God of War – un’analisi del Making Of
L'arte richiede sacrificio
Complice uno dei personaggi più iconici del mondo dei videogame, il primo God of War è un titolo che si è impresso nel mondo dell’intrattenimento non solo per la violenza esplicita (ma mai veramente gratuita) ma anche per il modo in cui ha deciso di “giocare” con la realtà ancora così vergine, almeno a livello videoludico, della mitologia Greca.
Il momento di forza è solo aumentato con l’uscita delle successive iterazioni fino al “freno a mano” della saga, God of War: Ascension, definito da molti come fuori assetto rispetto al resto dei capitoli, meno prono a viaggiare verso nuovi territori e più poggiato sugli allori del suo indubbio passato. Noi stessi l’abbiamo inquadrato come “più che un’ascesa, uno stallo”.
Non eravamo in un bel posto, all’interno dello studio. Si stava pensando che l’unica scelta fosse un reboot completo del franchise, un passo pieno di rischi data l’assenza di vere e proprie linee guida a dirigerci e proteggerci dagli errori.
SHANNON STUDSTILL (Capo di Santa Monica Studio)
Per ottenere qualcosa di veramente nuovo a volte bisogna cancellare il passato, concetto che molti franchise, videoludici e non, sembrano avere il coraggio di abbracciare al giorno d’oggi.
Stavamo cercando di capire cosa volevamo e uno dei punti di partenza è stata la certezza che il vecchio Kratos, cupo, arrabbiato e con la voce grossa, non avrebbe funzionato. Il mio diventare padre ha molto influenzato la genesi di questo “nuovo Kratos”, un semidio dall’oscuro passato ma che, a dispetto di tutto, anche di ciò che merita o pensa di meritare, ha ottenuto una seconda possibilità. Dopo 10 anni i giocatori avevano chiuso con lui: come personaggio o se ne andava per sempre o tornava ma con qualcosa di nuovo da raccontare, qualcuno di nuovo da essere. Il primo giorno di lavoro si sono tutti messi all’opera, dai concept artist agli animatori, ognuno di loro con una propria idea sul prossimo passo del franchise.
CORY BARLOG (Lead Designer)
È stata un’idea di Shannon (Studstill) quella di riportare “a casa” Cory (Barlog), uno dei principali visionari della saga originale. Bisognava dargli il tempo di capire come rendere God of War non solo nuovamente bello e grande e classico, ma anche bello e grande e nuovo.
SCOTT RONDE (Vice Presidente di Worldwide Studios America e Sony Interactive Entertainment)
Una delle immagini più significative dei primi 10 minuti del documentario si God of War è senza dubbio questa.
Considerando anche e soprattutto il prodotto finale, quello arrivato sulle nostre console, è davvero straordinario che sia stata la necessità di crescita del personaggio il perno sul quale le sezioni esplorative, narrative e di combattimento hanno potuto poggiare per tracciare i nuovi passi di un universo che sembrava ormai completamente svuotato di ogni senso di stupore.
In un parallelismo che ha dell’assurdo, la crescita dell’IP ha significato anche una crescita degli spazi fisici nei quali il team di sviluppo si sarebbe trovato a lavorare: fu fissato all‘estate 2014 il trasloco dei Santa Monica Studios dalla Penn Station alla Reserve, uno spazio molto più grande e indicativo di quanto Sony credesse (e crede) nei suoi studios, tanto da spingerla a lavorare al reboot in parallelo con una seconda IP, completamente originale e antitetica rispetto a GoW, molto futuristico nel design e nel concept.
La vita insegna che non c’è miglior maestro del fallimento ed è nel Febbraio 2014 che Santa Monica fu colpita dalla cancellazione di questo nuovo IP. Questo full stop ha costretto Cory e il resto del team principale a pensare a come coinvolgere tutti per non lasciare a casa nessuno, utopia dalla difficile realizzazione visto lo stato ancora larvale di God of War. I licenziamenti ci sono stati, ma arginati al minimo, e sicuri di un futuro “ritorno all’ovile” non appena GoW fosse diventato qualcosa di più concreto.
