“Con Detroit: Become Human ho raggiunto il mio limite”: intervista a David Cage durante il Milan Games Week 2018
David Cage, CEO e Director della software house Quantic Dream, è stato ospite d’onore del Milan Games Week 2018: oltre a presiedere alla cerimonia d’apertura dell’evento, ha anche incontrato il pubblico sul palco e si è offerto per un Q&A a porte chiuse con alcune siti e testate giornalistiche, tra cui ovviamente Gamesource.
L’intervista si è svolta con l’ausilio di un’interprete, che ha permesso ad ambo le parti di avere la massima chiarezza sul contenuto di domande e risposte.
La prima richiesta è stata conoscere “il suo prossimo grande passo”, sia come singolo artista che come capo di un’azienda, dopo aver realizzato Detroit: Become Human e aver analizzato quindi il lato più oscuro dell’essere umano nel singolo e nel sociale.
David Cage ha subito precisato come non abbia mai ritenuto Detroit: Become Human un gioco dalle tematiche dark e la sua intenzione fosse quella di mostrare una possibile visione del futuro, senza focalizzarsi sugli aspetti negativi e distruttivi: un gioco incentrato quindi sull’umanità intera, anche quella presente nelle IA degli androidi che scoprono la propria identità tramite la devianza, “diventando umani” come il titolo appunto suggerisce. Per quanto invece riguarda i piani sul futuro di Quantic Dream, l’autore si è limitato a dire che il suo obiettivo è quello di continuare a creare videogiochi insieme al resto della sua azienda, cosa che ha fatto per oltre 20 anni di attività, a dispetto di molti alti e bassi.
La seconda domanda ha messo in evidenza una curiosità molto diffusa fra i giocatori dei titoli Quantic Dream e verteva sulla possibilità, in futuro, di vedere pubblicato un titolo completo ispirato alla tech demo The Dark Sorcerer, presentata durante l’E3 2013.
La risposta è stata breve e semplice: quando fu mostrato nel 2012 il cortometraggio Kara, non era ancora stato messo sul tavolo il progetto Detroit: Become Human e lo stesso si può dire oggi per The Dark Sorcerer. L’uomo ha ammesso il divertimento provato nella progettazione e realizzazione della demo e non ha quindi escluso che in futuro il concept possa essere ripreso, ma al momento (almeno ufficialmente, N.d.A.) nulla è stato ancora pianificato.
Il terzo interrogativo del Q&A ha toccato un argomento relativo a una recente, ma cruciale realtà del mercato videoludico: i gameplay e streaming sulle diverse piattaforme della rete. È stato chiesto a Cage se, secondo lui, questo genere di attività possa risultare dannosa nei confronti di prodotti così fortemente narrativi e che quindi molte persone, invece di acquistare i suoi giochi, possano limitarsi a prenderne visione su internet, danneggiando così le vendite.
Cage non ha nascosto la frustrazione provata da lui e il suo team quando, ai tempi di Heavy Rain e Beyond: Due Anime, la sensazione fosse che i creatori di questi contenuti stessero quasi “rubando parte del loro lavoro”, ma ha subito precisato che con Detroit: Become Human è stato diverso: l’ultima fatica di Quantic Dream è infatti così ramificata nelle scelte e nelle strade intraprendibili che, a meno di guardare decine di video tutti diversi fra loro, è difficilissimo avere una visione completa del titolo. Per questo motivo, secondo l’autore francese è probabile che i gameplay possano essere persino utili alle vendite del gioco, dato che hanno il potenziale di incuriosire gli spettatori e spingerli all’acquisto per provare sulla propria pelle un tipo diverso di esperienza.
È stato chiesto se fosse mai capitato, nel corso della creazione di una scena, di riscrivere uno o più elementi per adattarsi alla performance attoriale e se la scelta di questo o quell’attore sia mai stata legata alla sua notorietà.
L’intervistato ha spiegato che sullo stage è praticamente impossibile improvvisare, se non per minimi dettagli che non influiscono sullo script del gioco: trattandosi di una storia con molti bivi, ogni dettaglio va considerato e un cambiamento apparentemente irrilevante potrebbe compromettere gli eventi successivi. Per questo motivo è necessario avere “l’attore giusto nel posto giusto”, molto più che una semplice “faccia conosciuta” e David Cage ha spiegato come ad esempio, Ellen Page sia stata scelta come protagonista di Beyond: Due Anime non tanto per la sua fama, quanto perché perfetta incarnazione, ai suoi occhi, di ciò che doveva essere e rappresentare quel determinato personaggio. L’uomo ha anche precisato che lavorare con volti noti dello spettacolo può essere un’arma a doppio taglio tanto nel marketing quanto nella creazione del gioco: da una parte, l’attore famoso può essere inquadrato come una pura e semplice mossa commerciale, atta a nascondere un prodotto mediocre dietro una personalità da copertina; dall’altra, molte star non si adattano con facilità a seguire pedissequamente le istruzioni, soprattutto nel caso di un videogioco, la cui creazione per quanto “cinematografica” è comunque diversa rispetto al girato di un film.
