Death Stranding: verso la recensione – C come…
Tutte le ispirazioni, reali e presunte, del titolo di Kojima Productions. C come Coin Locker Babies e Cicada.
Continua il nostro viaggio attraverso il complesso puzzle chiamato Death Stranding, sulla strada verso la recensione.
C come Coin Locker Babies
Un futuro prossimo ma non troppo remoto, la distopia di una società abbandonata e fatta di abbandonati, una tecnologia avanzata ma che non è mai il centro del racconto: no, non stiamo parlando di Death Stranding ma di un testo che, per sua stessa ammissione, molto ha influenzato Kojima e, ne siamo sicuri, questo suo primo “strand game”.
Coin Locker Babies, nato dalla penna di Ryu Murakami, è stato pubblicato nel 1980 e, se superficialmente potrebbe essere considerato come una storia sulla crescita emotivo-intellettuale dei suoi personaggi, ad uno sguardo più attento si rivela più una finestra mezza aperta sul futuro anarchico da cui non siamo poi così lontani, soprattutto se visto in un’ottica prettamente cyberpunk: è una storia di abbandono, prima ancora che di vendetta, un incrocio fra le fiabe dei fratelli Grimm e l’iconico fumetto di Katsuhiro Otomo, Akira.
Hashi e Kiku sono due ragazzini che, dopo essere stati abbandonati dalle loro madri dentro due armadietti della stazione, si ritrovano a crescere come fratelli all’interno di un orfanatrofio.
Se avete piacere di leggerlo eccovi una rapida premessa, giusto per evidenziare ancora più il parallelismo fra l’opera e Death Stranding: Coin Locker Babies è un surreale frullato di critica sociale, tensione da thriller e orrore, un’opera la cui chiave di volta non è in ciò che l’autore dice, ma in quello che decide di omettere.
C di Cicada
Quella che vi vogliamo illustrare qui è da considerare più come un’influenza emotiva sulla geografia mentale di Kojima che una contaminazione verso Death Stranding.
Probabilmente saprete che, soprattutto negli ultimi anni della loro collaborazione, Hideo Kojima non stava passando il più splendido dei periodi in Konami, lavorativamente parlando: costretto a tempi di lavoro inumani e sotto continue pressioni per far uscire il prossimo capitolo della saga di Metal Gear Solid (Phantom Pain), l’identità artistica e l’innata capacità di spingere il medium videoludico costantemente oltre i propri limiti stavano affievolendosi, nel cuore di Kojima, in una spirale distruttiva che lo ha portato, nel dicembre 2015, ad andarsene dall’azienda alla scadenza del contratto di collaborazione.
C’è poco da rinfacciargli, considerando che Konami gli vietò di andare ai The Game Awards di quell’anno a ritirare il premio come miglior titolo della stagione nella categoria action-adventure per Metal Gear Solid 5: The Phantom Pain.
È stato un divorzio piuttosto inaspettato e senza particolare eleganza, ma siamo felici che questo abbia permesso a Kojima di dedicarsi a un nuovo progetto, in grado di trasporre senza filtri o politiche di mercato ciò che lui e il suo team sono e sono in grado di regalarci. È nelle fasi finali di produzione di Death Stranding che Kojima ha condiviso e poi iniziato il trend #lifeasacicada.
Il riferimento? “Cicada”, un volumetto di 32 pagine del fumettista, scrittore e regista australiano Shaun Tan, un fumetto che esplora tematiche come il bullismo sui luoghi di lavoro e i migranti lavorativi attraverso gli occhi di un insetto stacanovista che, senza l’ombra di promozioni o apprezzamenti, si consuma per 17 anni fra le grigie pareti di un ufficio.
Difficile non tracciare parallelismi con i 29 anni che Kojima ha passato in Konami, non credete?