È una delle cose più struggenti del game development, quando metti tutto te stesso, cuore e anima, in qualcosa e ti rendi conto che non si sta plasmando come lo avevi immaginato. È stato un vero abisso in cui il team si è ritrovato a precipitare.
SCOTT
Cory confessa di non considerarsi particolarmente creativo, ecco perché si è trovato ad attingere alla sua stessa vita per il nuovo Kratos, facendo in modo che l’essere diventato padre non fosse espresso da una semplice cutscene ma restituendo al giocatore la sensazione di doversi prendere cura di qualcuno sul serio. Originariamente il concept prevedeva l’Egitto come location principale di questo nuovo God of War: Kratos abbandonava lo sguardo alla magnificenza delle dune di fronte a lui, poi si voltava, la telecamera si allargava e si scopriva la presenza del figlio alle sue spalle.
Ovviamente per realizzare una visione così specifica era necessario trovare degli interpreti d’eccezione. È qui che il documentario passa a Sunny Suljic, il ragazzino che presta movenze e voce a Atreus.
Nel fare il provino pensavo fosse per un film, poi quando ho realizzato che si parlava di God of War, ero sorpreso e confuso allo stesso tempo. Il motion capture è stato molto divertente, perchè il più delle volte mi trovavo a urlare fortissimo.
SUNNY
A quanto pare è stato quello per Kratos il casting più difficile, erano tutti molto vicini a mollare ed arrendersi all’evidenza che non avrebbero mai trovato la persona giusta. Poi arrivò Christopher.
Non ero nemmeno sicuro di andare al provino, poi il mio agente mi chiese solamente di leggere i dialoghi prima di decidere. Stupito dalla qualità della sceneggiatura lo richiamai quasi subito, allibito, dicendogli “Pensavo fosse per un videogame”. Non mi capacitavo che questo tipo di “qualità” potesse riuscire nell’essere espressa in un videogioco.
CHRISTOPHER JUDGE (Kratos)
Ero onestamente convinta di essere a un provino per Game of Thrones. È stato incredibilmente eccitante leggere lo script:, uno storia di padri e madri, dei e dee, senso di appartenenza, il significato di famiglia, e tanto altro.
DANIELLE BISUTTI (Freya)
Quella con Cory, quando mi ha approcciato per meglio definire l’identità musicale di GoW, mi è sembrata una chiacchierata attorno a un fuoco. È la storia che mi guida, a livello musicale. Al tema di Kratos ci sono arrivato davvero per caso, accozzando 3 semplici accordi insieme, ma con il senno di poi ha quasi un senso assoluto: Kratos è un uomo di poche parole, il suo tema dovrebbe essere di poche note.
BEAR McREARY (Compositore)
In questo frangente è davvero affascinante vedere come Cory (nella scena dell’uccisione del cervo) guidi Sunny attraverso le emozioni che Atreus sta provando, facendogli esperire emozioni ordinarie per applicarle nell’imaginarium di una realtà straordinaria. Con l’arrivo di una prima bozza di versione giocabile a Gennaio 2015 la strada era tutt’altro che in discesa, visti gli ovvi limiti a livello di programmazione ed engine. Questa asincronia fra visione e realtà fu solo amplificata dalla visita del presidente di Sony Shuhei Yoshida, che non potè che esprimere i propri dubbi a riguardo. Ma questo non demoralizzò troppo Cory e gli altri.
È proprio in questo frangente produttivo che Cory decide di fissare la morte della madre di Atreus (prima dell’inizio del gioco) come il pretesto per una inaspettata “gita fuori porta”. L’assenza ora irrecuperabile della moglie e madre rende Kratos e Atreus entrambi incompleti nel loro essere: mentre Kratos insegnerà ad Atreus a essere un dio, il piccolo gli insegnerà a essere umano. Anche i primi God of War raccontavano una storia di padri e figli, ma questo capitolo è la storia di un figlio che diventa padre.
