Death Stranding 2 On The Beach | La corda evolve a bastone, la promessa a risoluzione
Se il primo era un coraggioso avventurarsi in un nuovo genere, Death Stranding 2 On The Beach potrebbe essere l'effettiva realizzazione dell'idea di Kojima.
Si può dire molto, di Death Stranding. Nel mio caso, molto di quello che posso dire è dettato dal fastidio verso chi ancora non lo capisce, verso chi ancora lo chiama Bartolini-simulator, ma è lo stesso fastidio che posso provare di fronte a chi non capisce pienamente un prodotto che non fa dei suoi valori espliciti il suo vero fulcro esperienziale (The Last Jedi, sto guardando te) o chi sminuisce un genere o un titolo per… beh, credo per il solo piacere di farlo.
Death Stranding 2 On The Beach è l’elemento dopo l’uguale dell’equazione scritta da Kojima
Death Stranding 2 sicuramente riceverà altrettanto immotivato sarcasmo, ma questo non fa che confermare ancora di più una realtà che, per ora soggettiva, sta trovando sempre più riscontro nello status quo dell’industria: più il gioco invecchia e matura, più si creeranno gli spazi, solitamente riservati allo spensierato coraggio indie, per giochi la cui identità, a livello di genere, di core loop, di meccaniche, di player verbs, non si cura della norma, spingendo in avanti, e a volte anche un po’ di lato, l’intero medium con esso.
D’altronde Death Stranding, OD (IP creata per Xbox di cui abbiamo visto un piccolo trailer tecnico e che sappiamo vede la collaborazione di Kojima con il regista Jordan Peele) e, molto probabilmente, anche PHYSINT (IP per Sony che dovrebbe vedere l’inizio della produzione dopo la chiusura dei lavori su Death Stranding 2) sono figlie della libertà creativa di uno studio che nel 2015 ha voluto tagliare irrimediabilmente i ponti con la Konami che aveva aiutato (serve che uso le virgolette, forse?) nella creazione di Metal Gear Solid, franchise di cui ancora tuttoggi si parla in toni lodevoli.
Del secondo capitolo dell’IP di Kojima Productions abbiamo “solo” 2 trailer, in mano, ma, sia per durata che per quantità di ciò che spudoratamente o più maliziosamente nascondono, abbiamo materiale di cui parlare per un po’, ed è necessario che, di qui all’uscita, si ritaglino spazi, tra le pagine di Gamesource, per parlare di ciò che il gioco promette, di ciò di cui potrebbe parlare, di ciò che potrebbe spingerci a provare, di quanto ancora possa essere in grado di spingersi “oltre” (già ne hai avuto un esempio in un contenuto “tana del bianconiglio” sempre narrato dalle mie mani).
Insomma, che lo si chiami esperimento fallito o capostipite di un nuovo genere, la coraggiosa IP di Kojima sta per arrivare con un secondo capitolo, e Death Stranding 2 On The Beach, indovina un po’, ci sta restituendo molte più domande che risposte, ma perché, di grazia, penso possa essere l’effettiva riuscita e realizzazione della premessa/promessa fattaci da Death Stranding nel 2019?
Valori ignoti, quotidianità circadiane
Il tirante emotivo di Death Stranding 2 On The Beach, esattamente come quello del primo capitolo, sembrano essere i legami umani, l’isolamento di individui e comunità (con relativi costi e conseguenze di questo isolarismo) e, in generale, un contatto fin troppo frequente e quotidiano con la morte, sì come concetto ma anche come cupo inevitabile memento del nostro limitato tempo in questa parentesi di esistenza, singhiozzo di un pre- e un post- fatto di inconcepibile (nel nostro mondo) NON-esistenza.
Sono tutti i concetti che molt*, a diritto o meno, hanno recepito con un tepido sbeffeggiare, pochi mesi prima della metà del 2020, ma che ora, con una pandemia che si è portata via 15.9 milioni di persone e che ha abbassato l’aspettativa di vita, in quegli anni, dell’84% (e, in toto, la abbassa tutt’ora di 1,6 anni), è difficile prendere ancora con ironia, se non quella infantile dei negazionisti.
