Devil Never Cry – Best of the Boss
Nel primo episodio di Devil Never Cry, abbiamo lodato il primo capitolo della serie, nel secondo abbiamo appurato il fallimento del secondo, e ora, andremo indirettamente ad affrontare i punti di forza del terzo; pur sfruttando un discorso più generale, e coinvolgendo l’intera saga.
L’argomento di oggi è un evergreen, specie nei vari generi action, e riguarda quei momenti dove i giochi uniscono sfida e adrenalina, materializzando in un ostacolo il muro da superare e l’estasi della battaglia: parliamo di boss fight. Da buon precursore del genere stylish action (o character action), Devil May Cry non può non avere una forte enfasi sui boss, difatti gran parte dei momenti più memorabili e più importanti di tutti e cinque i capitoli (considerando DMC, che avrà un extra in questo editoriale) coincidono con degli scontri contro i boss.
Quale miglior modo di analizzare l’approccio di una serie tanto unica alle boss fight, che non con una top dei nostri migliori boss? Quindi sedetevi comodi, prendete una fetta di pizza e selezionate il giusto accompagnamento dal vostro jukebox, perché affronteremo uno degli argomenti più divertenti da analizzare in questo nuovo episodio di Devil Never Cry – Best of the Boss.
Extra – Bob Barbas
Non potevamo esimerci, dal parlare di DMC: Devil May Cry. Il controverso titolo di Ninja Theory che puntava a essere un reboot per l’intera saga. Dopo un oggettivamente poco ispirato artisticamente Devil May Cry 4 che però a livello di gameplay proponeva una formula eccellente, con il miglior sistema di combattimento per Dante, il titolo di Ninja Theory doveva riuscire a conquistare i giocatori senza fargli rimpiangere la vecchia serie. Un arduo compito che lo studio non è riuscito a portare a compimento.
Dmc: Devil May Cry non è un brutto gioco, anzi si propone come un action di tutto rispetto, dall’eccezionale estro artistico e un gameplay semplificato rispetto ai precedenti ma comunque estremamente soddisfacente. Però il titolo pecca in alcuni frangenti fondamentali per i fan di Devil May Cry, peccando anche in arroganza talvolta. Il simbolo in cui trovare luci e ombre del progetto di Ninja Theory è proprio la boss fight di Bob Barbas, una delle poche battaglie contro dei boss di DMC:Devil May Cry.
La battaglia si propone con una formula sperimentale, difatti è più facilmente collocabile nel genere del platform che in quella dello stylish action. Durante lo scontro con Bob Barbas il boss sarà fermo al centro dell’arena e lancerà degli attacchi da schivare saltando nei punti sicuri: per rendere vulnerabile il boss bisogna colpire dei tasti sparsi per l’arena che permetteranno di attaccarlo e di entrare nei suoi occhi. La battaglia rappresenta bene lo spirito con cui Ninja Theory si è approcciata allo sviluppo di DMC, così come il loro non aver compreso cosa i fan vogliono da un Devil May Cry.
Lo scontro con Bob è frenetico, ma in un modo atipico per la saga Devil May Cry: il ritmo della battaglia non è nelle mani del giocatore e variabile in base alla sua abilità, ma è deciso dal boss. I continui cambi di inquadratura quando si entra negli occhi, la musica e l’ambientazione rendono questo boss unico e memorabile, ma lo stesso concetto di battaglia scriptata su cui si basa è l’opposto di ciò che Devil May Cry ha sempre voluto proporre, persino col secondo capitolo (escludendo solo la battaglia con mundus nel primo Devil May Cry). L’abilità del giocatore viene limitata dagli script del gioco, per favorire una spettacolarità “cinematografica” che tanto va di moda, ma che poco impressiona chi è abituato a creare le situazioni spettacolari con le proprie mani.
Ed è in questo che si vedono luci e ombre di DMC: Devil May Cry. Un titolo originale, sperimentale e con voglia di incidere, ma che non capisce (e a dirla tutta non ha mai voluto capire) cosa i propri fan cercavano dal gioco. Un ottimo action, ma un Devil May Cry fondamentalmente errato.
