Death Stranding: l’alba di un nuovo genere?
Secondo Kojima Death Stranding inaugurerà un nuovo tipo di videogiochi. Ma di cosa si tratterà davvero?
Ci si muoverà a tentoni nell’asfissiante mondo di Death Stranding. L’umanità e la Terra stessa saranno in bilico sull’orlo di un precipizio e ogni passo sbagliato potrà essere a suo modo “fatale” o, perlomeno, inequivocabile punto di non ritorno: qualcosa che i trailer e le stesse parole di Hideo Kojima vogliono suggerire – riguardo alla natura del gioco – è che l’asticella è stata puntata in alto, oltre l’hype, oltre le aspettative, nel tentativo di provare a stupire il marmoreo pubblico videoludico che, per via di una campagna promozionale non troppo densa di video gameplay, non ha ancora afferrato in maniera chiara quelle che potrebbero essere le caratteristiche della nuova opera della Kojima Productions.
Allo stesso tempo c’è molta fiducia per l’autore grazie a quanto ha saputo dare finora all’industria videoludica, innovando e dimostrandosi capace di remare, in molti casi, controcorrente, con un continuo sperimentare e un ponderato azzardare, il tutto mirato alla produzione di un risultato finale spesso unico nel suo genere.
In principio fu Metal Gear, opera magna di Kojima diramatasi nel corsi degli anni e capace di raggiungere picchi di elevatissima qualità con alcuni capitoli, destinati a diventare a modo loro capostipiti di una rumorosa rivoluzione nell’ambito videoludico. Proprio a Metal Gear, nel corso degli anni, si è accostato il nome stesso di Kojima, formando un binomio indissolubile arrivato al capolinea con The Phantom Pain, titolo che ha riallacciato un importante legame con i primi capitoli per MSX andando a chiudere un cerchio che ha segnato anche la fine di un’importante stagione artistica e creativa.
Quel che è certo è che Kojima, dopo tutto questo tempo, sembra non aver perso la voglia di sperimentare – P.T. ne è stato un importante esempio – sia dal punto di vista tematico e simbolico, sia da quello del gameplay, destinato a innovarsi e innovare, portando su schermo racconti virtuali in cui le modalità di interazione, nel senso più generico del termine, hanno sempre svolto un ruolo da protagonista.
Proprio in Death Stranding dovrebbe risiedere il passo successivo, il “salto nel vuoto” compiuto dal game designer nipponico: Death Stranding sarà classificato come titolo action ma andrà, secondo l’autore, a costituire un genere tutto nuovo: sarà uno “Strand Game“.
Ma di cosa si parla, di preciso? Cosa sarà uno Strand Game?
L’idea del collegamento dei giocatori sarà alla base di questa nuova IP: un concetto già assaporato in maniera dolceamara in The Phantom Pain, con un sistema che basava la propria struttura per la sezione online su una relazione neanche troppo velata tra tutti gli utenti, il tutto culminato nella discussa questione del disarmo nucleare, evento capace di sbloccare un finale segreto una volta che tutti i giocatori si fossero liberati delle armi nucleari in loro possesso.
La rivoluzione partirebbe appunto dalla componente multiplayer, quel Social Strand System su cui Kojima non si è mai troppo sbottonato, ma che ha registrato come marchio assieme al già citato Strand Game.
Norman Reedus – che nel titolo interpreterà Sam Bridges – ha ribadito come il concetto alla base di Death Stranding sia “fuori di testa” – accodandosi ai pareri dei molti personaggi del mondo dello spettacolo che, grazie all’amicizia con Kojima, hanno potuto provare il gioco in anteprima. Reedus ha inoltre precisato come la parte multiplayer sia qualcosa di rivoluzionario e diametralmente opposto al classico PvP in cui la parola d’ordine è molto spesso una sola: sconfiggi tutti i nemici se vuoi essere il vincitore.
L’idea del contatto va quindi di pari passo con una delle dichiarazioni più importanti rilasciate da Kojima riguardo al discorso della tipologia di gioco di Death Stranding che dovrebbe, nei piani dell’autore, adottare un approccio diverso rispetto a quello classico, che viene paragonato all’utilizzo di un bastone, come scrisse il giapponese Kōbō Abe: “Il bastone è stato il primo strumento creato dall’umanità per mettere una distanza tra sé e le cose minacciose, per proteggersi. Il secondo strumento creato dall’umanità è stato la corda. Una corda è usata per legare cose importanti e tenerle vicine“.
