Devil Never Cry – What Went Wrong with Devil May Cry 2
Nello scorso episodio ci siamo lasciati parlando della gloria ottenuta dal primo Devil May Cry, il quale ha creato un nuovo genere di gioco del quale rimane tutt’oggi leader. Oggi, invece, abbiamo un discorso meno positivo da affrontare. Così come abbiamo visto l’inarrestabile ascesa al successo di quello che doveva essere Resident Evil 3, oggi vedremo il periodo buio del brand, quando la serie ha preso la direzione sbagliata, producendo quello che è universalmente conosciuto come uno dei peggiori seguiti mai prodotti: Devil May Cry 2. Abbiamo già avuto modo di accennare cosa avesse di sbagliato il titolo di per sè nella nostra recensione della HD Collection, ma in questo episodio di Devil Never Cry analizzeremo perchè tutto ciò è accaduto e quali eventi e idee hanno portato al fallimento del secondo capitolo. Benvenuti, e buona lettura in questa seconda puntata di Devil Never Cry : What went wrong with Devil May Cry 2.
Una cosa molto importante all’interno di un videogioco che fa dello stile il suo caposaldo – e spesso snobbata specie dai giapponesi – è l’autorialità del direttore. Nessuno meglio dell’originale creatore capisce cosa rende il proprio gioco speciale, in particolar modo quando il titolo è nato e cresciuto seguendo le sue idee. Nel caso di Devil May Cry abbiamo visto che questa figura coincide con Hideki Kamiya, padre della serie e in futuro direttore di Bayonetta. La sua filosofia su cosa il gioco doveva essere è stata vitale al successo della prima avventura di Dante, quindi ci si aspettava un ampliamento del concetto con miglior comaprto grafico e magari una longevità ottimizzata da Devil May Cry 2. Purtroppo Capcom ha, come succede molto spesso, frainteso ciò che significa per davvero “fare un seguito migliore”.
La direzione che l’azienda ha voluto prendere con Devil May Cry 2 è la perfetta dimostrazione di ciò che, contemporaneamente, Kojima criticava con il suo capolavoro Sons of Liberty: la cultura del “seguito più spettacolare e più grosso”. Tutti all’epoca, quando aspettavano un nuovo capitolo di un gioco, si aspettavano il capitolo precedente ma più in grande, con mappe più estese, grafica migliore e magari qualche meccanica in più. Questi erano gli elementi che si credevano essenziali per un seguito perfetto all’epoca, e non solo come dimostrano certe produzioni odierne; mantenerne l’autorialità era secondario rispetto all’ampliarne i contenuti. Di conseguenza Capcom iniziò i lavori sul titolo, con la sicurezza di avere una miniera d’oro tra le mani, ma senza il piccone per estrarre quell’oro. Hideki Kamiya, anima e padre della serie, era escluso dal progetto. Non solo, Capcom non lo mise nemmeno al corrente dell’esistenza del progetto, escludendolo totalmente dai lavori sul seguito della serie creata dalla sua visione.
Bisogna però specificare una cosa: il risultato disastroso che ci troviamo ora tra le mani è causa del fatto che Capcom si rifiutò di comprendere a pieno le idee che rendevano il primo titolo speciale. Su un livello superficiale infatti, Devil May Cry 2 aveva tutto in regola per poter essere un buon seguito: manteneva lo stylish system, aveva un comparto grafico migliorato ma con un ispirazione artistica di tutto rispetto e manteneva lo stesso ritmo di gioco del primo episodio, con tanti boss e livelli corti ma pieni di pericoli. Peccato però che questi elementi non siano sostenuti dai particolari che li rendevano divertenti nel primo titolo: lo stylish system, ad esempio, è ridotto a una semplice barra che rispecchia quanti colpi si è riusciti a infliggere in un certo periodo di tempo e senza subire danni. L’elemento coreografico che rendeva l’intero gameplay unico e divertente è stato completamente rimosso, con armi dalle combo uguali e banali.
Per quanto riguarda il ritmo di gioco, è vero che Devil May Cry 2 mantiene la struttura del primo, così come è vero che lo stile grafico sia azzeccato e accattivante, però le mappe sono piatte e banali, senza interconnessioni e con pochissimo stimolo verso l’esplorazione. Così facendo non solo si perde una parte preziosa dell’appeal di Devil May Cry, ma si va a perdere anche la connessione con Resident Evil e quindi si ripudia la particolare storia che ha portato alla creazione del brand.
Questo non solo perchè è venuta a mancare l’autorialità di un genio quale Hideki Kamiya, ma perchè la direzione intrapresa era la più sbagliata possibile. Una direzione che sembra scelta da economisti piuttosto che da creativi. Ovviamente l’intera verità non la sapremo mai, ma bisogna evidenziare come, sebbene l’allontanamento di Kamiya sia parte di un comportamento sleale e scorretto, il cambio di direzione non è necessariamente sintomo di un pessimo titolo. Difatti dopo la “morte” di Dante nel secondo gioco, il brand è stato resuscitato con Devil May Cry 3 ” Dante’s Awakening”, titolo che riteniamo tutt’ora il migliore della serie e non diretto da Hideki Kamiya. Però per poter portare il brand a dei nuovi picchi, il direttore di DMC3, Hideaki Itsuno, ha dovuto prendere a piene mani dall’ideologia di Kamiya, studiandola e capendo come evolverla senza danneggiare la sua legacy.
Questo è l’approccio perfetto quando si sviluppa un seguito: capire cosa rende l’originale speciale e ampliare la cosa, integrando le proprie idee. Ma Devil May Cry 2 non fece questo, Devil May Cry 2 si limitò a migliorare il lato superficiale del gioco tentando, piuttosto goffamente, anche di riproporre la storia del primo devil may cry in salsa più melodrammatica. Cosa ha sbagliato quindi, in breve, Capcom? L’atteggiamento. Il voler fare un seguito senza aver compreso perchè il primo titolo è diventato famoso, senza aver capito la visione dietro a un gioco speciale, senza aver capito come mai sei riuscito a cambiare il medium.
Ciò che manca a Devil May Cry 2 è una direzione autoriale: questo rende il gioco ciò di più lontano che possa esistere dal concetto di “arte videoludica“, cioè un titolo “cashgrab”, voluto e inteso da dei businessman, senza la passione di un team a sostenere il progetto. This is what went wrong with Devil May Cry 2, ed è qualcosa da ricordare nella storia dei videogiochi.
Così come Devil May Cry 1 ha creato un genere, Devil May Cry 2 rappresenta un monito per i consumatori e i produttori di questa industria. Il monito della pessima gestione di un brand, che fortunatamente è stato rimesso sulla giusta via, a differenza di molti altre serie, anche di successo, che continuano a rilasciare titoli senz’anima e senza ambizione.