Death Stranding: verso la recensione – J come…
Tutte le ispirazioni, reali e presunte, del titolo di Kojima Productions... con la lettera J
Parlando di Death Stranding, durante questa nostra strada verso la recensione, è quasi impossibile non parlare di The Last of Us.
J come Joel
É un pensiero inquietante, ma necessario: cosa sarebbe questo pianeta senza di noi?
Quanto rimarrebbe del nostro contributo, e dei nostri danni, se ci estinguessimo tutti nel giro di qualche mese?
The Last of Us, come altri, ha affrontato egregiamente l’argomento, mostrandoci una natura finalmente di nuovo al potere, una forza ora inarrestabile che si riprende insidiosa i suoi spazi, scivolando fra cemento e mattone.
In quel contesto, come in parte in Death Stranding, questo mondo serenamente naturale è solo tangenzialmente scalfito dal dolore degli esseri umani che lo vivono, abbattuti da una mera sopravvivenza che soppianta quella che una volta era un vita quasi scontata, un contrasto efficace come pochi altri per rimarcare i ruoli inversi che ora più che mai stiamo vivendo.
The Last of Us ci mostra un mondo in cui sono ben chiare le conseguenze di ogni singola scelta morale, discutibile o meno, una realtà quotidiana fatta di violenze (forse) necessarie, un presente talmente disperato da aver reso nòa persino il cannibalismo: ma lì, come in Death Stranding, siamo convinti che ogni cosa abbia il suo prezzo, tanto che, se siamo a guadagnarci la sopravvivenza, noi si deve essere pronti a perdere parte della nostra umanità, della nostra pace mentale, della nostra stessa identità.
Ho dovuto… lottare a lungo per sopravvivere, e non… Qualunque cosa accada, continui a trovare una ragione per cui lottare.
In entrambe le opere sembra che i protagonisti siano lì per salvare il genere umano, l’umanità stessa, ma in fin dei conti è quasi più un percorso di accettazione che di redenzione: il mondo va avanti anche senza di noi.
Non è la morte di Sarah a spingere Joel oltre il baratro, non va cercando vendetta sui militari che lo hanno costretto a separarsene per sempre, piuttosto è l’incontro con Ellie a metterlo di fronte all’evidenza più letale di tutte: ha passato anni a bloccare i pensieri su sua figlia e il ritrovarsi a tenere a questa nuova figura filiale lo sta mettendo nel mindset di superarne finalmente il lutto.
Quando Joel confronta Ellie e le dice
Hai ragione. Tu non sei mia figlia e io non sono tuo padre. E ognuno andrà per la sua strada.
lo sta dicendo più a sé stesso che a lei, quasi a voler finalmente accettare che sua figlia è morta ma che questo non vuol dire che non possa amare e proteggere un altro essere umano, qualcuno la cui sopravvivenza fisica e mentale ormai dipende da lui.
Siamo convinti che anche il protagonista di Death Stranding abbia subito un lutto ma che non l’abbia ancora pienamente affrontato e superato, quello di sua moglie: forse i fantasmi della sua psiche sono pronti a fargli visita durante il lunghissimo viaggio verso la costa ovest che lo attende, ulteriore conferma che, come abbiamo già detto in passato, la scarpinata fisica attraverso l’America non è che la sublimazione nel reale di un percorso psicologico ed emotivo che Sam DEVE affrontare per lasciarsi alle spalle quell’onta simile al petrolio che sembra sporcargli mani e animo, al pari di una moderna Lady Macbeth.
What, will these hands ne’er be clean?
Il percorso di Joel in The Last of Us è largamente prono a interpretazioni, un po’ come la trottola di Inception, ed è difficile considerare sbagliata l’una o l’altra posizione a riguardo: come sempre siamo noi giudice, giuria e boia di ogni nostra esperienza e l’equità non possiamo che trovarla in noi stessi e nella nostra bussola morale.