Kojima ha voluto spiegare la sua volontà di creare un’opera in cui l’approccio del giocatore fosse più simile a quello di un utilizzatore della corda piuttosto che del bastone. L’approccio da “corda” fa nuovamente le veci al discorso sui contatti e sui legami che saranno una parte cardine dell’opera, nella lunga odissea che porterà Sam Bridges a cercare di riconnettere un paese oramai frammentato: le United Cities of America.
Proprio questi concetti, in un certo senso, potrebbero essere un assaggio di quello che sarà in futuro il più ampio concetto di Strand Game: il multiplayer asincrono, la possibilità di interagire in una maniera particolare con gli altri giocatori tramite l’online durante lo svolgimento della campagna principale, sarebbero il fulcro di quella che sarà l’esperienza di Death Stranding, giocabile comunque liberamente anche offline.
Niente di nuovo quindi? Nì: i concetti non sarebbero nulla di rivoluzionario (anche se, sia ben chiaro, bisognerà vedere se sia davvero questo l’identikit finale del gioco e se l’implementazione sia semplicemente quella pensata), ma le loro funzionalità in-game lo sarebbero se accorpate con attenzione in un’esperienza ludica cucita attorno a un comparto online consigliato ma soprattutto non partorito in maniera unicamente accessoria e fuori contesto.
La stessa serie di Metal Gear, da molti ritenuta primo vero esempio di stealth, non faceva altro che classificarsi nel ben più ampio spettro riservato agli action: quella che arrivò sugli scaffali era effettivamente un’opera action che però vedeva implementate delle meccaniche di hide-and-seek già presenti in giochi con molti più anni alle spalle come Castle Wolfenstein e 005 (datati 1981). L’unione di questi elementi nella composizione di un’opera finale, come potevano essere il primo Metal Gear o anche lo stesso Metal Gear Solid, contribuivano a formare un prodotto finale dal contenuto armonioso: nulla d’altronde deve e può essere inventato da zero, ma anche nel game design bisogna essere dei bravi alchimisti e utilizzare al meglio gli strumenti a propria disposizione per confezionare un prodotto finale che sappia unire ogni ingrediente per comporre un qualcosa di nuovo, facendo però risaltare le caratteristiche di ciascun elemento.
La “Transformative Online Experience” (così l’ha definita Paul Wilson) di Death Stranding sarà quindi molto probabilmente legata a doppio filo alla componente online integrata alla campagna, una parte che collega e connette giocatori differenti – magari tenendoli uniti come se si utilizzasse una corda – in una maniera molto più profonda della semplice interazione che si può avere connessi in rete con un giocatore dall’altra parte del mondo che, in molti casi, si riduce a un dialogo in cui a comunicare sono soltanto le bocche da fuoco. Lo stesso Kojima suggerisce come in Death Stranding, nonostante sia previsto l’uso delle armi, questo legame vada ancora più in profondità, in quello che è il misterioso concetto di Strand. Ma quindi, cosa aspettarsi? Siamo davvero all’alba di un momento importante? La nascita di un nuovo genere?
Kojima cerca di cambiare le carte in tavola e smentire una concezione forse troppo radicata nel pubblico odierno e sceglie una politica comunicativa che non vuole mostrare troppo di quello che è il prodotto finale: tutti, noi compresi, giochiamo cercando di capire quale sia la vera natura di Death Stranding ancor prima che veda gli scaffali dei negozi. Come fece nel suo video di presentazione il Ludens, logo della Kojima Productions, cerchiamo noi stessi di essere i pionieri in un pianeta sconosciuto, e come Neil Armstrong sogniamo un giorno di poter compiere quel piccolo primo passo per l’uomo, un piccolo passo che però travalica le attese in maniera inaspettata e lascia a bocca aperta di fronte a un panorama misterioso, temibile, nuovo.
C’è però una regola d’oro da seguire se si volesse essere, dal lato autoriale, motori di una rivoluzione in qualunque ambito commerciale: il pubblico non va accontentato, ma sorpreso. Perciò avanti Kojima, sorprendici. Non vediamo l’ora.