5 – Belias Devil May Cry 4
Devil May Cry 4 è il primo (e a ora unico, in attesa del V) a sostituire Dante come protagonista, in favore di una controparte più giovane e dal gameplay differente alle fondamenta. Una scelta coraggiosa, che mette sulle spalle di Nero una grandissima responsabilità: convincere il mondo che Devil May Cry non ha bisogno di Dante. Il gameplay del nuovo arrivato si basa su un concept nuovo per la serie, che verrà poi riutilizzato in DMC: Devil May Cry e, a quanto si è visto, in DMC V, cioè la mano demoniaca. Nero è in grado, tramite la sua mano, si effettuare prese, contrattacchi e spostamenti con una comodità che Dante non poteva vantare.
Non è però semplice stabilire un legame con nuovo personaggio, specie quando sostituisce un protagonista carismatico e sorprendentemente ben scritto come Dante (che in Devil May Cry 3 si stabilisce come personaggio fenomenale). Quindi quale prova migliore per mostrare le potenzialità di Nero se non la prima boss fight; ed è qui che entra in gioco Belias, Minotauro demoniaco infuocato dal design fenomenale e primo vero boss di Devil May Cry 4.
Davanti a questa battaglia Nero deve provare di essere pronto a sostenere il peso che ha sulle spalle, sia all’interno della storia del gioco, dove è presentato come inesperto, sia nella mente dei giocatori. La domanda che attanaglia il giocatore rimane: “Potrà il gioco giovare dall’assenza di Dante, grazie a Nero”? Sebbene la risposta a questa domanda sia un secco no, dato che Dante sarà successivamente giocabile e in una forma smagliante che farà presto dimenticare Nero, la battaglia con Belias esplora molto bene le meccaniche nuove di Nero. Tramite le proiezioni attuabili con la mano si può gestire al meglio il ritmo della battaglia, e la nuova meccanica di Nero permetterà anche di infliggere ingenti danni e guadagnare molti punti stylish, nel caso si riesca a infliggere abbastanza danni alla testa del boss.
Un rito di iniziazione per Nero sicuramente, ma anche per il giocatore. Infatti nel caso un novizio si approcciasse a una serie notoriamente complicata come Devil May Cry, cercando di giocare a una difficoltà che ancora non può completare, sarà proprio Belias probabilmente a obbligarlo a tornare sulle sue decisioni. Belias è un osso duro, con attacchi dal grande range e in grado di infliggere molto danno, ma non sarà solo soddisfacente sconfiggerlo con Nero. Verso fine gioco, si dovrà riaffrontare la battaglia utilizzando Dante, e questo chiuderà il cerchio di metanarrazione del gioco, dove il giocatore dovrà riaffrontare la prima sfida che ha mai visto, ma con una maggiore abilità e consapevolezza.
Piccolo extra: la cutscene di presentazione del boss, quando riaffrontato con Dante, è una delle più esilaranti della saga, motivo in più che rende memorabile Belias.
