Floppy Disk – Il compleanno di Parasite Eve
Parasite Eve è una perla rara, un esempio di gameplay ibrido e funzionale che segnò indelebilmente l'epoca PSOne.
Il termine “ibrido” è tornato alla ribalta fra il grande pubblico e la stampa specializzata grazie al recente Final Fantasy VII Remake. Una mescolanza funzionale fra differenti modalità di combat system, quali tempo reale e turni, era tutt’altro che scontata, in particolare oggi che i paradigmi di genere sono tanto ben definiti.
C’era invece un’epoca nella quale la sperimentazione era all’ordine del giorno, nella quale anche le grandi compagnie, forti dei loro successi, potevano permettersi il lusso di investire parte dei loro guadagni per la ricerca e sviluppo di nuove idee, senza rischiare la chiusura in caso di fallimento.
Era il 1998 e Squaresoft viveva in uno stato di grazia in seguito allo strepitoso successo di Final Fantasy e dal boom dei JRPG che ne seguì. Hironobu Sakaguchi, il papà di Final Fantasy conosciuto internamente all’azienda come “The King”, nel frattempo si era innamorato di un romanzo horror uscito nel 1995 che stava spopolando in Giappone intitolato Parasite Eve.
Scritto da tale Hideaki Sena, pseudonimo del dottore in farmacologia Hideaki Suzuki, il romanzo venne ispirato da un documentario che parlava dei mitocondri: organelli che vivono nelle cellule di tutti gli esseri viventi con le quali creano un legame simbiotico. Ebbene, l’idea alla base del romanzo parte dal concetto che i mitocondri iniziano a prendere il controllo delle cellule e, giocando sui flussi energetici del corpo, portano i soggetti più deboli all’autocombustione immediata, e i soggetti più forti a una vera e propria mostruosa trasformazione.
Grazie al successo ottenuto, Parasite Eve venne trasposto in un film nel 1997 e in un manga nel 1998. Mancava all’appello giusto il videogioco, e chi meglio poteva realizzarlo se non la software house più talentuosa del momento?
Nel frattempo, un certo Resident Evil stava sbancando ovunque, definendo gli stilemi sia del genere survival horror, sia di quelle avventure dinamiche che avrebbero presto preso il posto delle avventure grafiche. Tentare la strada dell’horror risultava quindi la scelta più logica.
Lo sviluppo di Parasite Eve ebbe così inizio. Si decide di non coinvolgere Sena e di non fare una trasposizione del romanzo, ma realizzarne un seguito diretto ambientato a New York.
La scelta della location non fu casuale: il primo concept preso in considerazione per Final Fantasy VII ne prevedeva infatti le vicende ambientate nella grande mela. Con Parasite Eve, lo studio potè così cogliere l’occasione per riutilizzare un sacco di materiale già pronto. Nel gioco è quindi possibile ammirare diversi luoghi realmente esistenti come il Rockefeller Center, Central Park o il museo di storia naturale.
La protagonista dell’avventura è la bella Aya Brea: personaggio realizzato da un Nomura uscente dal successo di Final Fantasy VII. Il carattere forte e l’avvenenza di Aya le permisero di aggiudicarsi diverso spazio sulla stampa specializzata e nelle fumetterie: cosa piuttosto insolita per un titolo che, purtroppo, non raggiunse mai l’Europa.
Parasite Eve tuttavia non godeva solo di un’ottima protagonista, ma anche di una cutscene iniziale incredibilmente cruenta e memorabile. Il gioco parte infatti con un’esibizione della cantante lirica Melissa Pierce, quando improvvisamente tutti i presenti prendono fuoco, avvolgendo l’intero teatro nelle fiamme: tutti tranne la nostra Aya Brea. Insomma: un’introduzione degna della prestigiosa nomea di Squaresoft, autrice di alcune delle cutscene più memorabili dell’epoca PlayStation One.
Ma la caratteristica più peculiare dell’intera opera era un gameplay frutto delle sperimentazioni di cui abbiamo parlato a inizio articolo: gli scontri si svolgevano infatti in una modalità mista molto simile per certi versi a quella proposta da Final Fantasy XII. Aya poteva infatti muoversi liberamente e schivare i colpi dei nemici, ma le sue azioni erano a turni e scandite da una variante della ATB. Al riempimento della barra, Aya poteva decidere quale avversario attaccare e con quale tipo di arma; il tutto sorretto da un sistema a livelli e punti esperienza, anch’esso tipico dei JRPG. Il risultato fu qualcosa di insolito ma decisamente funzionante, che diede al titolo un’identità e una personalità tutta sua.
Parasite Eve uscì in Giappone il 29 marzo 1998 e l’8 settembre 1998 negli Stati Uniti, totalizzando vendite all’incirca per due milioni di copie: un risultato non straordinario ma più che sufficiente a permettergli di ottenere un seguito.
Un anno dopo ecco infatti arrivare Parasite Eve II, titolo che tuttavia si discostava parecchio dalla formula del primo gioco diventando completamente in tempo reale. Il risultato fu la perdita di quella peculiare identità del primo gioco e, di conseguenza, un’eccessiva somiglianza con Resident Evil.
La serie venne quindi congelata fino al 2010 quando Square Enix decise di riprendere in mano il franchise con The 3rd Birthday: terzo capitolo della serie uscito dapprima solo su dispositivi mobile, per poi ottenere un porting su PSP. Il titolo snaturò ulteriormente la serie, presentando un gameplay da RPG shooter in terza persona e un restyle di Aya considerato eccessivo dai fan.
Il primo Parasite Eve è quindi una perla unica e rara, un esperimento che merita di essere ricordato e un’opera che noi di Gamesource vorremmo vedere tornare dignitosamente alla ribalta.
I contenuti di questo editoriale sono recuperabili anche in forma audio sul podcast Floppy Disk: