Final Fantasy XIV: Shadowbringers – Pre-Recensione
Questo articolo sarà speciale. Per poter recensire Final Fantasy XIV Shadowbringers, urge attendere ancora un paio di settimane, con l’aggiunta degli ultimi pezzi fondamentali dell’espansione, cioè i raid di tier Savage. Tuttavia abbiamo concluso, dopo una meravigliosa maratona da quasi 60 ore, la campagna principale di Shadowbringers, e vogliamo parlarvi di ciò che il titolo offre finora, in attesa di poter stendere la definitiva recensione tra qualche settimana.
Questo perché Shadowbringers non è una ri-conferma di come Final Fantasy XIV sia a tutti gli effetti un degno capitolo della saga, ma è un nuovo picco sia per il titolo di Yoshida che per i Final Fantasy stessi.
Le premesse su cui la narrativa della patch 5.0 si basa erano ottime, ma pericolose. Stormblood si è concluso con un insoddisfacente epilogo, che metteva tanta carne sul fuoco, senza però regalare i pazzeschi cliffhanger dati da A Realm Reborn e Heavensward. A causa di tale epilogo, i fan hanno recepito con molta più aspettativa ogni tipo di notizia e trailer di Shadowbringer, che partiva con il piede giusto, ma aveva già sulle spalle il peso di “rimediare” a uno Stormblood tutto sommato deboluccio.
Fortunatamente, sin dai primi istanti, Shadowbringers cattura l’attenzione del giocatore in modo intelligente. La nuova espansione di Final Fantasy XIV si comporta infatti come fosse un titolo a sé stante per quanto riguarda la gestione del comparto narrativo.
Dopo un paio di brevi cutscene che trasportano il nostro personaggio a “The First”, nuova ambientazione che conterrà l’intera trama dell’espansione, il gioco comincia a introdursi al giocatore sfruttando i misteri del nuovo mondo. The First è una terra devastata da uno strano cataclisma, e il gioco utilizza l’ambientazione per creare interesse nel mentre, pian piano, cuce una narrativa ben più profonda di quanto non si immagini, senza però creare i problemi di pacing che han afflitto alcuni scorsi archi narrativi (uno su tutti le Azim Steppe di Stormblood). La maestria del team che ha diretto Shadowbringers è stata proprio nello scrivere una storia molto lunga, ed estremamente importante nel quadro generale di Final Fantasy XIV, senza annoiare mai, nonostante le missioni rimangano spesso piuttosto standard per un MMO.
No life left to live / No Fight left to Fight
Ad aiutare questo sentimento di continua scoperta ed emozione, aiutano ovviamente anche i comparti artistici del titolo. In particolare possiamo sottolineare un’ennesima straordinaria colonna sonora di Masayoshi Soken, che ri-conferma la sua maestria nel comporre temi estremamente vari e sempre adatti alle situazioni nei quali vengono utilizzati. Nelle lande inquietanti ma contemporaneamente affascinanti di The First risuonano dei temi completamente distinti rispetto al passato, aiutando molto nell’immersione del giocatore che si sente davvero trasportato in una terra sconosciuta. Ovviamente, come da tradizione Square Enix, anche l’estetica è a livelli eccelsi, con zone, nemici e boss estremamente affascinanti e variegati: gli artisti dietro a Shadowbringers hanno affrontato uno studio meticoloso nel design dei mostri, in modo da creare nuovi nemici che però sembrano evoluzioni alternative di quelli visti in scorse espansioni, mantenendo così un filone di coerenza eccezionale.
Dopo aver catturato il giocatore, l’espansione propone quella che reputiamo essere la migliore storia all’interno di Final Fantasy XIV. I personaggi, sia nuovi che conosciuti, vengono sviluppati come mai prima d’ora e le interazioni che si hanno con essi sono molto variegate e coerenti con i caratteri di tutti i personaggi. Mentre nelle scorse espansioni si passava il tempo con uno o al massimo tre personaggi che fungevano ruoli secondari, in Shadowbringers sembrerà di avere con un sé un classico party in stile JRPG, con ogni personaggio degli Scion of the Seventh Dawn che sviluppa delle relazioni personali anche al di fuori di quelle del giocatore.
Mentre in Stormblood, quando si prendeva il controllo di un NPC, si aveva semplicemente una sfida particolare per spezzare la monotonia, in Shadowbringers prendere il controllo di un alleato ti permette di vivere le loro battaglie personali, dando modo alla narrativa di approfondire maggiormente le loro vite. A questo si unisce il nuovo sistema Trust, che permette di portar con sé gli NPC del proprio party nei dungeon, così da poter giocare il titolo anche in “single player”, per quanto sia comunque necessario essere online e non sia possibile usare questo sistema con i boss Trial.
Al di fuori della narrazione, Shadowbringers si pone come un passo in avanti in tanti elementi di Final Fantasy XIV. Oltre alle tante migliorie minori, al rework del combattimento, e alle classi ribilanciate, il gioco porta dei sensibili passi in avanti in quanto a game design nei dungeon. Questi oltre all’essere tutti meravigliosi e molto vari, hanno continuato in un processo di miglioramento arrivando a un risultato da noi molto apprezzato. I boss dei vari dungeon infatti (tre per ogni istanza) fungono da step iniziale all’allenamento del giocatore verso l’endgame. In tanti nemici è possibile vedere come le loro meccaniche ora siano strutturate come mini-tutorial verso battaglie più avanzate.
Ad esempio un boss del terzo dungeon mette in atto una versione semplificata di una delle tecniche del boss God Kefka, dando quindi occasione anche al giocatore “casual” di avere un assaggio delle più inventive battaglie del gioco nel tentativo di spingere tutti a provare ogni contenuto. Ottima anche l’evoluzioni dei Solo Duty, quest speciali da affrontare in singolo, che passano dall’essere semplici scontri con qualche script speciale, all’essere veri e propri mini-dungeon con meccaniche uniche quali labirinti e piccoli enigmi.
Per quanto riguarda i contenuti endgame e i bilanciamenti delle classi, rimandiamo la discussione fino all’arrivo di Eden, serie di raid che rappresenterà il nucleo del contenuto hardcore del titolo. In questo momento le battaglie extreme presenti propongono sfide interessanti dalla buona difficoltà, e i grossi cambiamenti al sistema di combattimento e alle classi ci stanno tenendo egregiamente occupati nell’attesa di affrontare il contenuto Savage. Chiudiamo questa pre-recensione tornando per un’ultima volta sulla narrativa, con un accenno al finale di Shadowbringers.
Dopo una campagna di circa 50/60 ore, questa espansione regala uno dei finali più soddisfacenti e ben costruiti che abbiamo mai visto con un susseguirsi di cutscene magnifiche, un villain in grado di ergersi spalla a spalla con Kefka e Sephiroth e una coppia Dungeon-Trial semplicemente eccezionale. Quando i titoli di coda di Shadowbringers son apparsi a schermo, assieme alla meravigliosa, omonima, OST di Masayoshi Soken, eravamo ormai con la pelle d’oca da ben più di un’ora.
Become what you must / Become the Warrior of Darkness
Yoshida e il suo team hanno regalato ai propri fan un’opera irripetibile, che sarà molto difficile da replicare in futuro, ma che farà ricordare a tutti i giocatori di Final Fantasy XIV il viaggio per diventare Warrior of Darkness.
Per tirare le somme definitive serve ancora tempo, ma da queste prime due settimane il bilancio su Final Fantasy XIV Shadowbringers è incredibilmente positivo. Yoshida e il suo team si sono superati, proponendo un’esperienza unica e indimenticabile, in grado di posizionarsi nello speciale Olimpo dei titoli Square Enix. C’è ancora margine di miglioramento nel bilanciamento classi, e ancora non si possono valutare a pieno i contenuti endgame (mancando attualmente circa metà di essi), ma salvo spaventosi scivoloni, il bilancio su Shadowbringers è estremamente positivo. Recuperare tutta l’epopea di Eorzea è impegnativo, ma se già prima ne valeva assolutamente la pena, ora – per chiunque ami Final Fantasy – privarsi di questa magnifica avventura è semplicemente un affronto.