Death Stranding: verso la recensione – X come…
Tutte le ispirazioni, reali e presunte, del titolo di Kojima Productions... con la lettera X
Death Stranding, con la recensione quasi alle porte, si mostra al pari di un poliedro dalle mille sfaccettature ed è Kojima a definirne superficie e volume, anche grazie all’assurda babele di influenze che lo hanno mosso, volontariamente o meno, durante il processo creativo.
X come X
Ci sono storie create perché chi le ha create sente di avere qualcosa da raccontarci; poi ci sono quei canovacci narrativi che, evocando emozioni primordiali, mirano più a indicarci il percorso che a tracciarlo per noi, lasciandoci il compito di colmare gli apparenti vuoti narrativi con la rifrazione in essi di ciò che proviamo o pensiamo nell’esperirli.
Questi due poli sono sommari, certo, ma non per questo inesatti e il nord della bussola creativa di Kojima ha sempre puntato nella generica direzione del primo, vuoi per una sua identità autoriale, vuoi per le politiche restrittive di Konami; ora Kojima è “libero” e siamo profondamente convinti che Death Stranding ne sia la miglior espressione.
Non stiamo presupponendo che sia per forza il capolavoro annunciato che molti sperano o vogliono, però non possiamo dissimulare la curiosità di scoprire la vera portata dell’estro artistico di Kojima, senza redini o filtri; la lente con cui andremo ad osservare la sua prima opera “indie” siamo noi stessi, ecco l’incognita di cui sopra.
Se per i primi trailer il focus era sicuramente sulla resa del mood generico del titolo, fra enigmatici simbolismi e mirabolanti specchietti per le allodole, bagnandosi giusto la punta delle dita con meccaniche o gameplay, sono arrivati i due trailer di gameplay dal Tokyo Game Show 2019 a confermarci la natura così “personale” di Death Stranding, tanto per Kojima quanto per noi che andremo ad affrontarla: lui ha una storia da raccontare, certo, ma il percorso lo dettiamo noi; lontana è l’arroganza di essere un gioco a scelte multiple come Detroit: Become Human o uno dei vari Telltale, e dimenticatevi l’esplosiva narrativa a binari di un Uncharted.
Death Stranding è contemporaneamente sé e noi, e nell’equazione della sua identità rappresentiamo l’incognita contrapposta alla “costante Kojima”, tanto che non ci sorprenderebbe se il mondo di gioco fosse “solo” il contesto in cui narrare la NOSTRA storia, al pari degli zombie in The Walking Dead o, in parte, degli infetti in The Last of Us.
Avremo il potere di definire profondamente la nostra esperienza di gioco ma anche quella degli altri, in un contesto di attività multiplayer cooperativa che giustifica appieno il concetto “bastoni / corde” introdotto da Kobo Abe e messo da Kojima alla base dell’esperienza Death Stranding.