Con Assassin’s Creed 3 non si può riscrivere la storia
Ogni scrittore che abbia consacrato la propria penna al servizio della serie di Assassin’s Creed, dagli albori sino ad oggi, considera l’autenticità storica del proprio lavoro come un motivo di vanto. Uno degli autori in capo una volta affermò che se qualcosa poteva essere trovato su Wikipedia in pochi minuti, allora doveva essere inserito nel gioco.
Assassin’s Creed 3 propone però una sfida tutta nuova. È tutto più difficile questa volta, conferma senza indugi Matt Turner, responsabile dell’intero progetto narrativo, nel corso di un’anteprima a Londra. Questa volta il periodo storico è molto ben documentato, dunque bisogna prestare particolare attenzione a non commettere errori.
Questo può rivelarsi frustrante, a volte. Molto spesso ci ritroviamo a dire: vorrei che accadesse questa cosa! Nel contempo però, questo progetto ti offre l’opportunità di ricostruire certe vicende nella vita delle persone. Tutti sanno com’è fatto George Washington, dal momento che il suo viso è stampato sulle banconote americane da un dollaro; non tutti però sanno chi è.
Nella seguente intervista Turner spiega le difficoltà del dover lavorare su uno dei periodi storici meglio conosciuti in assoluto, facendo le dovute distinzioni con scrittori storici del calibro di Dan Brown e svelando molto altro.
Ubisoft ha già definito Assassin’s Creed 3 come il suo miglior prodotto di sempre…
MT: Il nostro è un importante obiettivo e per realizzarlo servono tempo e persone. Fondamentalmente, quando miriamo così in alto, realizziamo anche che è necessario armarsi dei dovuti strumenti per adempiere allo scopo. Una cosa è dire “vogliamo realizzare il miglior gioco che abbiamo mai fatto” e un’altra è farlo davvero.
Abbiamo iniziato con un enorme piano di sviluppo che necessitava di due, tre anni per essere portato a termine. Il passo successivo è stato sondare le nostre capacità. Ora disponiamo effettivamente del doppio delle risorse che avevamo prima di Assassin’s Creed. Questo dato ci fornisce la possibilità di creare un mondo più grande e di dar vita a qualcosa su una scala che non avevamo mai raggiunto prima.
Ieri avete sentito che la mappa della frontiera sarà una volta e mezza quella di Roma, in Brotherhood. Ebbene, questa è solo una delle mappe. Lo scenario del gioco è assai più ampio e questo risultato si deve al tempo e alle persone.
Ubisoft ha dichiarato che il team di AC3 impiegherà questi ultimi sei mesi per semplici operazioni di “pulizia” del titolo. Significa forse che siete molto vicini ad ultimare lo sviluppo vero e proprio?
MT: Bè, volevamo avere un primo abbozzo e stiamo lavorando per quello. Si siamo davvero vicini, ma dopo non si tratterà esclusivamente di una mera parentesi estetica. Analizzeremo ogni aspetto del gioco nel dettaglio e ci rimboccheremo le maniche. Non appena questa prima versione del prodotto sarà disponibile, la sezioneremo e ci chiederemo come migliorarla.
Ovviamente i nostri saranno interventi limitati, ma di sicuro impiegheremo al meglio il tempo che ci resta: se qualcosa non dovesse funzionare non ci limiteremo certo a rattopparla, bensì la rimuoveremo per sostituirla con qualcos’altro.
Quindi, assumendo che, a questo punto, voi possiate già provare il titolo, che impressione ti ha fatto il tutto finora?
MT: Sono molto soddisfatto. Ieri avete visto i primi filmati di riferimento, che risalivano a oltre due anni fa. Quando avete visto la demo di presentazione, avete potuto constatare quanto poche fossero le differenze. Le scommesse che facemmo allora e la visione che avemmo su quello che sarebbe potuto essere erano per lo più esatte. Questo ci rende molto contenti.
Non eravamo totalmente fuori strada quando concepimmo quelle idee. Quando stai realizzando un gioco che sai che uscirà dopo tre anni, fai delle vere e proprie scommesse. Provi ad immaginare a cosa la gente potrà essere interessata per allora. Ritengo che quei due video dimostrino che le nostre puntate erano indovinate. Questo ci rende davvero entusiasti.
Quando ti rendi conto di un tale successo, penso sia inevitabile che il team si senta molto più motivato nell’affrontare con zelo la fase di revisione. Non solo il prodotto è già ottimo, ma si ha anche la possibilità di renderlo ancora più impressionante. Si tratta di una grossa mole di lavoro, è un gioco gigantesco, ma siamo molto contenti di essere dove siamo e di avere l’occasione di far risplendere il tutto ancora un po’.
Parlando di ambientazione, la Rivoluzione Americana era davvero la vostra prima scelta?
MT: Si, lo era. Ad essere completamente onesti, io entrai a far parte del team un po’ più di due anni fa e la decisione era già stata presa. Non presi neanche parte a quella discussione, il che la dice lunga sull’antichità di questa scelta.