4 – Cerberus
Abbiamo appena finito di lodare Belias come boss introduttivo, ma siamo già al punto di doverlo parzialmente sminuire. Cerberus difatti si piazza in una posizione più alta, essendo anche una tipologia di boss molto simile. Se Belias doveva essere l’introduzione di Nero nel mondo di Devil May Cry, allora Cerberus è stato il battesimo (cronologico) di Dante, oltre che di tanti giocatori, compreso il sottoscritto. Cerberus si piazza sopra a Belias per dei meriti extra, che non risiedono nella battaglia in sè. A livello di gameplay sono entrambi eccezionali e sono entrambi boss prevalentemente immobili in grado di punire l’avarizia ma premiare l’abilità di sperimentazione o di combattimento. Cerberus in particolare può essere immobilizzato e reso innocuo per un certo periodo puntandolo alle zampe, questo riesce anche a dare un punto di interesse su cui concentrarsi per non interrompere le combo quando il cagnone farà la carica. Ciò che però permette a Cerberus di rimanere impresso della memoria lo si può ritrovare in 2 fattori:
Il primo è la difficoltà della battaglia. Cerberus non è un ostacolo facile, ed evidentemente non è stato pensato per essere abbattuto velocemente. Se Belias è il nemico che probabilmente ha portato molti novizi a usare la modalità facile, Cerberus è sicuramente ciò che a portato definitivamente a compiere la scelta di diminuire il livello di difficoltà del gioco. Questo grazie a un involontario aiuto, proveniente da Capcom, che ha fatto si che la modalità normale di Devil May Cry 3 fosse in realtà la modalità difficile. Abbattere Cerberus rappresenta una conquista, qualcosa di cui andare fieri e un vero e proprio pass con scritto “Benvenuto in Devil May Cry”, perlomeno fino a quando il capitolo 7 arriverà a demolire l’ego del giocatore.
Il secondo invece sta nel fattore metanarrativo di Devil May Cry 3, che vanta la miglior, seppur subdola, narrativa della serie. Dante ha appena aperto il suo Bar, il futuro Devil Never Cry, e si approccia ora al suo primo vero grosso lavoro da ammazza demoni. Eppure il ragazzo non è spaventato, anzi il Dante di DMC3 è molto più spavaldo e arrogante di quello visto nelle due due avventure antecedenti. Utilizza la sua semi-immortalità per togliere le armi ai nemici e gestisce orde di demoni tra un morso a una pizza e l’altro. Per portarlo alla realtà e fargli capire con cosa ha a che fare serve una sfida, ed è qui che entra in gioco Cerberus: il guardiano della temibile Temen-Ni Gru.
Il tono del gioco cambia istantaneamente appena Cerberus uccide più e più volte il giocatore, fa capire che il viaggio di Dante sarà complesso, che i nemici da affrontare sono al di sopra delle capacità del giocatore che dovrà impegnarsi per essere il Dante figo che si vede nelle cutscene. Contemporaneamente però, Cerberus serve anche a Dante, come primo avvertimento e inizio di un processo di maturazione che porteranno il nostro protagonista a prendere sulle spalle il destino della sua famiglia e della vita di Lady, man mano che si avvicina allo scontro finale con il suo rivale… ma di questo ne riparleremo.
3 – Nelo Angelo
Abbiamo già parlato, nel primo episodio del Devil Never Cry, di quella che è probabilmente la più memorabile battaglia dell’originale Devil May Cry. La battaglia con Nelo Angelo è il primo esempio di “battaglia del doppelgänger”, un boss con dimensioni e move set che ricordano quelle del giocatore. Questa formula di boss fight è estremamente intrigante ma anche complessa da equilibrare: in esempi recenti di grande rilevanza, possiamo trovare Lady Maria di Bloodborne come tentativo non propriamente riuscito di concretizzare questa tecnica. La boss fight del titolo soulsiano è spettacolare, ma eccessivamente semplice a causa dell’equilibrio di statistiche tra giocatore e nemico.
Nessuno, meglio del giocatore esperto, conosce i limiti del proprio personaggio e riuscire a creare una sfida con la formula del doppelgänger deve tenere in considerazione anche questo. Nero Angelo ci riesce grazie a dei danni alti ma non disonesti e a delle mini sezioni platform che danno un vantaggio tattico al boss. Queste sezioni possono sembrare anti-climatiche all’apparenza, eppure il level design permette, di accorciare la distanza rapidamente e quindi di riuscire a controllare il ritmo della battaglia, con la giusta abilità.