Nella ri-analisi del percorso fatto e soprattutto nell’eviscerazione del filo narrativo, Cory e tutto il team si chiesero se fosse il caposaldo della saga fosse Kratos o la mitologia greca, e sono state le diverse ricerche di mercato in Europa a suggerire l’idea di provare a sradicare Kratos dal contesto nel quale l’avevamo finora conosciuto e trapiantarlo altrove, magari in un altro universo mitologico.
È allora che ci è venuta in mente la Scandinavia e tutta la mitologia che quella terra ancora rappresenta. Abbiamo mandato un team di programmatori e designer, è andata anche Shannon.
CORY
Lì, in mezzo a tutta quella natura incontaminata, sembrava di percepire la vita appena sotto la superficie, brulicante e indifferente. Confesso che è stato allora che ho capito che la strada che stavamo intraprendendo con il franchise era giusta. Ho praticamente visto il gioco.
SHANNON
È stato il setting nordico ad accendere la scintilla creativa di Bear McReary, introducendo l’idea di un coro islandese come parte della soundtrack: la lingua islandese è infatti quella più vicina all’antico norreno, particolarità che rende un islandese in grado di eseguirne in modo foneticamente corretto un testo. Una piccola parte del documentario è dedicata alla presentazione E3 2016 e rivederne le immagini e le reazioni del pubblico è ancora da pelle d’oca: il terrore di Cory che potrebbe andare tutto storto, la tensione del team, quei sorrisi forzati di chi ha la paura che scorre nelle vene, l’orchestra dal vivo e il passaggio da cutscene a gameplay che ha sorpreso tutti.
L’E3 2016 poteva essere per God of War il mortale spartiacque fra ciò che fino a quel momento il gioco doveva essere e ciò che invece era, ma il feedback fu estremamente positivo e le reazioni di tutti, dalla stampa al pubblico, hanno fatto capire a Cory e al team che il sogno si stava davvero realizzando. C’era voluto 1 anno e mezzo per realizzare al meglio quei 10 minuti di live demo, ora avevano un altro anno e mezzo per creare le altre 30 ore di gioco.
Cory esprime perfettamente la chiave di volta di tutto il processo di creazione di un videogioco, soprattutto quando si parla di studios così grandi al lavoro su IP così importanti:
Essenzialmente devo convincere 150 persone a guardare nello stesso modo e con lo stesso punto di vista un qualcosa che ancora non è, bilanciando il talento e le personalità di così tanti artisti dalle più disparate aree di lavoro.
Finalmente arriva il momento di fissare la data di uscita, 13 Marzo 2018, a 11 anni esatti dall’uscita di God of War II. Purtroppo la sferzata di realtà per Cory arriva con la realizzazione del numero elevato di bug che il gioco ancora contiene, problemi che, risolti così vicino al traguardo, potrebbero perfino crearne di peggiori. Per questo e altri motivi si decise di spostare la data al 20 Aprile, per mantenere al meglio la visione iniziale del gioco e rispettare i sacrifici di tutti quelli che ci hanno lavorato così tanto per così tanti anni.
Si parla di sacrifici, sì, perché come in ogni creatura artistica che si rispetti c’è qualcosa dei suoi protagonisti, nella storia.
C’è molta umanità in ogni cellula di questo grande organismo produttivo: le due produttrici, ad esempio, si trovano emotivamente sopraffatte, quasi demolite, dalla domanda “Cosa avete dovuto sacrificare in questi anni di lavoro?”; Christopher vede molto di sè stesso in Kratos, nei suoi anni passati lontani dalla famiglia, perdendosi i momenti forse più importanti della crescita di suo figlio; il dolore di Freya nel trovarsi faccia a faccia con la tossicità che ha contribuito a creare nel rapporto con suo figlio Baldur è dolorosamente parallela al divorzio che Danielle stava attraversando durante le riprese.
Siamo tutti figli, molti di noi saranno o sono già genitori, e fa tutto parte del ciclo della vita. Si sacrifica una parte di ciò che è per rendere migliore ciò che sarà cosicché chi venga dopo possa crescere e fiorire, perchè sia migliore di noi.
L’arte riflette la vita riflette l’arte… e God of War ne è forse la prova più sconcertante.