Death Stranding: verso la recensione – T come…
Tutte le ispirazioni, reali e presunte, del titolo di Kojima Productions... con la lettera T
Le influenze di Death Stranding provengono da mille universi intellettuali diversi e oggi, in attesa della recensione, ne esploriamo uno letterario.
T come The Road
Qualche indizio? Un mondo distopico post-apocalittico, una strada da percorrere, pericoli che costantemente minacciano la sanità mentale e fisica, un infante/bambino di cui prendersi cura.
Quello del romanzo di Cormac McCarthy è forse l’influenza che meno ci dovremmo trovare a giustificare, visti i molti elementi in comune, ma seguiteci lo stesso in questo esercizio mentale.
Una delle osservazioni più democratiche fatte all’opera di McCarthy è che non sia fatta per divertire o per porsi ad allegoria o monito di un eventuale messaggio: è una storia di sopravvivenza in un mondo senza speranza, la storia di un uomo che procede a testa alta senza nemmeno farsi passare per la testa il suicidio o di ricorrere al cannibalismo, e la domanda è… perchè?
Il padre senza nome è imperterrito nella sua sicurezza, esplicitata o meno, che ci sia speranza alla fine di tutto, ed è talmente radicato in questa convinzione che cerca di convincere il figlio della stessa cosa; la piccola famiglia di The Road lotta quindi per arrivare lì, a quella destinazione immaginaria che dovrebbe salvarli o almeno facilitare il resto dei loro giorni ed è qui che Death Stranding vi si dissocia.
Sam è senza particolari speranze, il meglio del suo mondo è metaforicamente alle sue spalle e la sua patria è stata dilaniata da un evento che ha fratturato forse irrimediabilmente la struttura sociale a cui l’umanità era abituata; un uomo senza futuro diventa quindi simulacro del futuro stesso della società, spalla su cui si poggia precariamente il futuro (almeno) delle United Cities of America.
Nella sua prosa McCarthy è incredibilmente ermetico, con dialoghi essenziali e parole talmente affilate da tagliare persino i segni di punteggiatura, meri accessori in un mondo fatto di silenzi come quello di The Road; la creatura di Kojima Productions è un po’ più prolissa ma senza sforare troppo l’essenzialismo, usando le parole come componenti di un complesso patchwork narrativo che si va delineando trailer dopo trailer, complice un lore che definire oscuro è essere gentili.
Siamo curiosi di scoprire se c’è spazio per la speranza, nel mondo di Death Stranding.