Considerando ciò che andremo a vedere nelle prossime posizioni, solamente questo potrebbe giustificare l’importanza di Nelo Angelo nell’ecosistema delle battaglie boss di Devil May Cry, ma si sa, non sempre ciò che è importante è anche bello. Fortunatamente non è questo il caso, dato che Nero Angelo non è importante solo perché precursore di altri, fenomenali, momenti ma risulta come una boss fight veramente eccezionale. Il modo in cui lo si incontra riesce subito a creare l’atmosfera giusta, e introduce una narrativa silenziosa che, tramite poche scene riesce a avvolgere il personaggio in un alone di mistero che cresce fino all’ultimo scontro. Ove dopo aver dato tutto nell’ultimo scontro, Nelo Angelo rilascia la metà di un medaglione, con sopra inciso un nome: un nome destinato a tornare e a far parlare molto di sè: “Vergil”.
2 – Credo
Se si chiede a qualcuno che ha giocato a DMC quale sia il boss più memorabile del quarto capitolo, c’è una buona probabilità che la risposta sia Credo. Questo per dei buoni motivi, sicuramente, ma bisogna ammettere che già dall’impatto Credo lascia il segno. Il design è fenomenale, tanto che per una delle poche volte nella saga, si vorrebbe avere il suo outfit al posto della giacchetta del protagonista.
Credo si pone come penultimo ostacolo nel primo viaggio di Nero, e sebbene narrativamente non sia molto incisivo (come tutto Devil May Cry 4) la battaglia riesce a compensare in modo eccellente questa mancanza. Se Belias era l’introduzione al gameplay di Nero, Credo è la sua sublimazione. Uno scontro che può ricordare all’apparenza la formula del doppelgänger, ma che in realtà pone davanti due eccezionali guerrieri con stili di combattimento molto diversi. Il move set di Credo è completo, praticamente perfetto, ha attacchi veloci a corto raggio, grazie al suo scudo, ha attacchi pesanti a corto e lungo raggio e ha una mobilità invidiabile.
Per soggiogare un nemico simile non basta giocare normalmente, non basta utilizzare la spada o la blue rose, per riuscire a combattere Credo a difficoltà alta serve dar fondo alla risorsa unica e caratterizzante di Nero: la mano demoniaca. La mobilità di Credo può essere un problema, ma utilizzando il grab della mano demoniaca il gap viene presto interrotto, sebbene Credo sia pronto all’evenienza e quindi veloce a reagire. In modo simile si gestiscono il suo scudo e la sua lancia, quest’ultima in grado di essere presa al volo quando lanciata e rispedita al mittente. A livelli di difficoltà alti, la battaglia tra Nero e Credo è forse la più coreografica attualmente presente nella serie, che pecca solo di una povera efficacia all’interno della narrativa.
1 – Vergil
Chi è sorpreso di questa posizione non ha mai giocato o finito Devil May Cry 3 ma è proprio per loro, che ho il piacere di spiegarvi come Devil May Cry 3 ha confezionato una delle migliori boss fight mai esistite e che mai esisteranno. In una notte di pioggia, in cima a una torre infernale, due figli di demoni si scontrano, facendo risuonare il rumore delle spade ma mettendo a confronto anche degli ideali diametralmente diversi. Vendetta, potere e controllo spingono un carismatico Vergil verso il suo obbiettivo di acquisire i poteri del padre e uccidere Mundus, re dei demoni. Il carisma del fratello di Dante è tanto forte da far dubitare il nostro protagonista, da sempre piuttosto menefreghista, dei suoi comportamenti. Dante si presenta al primo scontro, convinto di poter risolvere la faccenda come ha sempre fatto, ma non può; Vergil è troppo forte, Vergil è troppo determinato, Vergil è migliore di lui.
Dante ha superato alcune sfide per arrivare da suo fratello, ma non ha ancora accettato le responsabilità dell’essere un figlio del leggendario demone Sparda. E perde. Nel capitolo 7 arriva un momento che nessuno si aspettava veramente, nessuno pensava che a fallire lo scontro sarebbe stato Dante e non il giocatore che lo controlla. Il primo scontro di Vergil è complesso e magnifico, con un atmosfera mozzafiato e il suono della pioggia ad accompagnare i colpi di spada dei due protagonisti; uno scontro che, come gli altri, deve essere imparato e superato migliorando nel gioco stesso. Ma a differenza degli altri boss, il miglioramento del giocatore non basta.Vincere la boss fight mette i giocatori davanti non a un premio, ma a un umiliazione del proprio personaggio.