Death Stranding è stato in grado di raccontare, nuovamente grazie ad una preoccupante capacità predittiva di Kojima (che lo mette al pari di Matt Groening dei Simpson, mi sa), un mondo che da universo di gioco è diventato “oggi”, ma, ed è bene ammetterlo, anche di fronte a quanto io abbia gradito il gioco (l’ho anche recensito proprio su queste pagine), era una bozza di un lavoro che ancora non è finito.
Un ponte vacillante fra vicende e avvicendati
La narrazione del primo DS mi ha colpito molto da vicino, vuoi per il perfetto equilibrio fra paesaggi, perfette cornici dell’introspezione offerta dalla soundtrack, e vicende, vuoi per quel rapporto padre-figlio centrale, ma sicuramente sono in grado di riconoscerne alcuni difetti, in particolare un disequilibrio fra QUELLO che succede e lo spazio dato alle persone ALLE QUALI le cose succedono.
Le sezioni di info dump erano tante e non troppo ben distribuite, e i personaggi, Sam in particolare, sembravano sempre troppo spesso messi in ombra dal Death Stranding stesso, dalla minaccia di un’estinzione che era sì personificata ma non troppo concretizzata a schermo, dato che il mondo nel quale ci muovevamo sembrava già un mondo post-estinzione, e non uno in procinto di affrontarne una “finale”.
Se la fatica dei primi capitoli è sempre quella di creare un buon world building, sta ai sequel usare il trampolino e arrivare più in alto, e credo che Death Stranding 2 On The Beach possa essere esattamente questa piroetta, pronto ad esplorare di lato un mondo di gioco che è stato approfondito a dovere dalla sua prima iterazione ludica. Dai trailer si possono ipotizzare linee temporali (o forse più “frammenti temporali”) diverse, c’è chi già parla di multiverso (non ne vedo la ragione), chi di realtà alternative (confida sempre nel web, per queste cose), ma a prescindere dal grado di astrazione al quale vogliamo spingerci, è già palpabile il potenziale di un gioco che ha, volgarmente, il mondo già costruito.
Sam Strand, noi, uniti
La sensazione comune è anche quella di un team di sviluppo che ha ascoltato i feedback dell’utenza, pronta e volenterosa nel restituire un’esperienza di gioco ancora più raffinata, con Death Stranding 2 On The Beach. Norman Reedus stesso ha confessato, non troppo tempo fa, che DS2 è e sarà un titolo molto più violento del precedente, e nell’ultimo trailer la cosa è esplicitata dall’entità più violenta di tutte, Higgs stesso, e il suo “anche tu sei finito per abbandonare la corda per un bastone”.
Se da un lato abbiamo quindi un mondo di gioco che si allarga, anche in fatto di meccaniche (il fiume di Cronopioggia in piena, il terremoto che demolisce la montagna, ecc), dall’altra ancora non sappiamo se e come Kojima Productions evolverà l’elemento che sicuramente più contraddistingue Death Stranding: l’aspetto sociale. Soprattutto nel periodo review, dove sapevo di essere fra le poche e i pochi al mondo ad avere accesso al gioco, trovare una struttura amica giusto quando stavo per perdere le speranze di arrivare a destinazione era una sensazione unica, qualcosa che posso dire di non aver mai provato fino a quel momento e di non aver più provato da allora.
Cosa viene ora? Qual è il prossimo passo di questa meccanica? Posso ipotizzare, ovvio, ma in questo contesto preferisco non osare, e stare silenziosamente in attesa.
Sono poche ragioni, sfocate come alcune delle risposte che il secondo trailer di Death Stranding 2 On The Beach sembra darci, ma questi sono per me i semi del potenziale di un secondo capitolo che, in mano a persone come Kojima e team come Kojima Productions, sono sicuro sarà in grado di sorprenderci, in uno o mille sensi diversi. Per il resto… ti aspettiamo sulla Spiaggia.
2, sulla Spiaggia 2.