Death Stranding: verso la recensione – F come…
Tutte le ispirazioni, reali e presunte, del titolo di Kojima Productions... con la lettera F
Pronti per un altro viaggio fra teorie, narrativa e cospirazioni in attesa della recensione dei Death Stranding ?
Cinture allacciate, signori, e buon viaggio.
F come Faber
Uno dei primi pezzi dell’enorme puzzle costituito da Death Stranding, affrontato insieme all’inizio del viaggio, ci vedeva cercare di comprendere il mistero dell’Homo Ludens, non mera icona di Kojima Productions ma apparentemente parte integrante del patchwork narrativo del titolo.
La stessa tagline “From Sapiens to Ludens” implica un’evoluzione, già in atto o sul nascere, dall’uomo che sa all’uomo che gioca.
Il concetto di Homo Ludens deriva da un libro di cui analizzeremo i contenuti in uno dei prossimi editoriali, ma avremmo piacere di soffermarci su un altro aspetto, ossia quell’Homo Faber già citato da Kojima in un messaggio relativo alla creazione del suo Kojima Productions e riferimento a un testo del 1957, “Homo Faber” di Max Frisch: narrato in prima persona, il racconto vede il protagonista, Walter Faber, ingegnere di successo dell’UNESCO, rovesciare completamente il proprio modo di vedere il mondo e l’ottica attraverso la quale viverlo dopo una serie di eventi fortuiti e il riemergere di alcuni fantasmi del suo passato, repressi da troppo tempo.
Allargando lo zoom della nostra analisi, Faber si trova costretto a lasciare alle spalle un sé profondamente razionale e orientato alla praticità, evolvendo in qualcosa… di più.
Sono diversi i temi che la novella affronta, alcuni assonanti a quelli di Death Stranding, altri che invece sembrano distaccarsene, ma la chiave di lettura rimane quella di un’ideologia radicata nella certezza della tecnologia come filosofia che tutto può e che tutto ci permette di controllare, realtà “assoluta” che viene contraddetta dagli eventi del romanzo.
È inoltre centrale il contrasto fra destino e casualità, complice una serie di eventi che possono essere liberamente interpretati come una sequela di coincidenze che portano a un risultato imprevisto o, al contrario, come una sequenza di azioni predestinate risultanti in un outcome necessario; è un conflitto peraltro mai risolto.
Quello che però più ci interessa, di “Homo Faber”, è il concetto di viaggio, nel quale, nuovamente, si esprime dualismo e antitesi: Walter è costantemente in spostamento da un punto A ad un punto B, costante che alimenta il forte senso di delocalizzazione del personaggio e forse dell’essere umano in generale; non ha una casa, non ha una vera famiglia, non ha una patria, solo la più sbiadita ombra di una connessione permanente con qualcuno o qualcosa, perennemente in fuga dalle responsabilità, dai legami, dai giudizi.
Noi esistiamo soprattutto in base ai legami che creiamo e in questo Walter, al pari di quanto espresso dal paradosso del gatto di Schrödinger, esiste ma non esiste, parte della grande ragnatela dell’esistenza ma non connesso a nulla di tangibile quindi egli stesso senza vera tangibilità.
Forse l’Homo Faber è il noi che dobbiamo lasciarci alle spalle, forse è la parte di noi che va evoluta, l’antitesi all’Homo Sapiens che potrà condurci alla sintesi offerta dall’Homo Ludens.
E forse sarà Kojima, attraverso Death Stranding, a condurci lì…