Death Stranding: verso la recensione – D come…
Tutte le ispirazioni, reali e presunte, del titolo di Kojima Productions... con la lettera D
Il treno dell’hype non fa fermate e, con la recensione di Death Stranding sempre più vicina, arriviamo alla D del nostro abbecedario di Death Stranding.
D come Divina Commedia
Nell’analizzare un gioco che parla di viaggio non si poteva non citare il viaggio per antonomasia, quello di Dante nella sua Commedia.
Evitando gli ovvi (e già affrontati) riferimenti di Death Stranding al concetto di morte e purgatorio, è curioso scoprire un parallelismo fra l’opera di Alighieri e un certo William Blake che abbiamo conosciuto all’inizio di questo viaggio, con il suo “Auguries of Innocence”.
Il poeta, anche incisore e illustratore, decise infatti di dedicarsi, fino alla sua morte, alla rappresentazione grafica dell’opera di un artista di cui sentiva di condividere, a più di 500 anni di distanza, morali e idee. Blake è sempre stato molto portato alla spiritualismo, tanto che molti dei suoi quadri fanno riferimento ai racconti biblici, ma non è in questa trasposizione che andremo a cercare un parallelismo, piuttosto in quella cinematografica di Bertolini, Padovan e De Liguoro del 1911.
C’è in particolare un frame che, a noi come ai mastini del web, sembra fin troppo identico ad una scena del trailer di Death Stranding in cui il personaggio di Léa Seydoux attende con Sam il passaggio della Timefall.
Messi fianco a fianco è difficile non vederci qualcosa di più di una semplice coincidenza ed è curioso vedere come apparentemente a Sam manchi il suo Virgilio, o il suo Dante, ma ad una più attenta analisi si può trovare una profonda motivazione, in questa simmetria in disequilibrio: Sam ha perso la diritta via, tanto tempo fa, e senza un Virgilio a potercelo tirare fuori, è dovuto “diventare” Virgilio, guida di sé stesso attraverso il desolato mondo in cui si ritrova a magare. Ma il Sam che si è smarrito cerca ancora una via di fuga.
D come Dalalæða
L’italiano è davvero una splendida lingua ma, come ogni cosa, esistono situazioni in cui è fallace: se dovessimo provare a descrivere la parola islandese Dalalæða, la sua resa migliore sarebbe “quella nebbia spessa e ad altezza vita che sale dalla valle”.
Chiaro, no?
È proprio questo il modo in cui Low Roar descrive il suo album, quello “0” che già abbiamo analizzato a dovere. Rimane da scoprire se le inflessioni emotive che i Low Roar hanno provato nella composizione sono state frutto del caso, di quell’Islanda così piena di nebbie e valli in cui vivono, o se Kojima c’abbia messo lo zampino.
Considerando il mood generico che abbiamo potuto esperire durante i vari trailer e gameplay, e tenendo bene a mente che con Kojima c’è davvero poco di lasciato al caso, non sarebbe un volo pindarico assurdo arrivare a intuire che il mood generale dell’album di Low Roar sia in fondo la metaforica palette di colori emotivi con cui Death Stranding traccerà le pennellate del proprio mondo.
Prendetevi davvero il tempo di ascoltarvi “0” in totale tranquillità e capirete Dalalæða in un modo talmente profondo da rendere vano ogni sforzo dialettico: è un’esperienza in cui immergersi volontariamente, lasciandosi guidare dalla certezza che non c’è nulla di immediatamente piacevole, quanto piuttosto una gratificazione dilazionata.
C’è la possibilità che Death Stranding sia precisamente così, come una vallata immersa nella nebbia: intensa a livello catartico ed emotivo ma non senza elementi che restituiscono allo spettatore un leggero senso di sconfort, come se fossero in costante sordo pericolo.
Una versione leggermente edulcorata di Silent Hill, essenzialmente.
L’inequivocabile realtà è e rimane che l’ignoto ci inquieta e la nebbia è la manifestazione meteorologica di questa miopia forzata. Un misto di depressione, isolamento e tristezza, ma ciò nonostante incredibilmente affascinante e primordiale, genesi di qualcosa di remoto e incomprensibile.