Ero all’oscuro dei retroscena della decisione, ma si trattava della prima scelta, della location che il team considerava perfetta per la narrazione, per le meccaniche di gioco, insomma tutti quegli aspetti che la serie doveva migliorare.
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È stato impegnativo, e quindi stimolante, condurre ricerche sul quel periodo?
MT: La cosa buffa è che non vi è stato nulla di impegnativo nel trovare materiale, bensì nell’ordinarlo. Il distacco dal presente è ora molto ridotto, dato che parliamo di circa trecento anni appena. Per questo motivo, i documenti storici sono molti ed accurati. Ci sono tonnellate di informazioni su miriadi di persone, quindi è necessario esaminarle tutte e individuare quelle pertinenti alla nostra causa, decidere cosa può rientrare nella nostra narrazione e come incastrarlo con gli altri elementi. Ci sono così tante informazioni sul conflitto e su quel tempo…
Ci siamo avvalsi del sapere di due storici, che hanno collaborato con noi a tempo pieno, del parere di due consulenti Mohawk, dell’operato di linguisti e di tutte quelle numerose figure professionali che potessero, in qualche modo, contribuire all’accuratezza e all’ampiezza della nostra conoscenza di quel periodo, in modo da poter creare una storia il più autentica possibile.
Penso che quello che abbiamo ora sia il risultato perfetto. Non sono affatto un appassionato di storia ma mi sono subito interessato al periodo in questione. Ci sono degli avvenimenti davvero molto interessanti. Di fatto, esiste un divario davvero enorme tra la percezione pubblica della Rivoluzione Americana e la realtà storica. È pazzesco, c’è una grande differenza tra quello che la gente crede di sapere e quello che effettivamente successe.
Ad esempio, il poema Paul Revere’s Ride (ispirato all’evento storico conosciuto come Midnight Ride) è davvero molto famoso, eppure, rispetto al componimento, le cose sono andate un po’ diversamente: primo, Paul Revere era solo uno dei venti uomini che parteciparono alla cavalcata; secondo, lui non riuscì neanche a compiere tutto il tragitto che si era prefissato; terzo, non stavano affatto urlando, bensì andavano di casa in casa, dato che vi erano sia lealisti che patrioti.
Si badi, in quei giorni erano effettivamente tutti inglesi; non esisteva ancora alcuna America. Quindi quello che loro dicevano era “le truppe regolari stanno arrivando” ed erano molto attenti a bisbigliare, scegliendo le case giuste, perché non volevano che il lealista della casa accanto potesse sentire qualcosa.
Ecco come andarono realmente le cose, ovvero in un modo che rende la storia molto più interessante rispetto a quanto le persone credono di sapere. La ragione per la quale ora sono in pochi a sapere la verità risiede proprio in questo celebre componimento. Questo tizio (riferendosi a Henry Waldsworth Longfellow, l’autore del poema), nella metà del diciannovesimo secolo, stava scrivendo una canzone sulla Rivoluzione Americana per mettere alla prova e galvanizzare l’America con la minaccia della Guerra Civile, e Revere faceva rima nel verso. Da qui la nascita della nota leggenda, che però non corrisponde a quello che accadde.
Ci sono molti casi come questo ed è stato interessante conoscere la verità. Questa era tutta gente normale, sapete? Non erano eroi; erano semplicemente individui qualunque, persone che vivevano la loro vita e che vennero invece coinvolti in questi difficili eventi. Fronteggiarono le avversità come meglio poterono ed alcuni ebbero successo, altri no.
Come vi siete assicurati che la vostra ossessione per l’accuratezza storica non soffocasse la vostra creatività?
MT: Questo è l’impresa che comporta l’atto di scrivere la storia di ogni gioco della serie Assassin’s Creed. Con questo gioco è stato anche più arduo. Le testimonianze storiche riguardanti le Crociate sono ovviamente più scarne, il che permette di intersecare i propri punti con i dati in possesso ed avere, di conseguenza, una maggior libertà e capacità di manovra. Questo periodo storico è totalmente diverso, così ben documentato da richiedere un’attenzione costante.
Può rivelarsi noioso, a volte, dato che capita di dire “vorrei far accadere questa cosa!”. Nello stesso tempo però ti offre l’opportunità di ricreare determinate situazioni nella vita delle persone. Tutti sanno riconoscere George Washington, dal momento che il suo volto è su ogni banconota americana da un dollaro; non tutti però sanno chi è. Noi abbiamo l’abilità di seguirlo giorno per giorno ed offrire al giocatore la possibilità di scoprire cosa significasse stargli vicino nei suoi più momenti più intimi.
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Per quanto concerne la trama, hai forse tratto spunto da qualcuna delle cospirazioni massoniche di Dan Brown? Sembrano adattarsi a meraviglia.
