatore di guida creato per scuole guida e collegato ai comandi di un’automobile vera, un hack’n’slash basato sulla Bibbia (sì, avete letto bene) e fortemente richiesto da un prete del luogo (sì, avete ancora letto bene), giochi educativi sull’uso di internet per bambini, titoli con input non-standard creati per la riabilitazione di persone con difficoltà motorie, fino ad arrivare a più moderni progetti VR dedicati ai musei.
Ovviamente i soli progetti accademici, culturali ed educativi non sono altro che uno dei tanti percorsi intrapresi dall’Università di Skövde, che si autodefinisce un “ecosystem of everything awesome about games” (ovvero “ecosistema di tutto ciò che è fantastico sui videogiochi”): come anticipato, sono decine gli studi professionali nati grazie a studenti dell’Università, e il suo punto di forza è il piano di sviluppo in 10 settimane, al termine del quale gli studenti dovranno presentare il progetto (in forma di business plan, investor pitch e/o livestream) a giornalisti, publisher e investitori invitati dalla facoltà. È così che sono nate realtà come Coffee Stain Studios, Landfall Games, Ludosity, Stunlock Studios e tante altre e, anche nel caso uno specifico progetto non sia poi portato a termine, sono molti gli studenti che hanno potuto avviare una carriera all’interno di colossi come CCP Games, EA, DICE, Ubisoft, Paradox Interactive, Starbreeze, Crytek, THQ Nordic e molte altre realtà.
Anni di crescita e successi hanno quindi portato alla creazione dell’iniziativa Sweden game Arena e dell’evento Sweden Game Conference, giunto alla sua quinta edizione. Essendo l’industria svedese un leader di mercato in termini di produzione, i temi di Sweden Game Conference non puntano soltanto a introdurre nell’industria chi è estraneo alla medesima, ma anche a spingere veterani, studenti e appassionati a pensare al futuro: da qui il sottotitolo dell’evento, “Experience the Future – Reimagining Games“. In un mondo dove tutto sembra già stato essere inventato, quali innovazioni di gameplay, arte e narrazione possono portare gli sviluppatori odierni? In che modo l’innovazione influenzerà e cambierà le future generazioni di giocatori e sviluppatori? E di che tipo di ricerca ed educazione necessitano gli sviluppatori di oggi per supportare l’industria di domani?
A rispondere a queste domande ci hanno pensato i tanti relatori presenti. Non godendo del dono dell’ubiquità non abbiamo avuto modo di assistere ad ogni presentazione, e cercare di rielaborare tutto ciò che abbiamo visto è tanto difficile quanto rischioso nei confronti dell’integrità del messaggio che questi incontri hanno comunicato. Ci limiteremo perciò a illustrare rapidamente alcuni dei momenti che ci hanno maggiormente colpito.
Ad aprire l’evento ci ha pensato una tavola rotonda intitolata “The Only Way is Up” tenuta da svariati leader dell’industria (provenienti da EA, King, Fast travel Games, Stunlock Studios, Avalanche, The Game Assembly, Raw Fury e Fatshark) in cui si sono affrontati temi come le loot box e il loro impatto sul ciclo di vita dei prodotti, il successo dei titoli “battle royale”, quale futuro per la VR e, più in generale, si sono fatte predizioni su come il mercato cambierà.
A seguire, “Production – The Glue that holds Game Devlopment togheter“, tenuta da Trevor Snowden di DoubleMoose Games, ha affrontato l’importanza di avere una figura leader che guidi la produzione di un gioco, e fornito differenti linee guida su come organizzare l’intero processo produttivo.
Ben due panel tenuti in merito all’importanza della localizzione dei videogiochi, “Targeted Localization – Perfect tool for boosting games sales” di Bartosz Lewandowski (Roboto) e “Game Localization: A Song of Culture and Play” di Carmen Mangiron (Universitat Autònoma de Catalonia), hanno permesso di avere un’idea dell’impatto della localizzazione sulle specifiche regioni, e di come la localizzazione di un gioco non finisca affatto alla sua traduzione.
Spettacolare il momento sul palco di Nicolae Berbece, autore di Move or Die, attraverso “It’s OK to not know what are you doing“, con una selezione di storie e “segreti” degli sviluppatori per nascondere i problemi tecnici dei loro giochi, come ad esempio i riflessi di titoli come Deus Ex o Metal Gear Solid, nient’altro che superfici trasparenti con stanze create specularmente dall’altro lato, o i manichini di Skyrim che in realtà non sono altro che NPC, e tanti altri esempi.
“Kotaku is Worthless” di Petter Henriksonn ha illustrato come la sua compagnia, Landfall Games, decida su quali progetti investire esclusivamente in base al feedback che i loro prototipi ricevono su YouTube e altri social media, concentrandosi esclusivamente su ricevere copertura da questi piuttosto che dai media tradizionali. Più tradizionale il “Making of” di Q.U.B.E 2 tenuto dal suo producer, Dan Rocha, che ha illustrato il percorso creativo dietro la serie Q.U.B.E.. Ironicamente, uno degli ultimi panel dell’evento era dedicato al networking per persone introverse tenuto da Johan Toresson di Gameport, che a logica avrebbe dovuto essere al primo posto delle attività.
Non sono mancati momenti di relax e ispirazione, come un concerto della cover band di musiche di videogiochi Critical Hit, americana e giunta a Skövde per l’occasione, un incredibile Maraoke (un karaoke con canzoni riviste a tema ludico), e una cena di premiazione dove peraltro è stato premiato Close to the Sun, come finalista del Nordic Game Discovery contest – sì, un videogioco creato in Italia presso Storm in a Teacup (motivo? Il designer è svedese).
Per concludere, cosa ci ha lasciato questa Sweden Game Conference? Sicuramente si è trattato di un evento differente da molti altri: le dimensioni contenute del medesimo e la ridotta affluenza hanno permesso a tutti i presenti di poter apprezzare appieno ogni momento della conferenza, con incredibile facilità di contatto diretto con relatori e ospiti all’interno di un’ambiente ospitale, amichevole ma non per questo meno professionale. Un’esperienza che consigliamo a tutti coloro che stanno muovendo i loro primi passi nell’industria, o in cerca di nuove idee da scambiare con altri professionisti.