Floppy Disk – I 25 anni di Final Fantasy VII
Apriamo la rubrica Floppy Disk, festeggiando i 25 anni del capolavoro Squaresoft.
Era la prima metà degli anni ’90 e il 3D stava per travolgere il mondo dei videogiochi velando tutto ciò che c’era di vecchiaia e obsolescenza. Non importava quanto successo avesse riscosso una serie fino a quel momento: tutto sfigurava davanti dalle meraviglie proposte da questa nuova tecnologia. E in Squaresoft lo sapevano bene.
Il nuovo Final Fantasy VI era appena uscito e stava ammaliando i giocatori giapponesi e americani grazie all’eccellenza della sua trama, ai suoi quattordici incredibili personaggi, alla sua colonna sonora e a uno dei migliori villain che si fossero mai visti. Sei capitoli all’insegna della continuità erano tuttavia troppi, e la rivoluzione tecnologica che si prospettava all’orizzonte era l’occasione giusta per rinnovarsi radicalmente.
Le dimensioni contano
Gli ingegneri Squaresoft iniziarono così a progettare il salto dall’ormai obsoleto SNES al nuovissimo Nintendo 64, pronti a sbarcare finalmente nella nuova era del gaming. Le ambizioni erano altissime e le idee innumerevoli: con il 3D avrebbero potuto finalmente stupire i giocatori con spettacolari filmati in CGI.
Ne seguì un’intensa fase di test sul nuovo hardware Nintendo per capire se la nuova macchina fosse in grado di sostenere le ambizioni del team. Il risultato fu un video di quasi sei minuti che mostrava Locke, Shadow e Celes di Final Fantasy VI in combattimento contro un temibile golem di pietra: tutto in una inedita veste grafica 3D.
Le analisi tecniche sul nuovo hardware Nintendo tuttavia non diedero i risultati sperati. Lo spazio di archiviazione delle cartucce del Nintendo 64 rappresentava un cono di bottiglia insormontabile: in queste condizioni Final Fantasy VII non sarebbe mai potuto essere ciò che il team desiderava. Se solo ci fosse stata una console dotata di un supporto capace di contenere una tale mole di dati, magari di una compagnia emergente assetata di esclusive e pronta a sborsare soldoni sonanti… E fu così che, dopo quasi dieci anni di fedeltà assoluta, Final Fantasy lasciò quei lidi Nintendo che le avevano dato i natali, e venne siglato l’accordo di esclusività con la neonata Sony PlayStation.
Ora però, veniva la parte difficile: padroneggiare questa terza dimensione su cui nessuno in Squaresoft aveva esperienza.
Dai pixel ai poligoni
Mentre lo sviluppo entrava pienamente a regime, divenne chiaro che per questo rinnovamento ci sarebbe stato un prezzo da pagare. Fino a Final Fantasy VI infatti, le opere del character designer Yoshitaka Amano venivano sostanzialmente trasposte 1 a 1 dalla carta al pixel, seppure aumentando le dimensioni di occhi e bocca al fine di accentuare l’espressività dei personaggi. Con lo sviluppo di Final Fantasy VII tuttavia, i tratti tanto eleganti e particolareggiati di Amano risultarono completamente inadatti a una rappresentazione poligonale. Ecco quindi che il ruolo di character designer venne coperto dall’esordiente Tetsuya Nomura, e i personaggi divennero modelli super deformed tanto peculiari ma divisivi per il pubblico.
Lo stesso non fu però per le fasi di combattimento. Questi personaggi goffi e tozzi non erano affatto adatti al dinamismo necessario a alla spettacolarità degli scontri; in particolare, l’ingombrante spada di Cloud continuava a compenetrare il modello del protagonista. Così non poteva andare. Il reparto dedicato ai combattimenti decise quindi di utilizzare modelli decisamente più slanciati, scelta non condivisa coi team dedicati alla world map e alle fasi esplorative, in quanto troppo onerosa in fatto di dispendio di tempo. Gli anni infatti passavano e la data di uscita si avvicinava lasciando un’unica scelta possibile: tagliare contenuti. Alcune sotto trame vennero abbandonate e le varie parti del gioco vennero così cucite insieme sistemando quanti più bug possibili. Detta così potrebbe sembrare l’inizio di un disastro, ciò che ne scaturì fu invece un capolavoro.
Un successo fra sperimentazioni e teorie
Final Fantasy VII uscì in Giappone il 31 gennaio 1997, mentre i giocatori americani dovettero aspettare fino al 7 settembre dello stesso anno. Il 14 novembre 1997 fu invece, per la prima volta in assoluto, il turno dell’Europa: territorio nel quale il termine JRPG era ancora completamente sconosciuto. Il successo fu travolgente. La natura sperimentale del progetto donò alle magiche atmosfere del mondo di gioco un’aura di artigianalità, creando un mix unico e irripetibile. Allo stesso tempo, i contenuti tagliati alla bene e meglio, fecero in modo che l’enorme community creatasi attorno al titolo popolasse i primissimi forum online di teorie più o meno credibili, quali la famigerata resurrezione di Aerith o la possibilità di utilizzare Sephiroth in combattimento.
La nomea che iniziò a circolare attorno al titolo fu tale che tanti giocatori acquistarono PlayStation solo per poterlo giocare e, durante i mesi successivi al lancio, le vendite aumentarono considerevolmente, contrariamente a quanto succede di solito. Visto il successo ottenuto, Final Fantasy VII sbarcò anche su PC con un porting che risultò particolarmente problematico a causa della natura amatoriale e instabile del codice di gioco.
Final Fantasy VII vendette quasi 11 milioni di copie in tutto il mondo, meritandosi l’appellativo de “il gioco che ha venduto la PlayStation” e aprendo a una golden age dei JRPG che proseguì per oltre una decade.