MT: Conosco Dan Brown e i suoi racconti, ma lui non rispecchia la nostra identità. La vicenda Assassini/Templari…la nostra versione di quell’intrigo ha sicuramente un sapore diverso. Noi seguiamo un percorso diverso e abbiamo un modo differente di raccontarlo; credo anche che per noi sia molto importante differenziarci. I libri di Dan Brown sono fantastici e chiaramente molto popolari, ma noi ci impegniamo affinché la narrazione di Assassin’s Creed abbia una sua particolare identità.
Ma le cospirazioni dei Templari sono ancora un tema presente in AC3?
MT: Si certo, ma noi abbiamo volontariamente intrapreso strade diverse. Parlando di Templari e della Massoneria di Dan Brown, ricordiamo che ci sono molte contrastanti versioni sull’identità e le azioni di questi individui, con gli Illuminati e tutto il resto. Ecco perché ci sono anche molte opzioni diverse su come raccontare quella storia e per selezionare le proprie verità.
Ritengo che noi, in particolare, abbiamo numerose opzioni a nostra disposizione. Possiamo far coesistere tantissime possibilità nel medesimo spazio e, nel contempo, fonderle in unica storia.
Nella sua presentazione, Ubisoft ha dichiarato di essere rimasta molto sorpresa dal lancio di Red Dead Redemption, un gioco che adotta molte feature simili alle vostre, come la caccia nella natura selvaggia e la Frontiera. Quel gioco ha riscosso molto successo. Pensi quindi che questo convalidi molte delle vostre scelte?
MT: Immagino si tratti di convergenza di idee. Quando molte persone si ritrovano a pensare allo stesso argomento, nello stesso tempo, è inevitabile che alcune stesse idee vengano concepite da più menti. Stavamo lavorando proprio sugli animali e sulla frontiera, quando Red Dead Redemption uscì. Lo vedemmo, lo giocammo dall’inizio alla fine, e si sentivano alcuni “oh merda” e molti più “aha! Come possiamo fare meglio di così?”.
È un qualcosa che Rockstar fa sempre, cerca continuamente di essere la migliore. Loro provano sempre ad esplorare nuove direzioni e credo che noi dovremmo fare altrettanto. Come team, ci rendemmo conto di quanto quel gioco fosse valido e dell’immenso successo che riscosse; dunque dicemmo “Ok, guardiamo al loro successo e vediamo di capire come sfruttarlo in nuovi modi”. Questo, penso, è quello che abbiamo provato a fare.
Un’altra cosa piacevole da vedere, durante la presentazione di AC3, è stata la lista di tutti gli elementi che sono stati tagliati dal progetto originale.
MT: Si. La chain blade è stata una delle primissime armi che avete potuto vedere nei primi filmati di studio. L’abbiamo sperimentata molte volte, eppure, non appena la provavamo, avevamo sempre la sensazione che cozzasse col nostro mondo. Praticamente ogni volta che la utilizzavamo, non potevamo non dire qualcosa del tipo: “C’è qualcosa che non torna”. Sapete che intendo? Quella sensazione di trovarsi davanti ad un qualcosa di troppo palesemente fantasioso. Sono stati tutti d’accordo su questo.
Nel contempo, apprezzavamo le sue potenzialità. Cercammo allora qualcosa che potesse darci gli stessi risultati, con meccaniche analoghe, ma che avesse un fondamento nella realtà. Scoprimmo così la rope dart (dardo con corda), che è stata un’arma reale. Sapevamo che sarebbe stato meglio far impugnare a Connor delle armi che avrebbe potuto effettivamente utilizzare, piuttosto che inventarne alcune che non erano mai esistite.
Quindi, in termini di gameplay, le due armi sono uguali?
MT: No, ci sono delle differenze. Ovviamente ci sono delle mosse molto simili, ma anche molte altre differenze. Non sono identiche, altrimenti non avremmo scelto di sostituire la chain blade. La rope dart condivide con essa solo alcune funzionalità.
Avete menzionato altre cose, come l’asportazione dello scalpo.
MT: Si. Le tribù che abbiamo trattato non la praticavano. Per questo motivo, sarebbe stato grossolano forzare questa usanza nella loro cultura. Abbiamo quindi deciso di lasciar perdere, per questa così come per altre ragioni. Non sembrava neanche una cosa che potesse rientrare nella cultura degli Assassini e strideva con la personalità di Connor.
Ubisoft ha affermato molte volte che la storia di Desmond si concluderà nel 2012. I piani sono ancora questi?
MT: Tutto quello che posso dire sulla storia di Desmond è che avrete modo di vedere molte più cose di quelle viste in passato. Il presente avrà un ruolo molto più importante in questo gioco, rispetto a quanto visto prima. Esso costituisce una ragguardevole fetta della nostra storia e non voglio assolutamente fornire troppi dettagli, in modo che la gente possa sperimentare tutto di persona. La promessa è che avrete a che fare con Desmond molto più che in un qualsiasi titolo precedente.
Fonte: www.computerandvideogames.com