La domanda successiva riguardava gli spin-off e/o sequel dei lavori già realizzati dall’artista e su quanto le sue conoscenze culturali avessero influito nelle sue opere.
Cage ha spiegato di non aver mai pensato a un seguito di un suo gioco perché il suo scopo è sempre stato quello di comunicare fin fa subito tutto ciò che sentiva di dire: ai suoi occhi, se un autore desidera proseguire un suo lavoro, ci si trova davanti a una comunicazione incompleta, o un cambio di rotta, mentre ciò che ha sempre tentato di fare è stato proprio il fornire una visione integrale di un determinato argomento di discussione. L’uomo ha comunque precisato di non essere contro i sequel in senso assoluto e che, se sentisse il bisogno di un progetto simile (o gli venisse commissionato, N.d.A.) non avrebbe problemi a realizzarlo. Cage ha aggiunto che lavorare ai suoi titoli è molto spossante e per interi mesi e anni, “il gioco è la tua vita”: per questo motivo, spesso e volentieri una volta terminato, il più grande desiderio è quello di “chiudere il libro” e dedicarsi ad altro. Per quanto riguarda la prima parte della domanda, invece, l’intervistato ha spiegato come la cultura generale influenzi tanto e inevitabilmente i propri lavori, per quanto con la crescita e maturazione personale abbia sempre puntato a trovare “la propria voce, il proprio tono”, dato che, più della fonte d’ispirazione o la natura dell’idea, è importante la maniera con la quale questa idea viene comunicata.
Durante le interviste a David Cage è inevitabile che arrivino domande sul suo periodo di lavoro e collaborazione con David Bowie per il videogioco Omikron: The Nomad Soul e questo Q&A non è stato da meno.
Dopo aver ammesso con un sorriso che si è trattato di “un sogno diventato realtà”, l’autore ha approfondito, spiegando che si è trovato sorprendentemente a suo agio lavorando insieme a lui per un anno e fianco a fianco per un intero mese: tra studio di concept, lettura di script e composizione della colonna sonora, Bowie si è rivelato una personalità “molto diversa dallo stereotipo di rockstar”, estremamente gentile, umile e professionale, sempre interessata a conoscere l’opinione degli altri sul proprio operato, nonostante fosse perfettamente consapevole del proprio incredibile talento.
Arrivato il turno di Gamesource di porre il proprio quesito al CEO di Quantic Dream, abbiamo chiesto se fosse possibile realizzare un videogioco con ancora più diramazioni e scelte di quelle presenti in Detroit: Become Human e se, in caso di risposta affermativa, questo fosse uno dei futuri obiettivi dell’azienda francese.
David Cage ha spiegato che il primario scopo dei suoi progetti è quello di avvicinarsi il più possibile alla realtà, di “imitare la vita, affrontando scelte della vita quotidiana”: una persona è ciò che è e vive ciò che vive grazie alla sommatoria di ogni sua decisione, piccola o grande che sia ed è proprio questo che i suoi lavori hanno sempre cercato di trasmettere.
Fatta questa premessa, l’autore ha ammesso candidamente che Detroit: Become Human si è rivelata per lui una “enorme sfida”, tanto professionalmente quanto umanamente e che dunque crede di essere “quasi arrivato al suo limite”. Non ha escluso a priori la possibilità per Quantic Dream di volersi spingere ancora oltre, ma per quanto la crescita e il miglioramento debbano sempre rimanere come aiming point, è molto forte la sensazione di aver raggiunto “il suo livello massimo” per quanto riguarda il compromesso tra volume di scrittura e qualità della stessa.
Alla richiesta di un giudizio su come e quanto possa essere possibile l’assoluto fotorealismo nel medium videoludico, Cage si è mostrato convinto che, con la potenza degli hardware e la complessità delle tecnologie a disposizione per creare videogiochi continua a crescere, sia assolutamente plausibile che nei prossimi anni sarà praticamente impossibile distinguere il girato di un film da una scena in engine di gioco. Ha voluto però precisare che ritiene cinema e videogioco due media distinti, per quanto entrambi a loro modo interattivi e che non ha quindi mai ambito a un premio relativo alla cinematografia e non è da escludere che in futuro (per quanto simili premi già esistano, N.d.A.) i videogiochi avranno “i propri oscar”.
Altro interrogativo, simile al precedente, riguardava la definizione che Cage dà del proprio lavoro, se più vicina al concetto di regista o a quello di creatore di videogiochi.
L’uomo ha spiegato di aver scelto di essere “etichettato” come Writer e Director in Detroit: Become Human perché erano i ruoli che più si avvicinavano a ciò che fa, sebbene non si sia mai autodefinito in modo specifico; Cage ha spiegato che la sua attività è molto più generica e “segue un po’ tutto, dal casting, alla scripting, alla composizione delle soundtrack”. Per questa ragione, non si rivede appieno in nessuno dei due titoli, ma dovendone per forza sceglierne uno, sarebbe quello di “creatore di videogiochi”.