Vergil è forte, e non deve essere sottovalutato. Il gioco da tutti gli indizi per rendersene conto: il primo grandissimo esempio è dato dal fatto che Cerberus, era il suo cagnolino. Il primo boss del gioco, che richiede diversi minuti di battaglia per Dante, viene ucciso in un sol colpo da Vergil, e non un colpo particolarmente impegnato. Il gioco fa un lavoro magistrale a mascherare l’estrema pericolosità Vergil dietro l’arroganza e la comicità di Dante, tutto per costruire un build up verso il capitolo 7, dove il gioco smette di scherzare e il nostro protagonista è riportato alla realtà. Ma con questa bruciante sconfitta, Devil May Cry 3 inizia il percorso che si era prefissato dall’inizio: Dante deve leccarsi le ferite e iniziare a capire cosa significa la propria esistenza. Devil May Cry 3 è una storia delle origini, la Dante Awakening non è solo per i suoi poteri demoniaci, sbloccati per la prima volta, ma per il personaggio in generale che, capitolo dopo capitolo, impara ad accettare le responsabilità comportate dalla sua esistenza. E tutto questo non avrebbe mai funzionato senza un eccezionale boss fight come quella del capitolo 7 con Vergil e senza il build-up metanarrativo che il gioco dona a questo magnifico personaggio.
Eppure il ruolo del fratello di Dante è solo all’inizio. Nel gioco lo si riaffronterà 2 volte, una volta pareggiando e l’altra nello scontro finale. La seconda battaglia è la più sottovalutata in generale, ma è eccezionale la sua presenza. Funziona da checkpoint per misurare le abilità del giocatore e la maturazione di Dante e dimostra che entrambi stanno migliorando invista dell’obbiettivo finale. Ma il pareggio non va giù a Vergi che a sua volta si migliora, grazie anche al tradimento del suo più vicino sottoposto, perché improvvisamente si rende conto di essere molto più lontano dal proprio obbiettivo di quanto pensasse.
Quando si incontrerà nuovamente Vergil, questo sarà migliore. Ma prima di metterti dinnanzi al meraviglioso showdown tra i due fratelli, il gioco decide di andare in overdose di adrenalina e permettere a Dante e Vergil di combattere assieme, creando coreografie fenomenali e scene epiche che rimarranno nella storia. Dopotutto, se qualcuno afferma di non aver applaudito al “jackpot” sicuramente sta mentendo.
Ma dopo questa breve e fighissima parentesi, utile a mostrare come i due siano fratelli e abbiano punti di connessione, si arriva alla fine. Capitolo 21: Sconfiggi Vergil. La resa dei conti, uno scontro speculare a quello visto in Capitolo 7, ma con un Vergil che può contare su una nuova arma e su un move set migliorato e più aggressivo. Questa è la fine, l’ultima prova per Dante, per prendersi la responsabilità di famiglia sulle spalle e l’ultima per il giocatore, per dimostrare di essere abbastanza capace da superare tutte le avversità di Devil May Cry 3: il risultato parla da solo!
Una boss fight perfetta, magnifica da imparare, soddisfacente da finire e toccante per lo sviluppo di Dante. Una battaglia superficialmente epica, ma nel suo nucleo estremamente triste, tra due fratelli divisi da un ideologia parallela, ma perfettamente consapevoli di essere persone uguali. Due persone che si vogliono bene, ma non possono permettere ai sentimenti di intralciare il destino del mondo. Vergil dimostra a Dante di volerlo dalla sua parte, e Dante piange alla morte di Vergil, dando anche il titolo alla serie.
Dopotutto l’avventura è iniziata in un bar senza nome, e dopo aver conosciuto il dolore portato dalla sua prima vera avventura, dalla sua genesi, cos’altro poteva scegliere Dante se non: Devil May Cry.