Vista la recente dichiarazione di bancarotta da parte di Telltale Games, è stata ovviamente chiesta un’opinione personale sull’argomento.
Cage ha ammesso candidamente quanto si ritenga fortunato nell’esser stato supportato da partner e compagnie pazienti e di larghe vedute, che hanno permesso a lui e al suo staff di lavorare nel migliore dei modi e con i tempi necessari affinché il prodotto finito fosse innovativo e ben confezionato e si è dichiarato dispiaciuto per Telltale e tutti gli altri studi di sviluppo che non possono o non hanno potuto godere di un simile lusso.
Altrettanto puntuale, è arrivata immediatamente dopo una domanda sulla futura implementazione delle tecnologie di Realtà Virtuale all’interno dei lavori Quantic Dream.
Il CEO sì è espresso in favore dell’idea, specificando come però un gioco in VR debba essere concepito già in partenza per l’uso della periferica e si tratta quindi di un linguaggio e approccio completamente diversi rispetto a un progetto “tradizionale” e, pur complimentandosi con l’incredibile potenziale della Realtà Virtuale, è convinto che ci vorrà ancora del tempo prima che le periferiche siano pronte a esperienze interattive e immersive di alto livello.
Insospettabilmente interessante è stata la risposta di Cage al quesito riguardante la maniera in cui l’autore concepisce e sviluppa i segmenti di “piccole interazioni quotidiane” all’interno dei suoi giochi, sempre presenti e incredibilmente curate fin dai primi titoli della software house francese.
Cage ha ribadito quanto detto poco prima circa la sua intenzione di voler sempre presentare al giocatore una fedele riproduzione di situazioni di vita quotidiana, in cui anche la più irrilevante delle attività (come ad esempio salvare o meno Dewey, il pesce tropicale all’inizio di Detroit: Become Human, N.d.A.) può tanto avere una conseguenza su situazioni future, quanto spingere chi tiene il controller in mano a immedesimarsi nel protagonista della storia e avere a cuore i suoi pensieri e le sue emozioni: nonostante alcune critiche da lui lette, che paragonavano i suoi lavori a dei “making breakfast simulator”, l’autore ha ribadito quanto “creda profondamente in questo sistema narrativo”.
Secca e spietata la domanda sul suo essere già a lavoro su qualcos’altro; altrettanto rapida la risposta, positiva e monosillabica, dell’autore. Non potendo approfondire l’argomento, ha solo commentato definendo il progetto “qualcosa di folle e apparentemente impossibile, come qualunque gioco abbia mai fatto prima di riuscire a portarlo a termine”.
Tornando a discutere Detroit: Become Human, è stato chiesto al Director se l’aver trattato tematiche così frequenti in ogni medium lo avesse in qualche maniera messo in soggezione.
L’uomo ha ribadito ancora una volta come per lui sia importante più la maniera in cui si comunica qualcosa, più che il topic in sè; come già dichiarato in passato, Cage ha evidenziato il suo “non voler parlare di IA e di androidi, ma di esseri umani, razzismo e discriminazione” e che quindi non si è mai sentito “in competizione” con i massimi autori e artisti che hanno discusso la robotica o il transumanesimo, proprio perchè il suo gioco non aveva come fine quello di affrontare quel preciso argomento.
Ultima, ma non meno interessante, è arrivata una comprensibile perplessità sulla mancanza di periferiche diverse dal controller e/o di applicazioni esterne implementabili nel gameplay di Detroit: Become Human (a differenza di quanto accaduto con il PlayStation Move di Heavy Rain e il BEYOND Touch di Beyond: Due Anime, N.d.A.) e sulle ragioni di quest’assenza. La spiegazione dell’autore è stata breve e concisa: i giochi Quantic Dream vogliono essere accessibili a un pubblico il più ampio possibile e, nel caso di Detroit: Become Human, il Dualshock 4 è risultato una periferica sufficiente a rendere il gameplay tanto immersivo quanto immediato, senza ricorrere a tool esterni.
Terminato il tempo a disposizione per ulteriori domande, David Cage si è reso disponibile per firmare qualche autografo e scattare fotografie in compagnia dei presenti, prima di procedere con la propria schedule durante il Milan Games Week. Ciò che la sessione di Q&A ha evidenziato più di ogni cosa è stata la genuinità con la quale l’autore si è posto nei confronti dei giornalisti in sala, senza nascondersi dietro risposte evasive o supponenti e mostrando anzi una sorprendente schiettezza nell’ammettere tanto le proprie fortune in ambito lavorativo, quanto i propri limiti di uomo e scrittore; per quanto molti possano non condividere il genere di prodotti da lui creati, il suo modus operandi e la sua visione di alcuni argomenti di discussione, è innegabile che dal punto di vista prettamente di public relation, il CEO e fondatore di Quantic Dream abbia lasciato un’ottima impressione a tutti i presenti grazie a un modo di agire cortese e che trasmetteva genuina dedizione alla propria attività.