Call of Duty WWII può far rinascere la serie
Call of Duty WWII può essere la rinascita della serie. Con buona pace di chi pensa di aver già visto tutto
Nota di redazione: il contenuto del presente articolo illustra unicamente l’opinione dell’autore, che non rappresenta necessariamente quella della redazione o degli altri redattori.
Call of Duty WWII non è stato nemmeno annunciato che già sui social e in qualsiasi altra sede, reale o virtuale, sono impazzate le critiche e gli elogi più disparati. C’è chi si è messo a spulciare il trailer di annuncio al rallentatore come un esperto moviolista di calcio, c’è chi ha richiamato gli amici di vecchia data per organizzare una rimpatriata online per novembre 2017 manco fosse l’anniversario di un matrimonio.
Poi, come era presumibile, sono piovute le critiche e le esaltazioni più fantasiose. C’è chi dice che “finalmente” Call of Duty è tornato al suo glorioso passato, c’è chi dice che è soltanto l’ennesimo capitolo di una serie in grande affanno. Quale sarà la verità?
Call of Duty è da sempre un vero e proprio sottogenere dello sparatutto, con talmente tanti fan che nonostante qualche grosso passo falso negli ultimissimi anni è riuscito a sopportare piuttosto bene un declino annunciato. Già, ma chi è il responsabile del declino? Forse, dopotutto, è Treyarch: i loro Call of Duty, infatti, hanno diviso il pubblico fin da Call of Duty World at War. A fungere da mela della discordia è stata la modalità zombie, la quale, nonostante rappresentasse inizialmente una novità piacevole e divertente, è divenuta presto l’unico motivo per cui una grossa fetta di pubblico comprava effettivamente il gioco.
Questo ha portato gli sviluppatori a curarla oltremodo a discapito della scrittura di una storyline originale, in grado di lasciare a bocca aperta il giocatore medio. Così, se da una parte si guadagnava col pubblico appassionato di irrealistico e demenzialità che vedeva nella “modalità zombie” una delle ragioni per cui ringraziare sua madre di averlo messo al mondo, dall’altra si perdeva quella fetta di giocatori affezionati al titolo che voleva anche un’esperienza single-player degna di questo nome, quella fetta, insomma, che aveva voglia di vivere un film interattivo e soltanto dopo buttarsi a capofitto nel multiplayer e fra gli zombie.
Inutile dire che la seconda fetta di pubblico sia passata a giochi come Battlefield, Titanfall o addirittura Counter-Strike. Ma possono essere biasimati davvero costoro? Alla fine si trovavano davanti a qualcosa di completamente snaturato in cui, è vero, c’era sempre il grande e grosso americano nerboruto in grado di sconfiggere il mondo intero da solo. Almeno dopo Call of Duty World at War.
Sì, perché quest’ultimo è stato un videogioco corale in cui si riusciva a percepire lo sforzo e la fatica dei protagonisti. Sia che fossero statunitensi e capitalisti sia che fossero sovietici e comunisti. World at War era il canto del cigno ed è stato bellissimo. Bellissimo fu passare dalle campagne francesi alle pianure polacche, e ancor più emozionante fu conquistare il Reichstag e rivivere il momento in cui i soldati sovietici posero la propria bandiera al posto di quella nazista.
Ecco: Call of Duty World at War è stato un videogioco in grado di raccontare le vicende storiche realmente accadute in modo comprensibile, divertente ed emozionante. Un videogioco che a molti ragazzi ha fatto capire quanto quella lotta contro il nazi-fascismo sia stata dura e senza compromessi. Eppure serpeggia l’opinione di chi vorrebbe “di più”, che vorrebbe magari vivere le vicissitudini di un pilota giapponese incaricato di attaccare Pearl Harbor o di un giovane ragazzo tedesco costretto ad andare in Russia.
Perché in fondo, oggi, così come serpeggia il revisionismo secondo cui c’erano dei “buoni” e dei “giusti” anche tra fascisti e nazisti, serpeggia anche la voglia di mettere nelle mani di un triste nostalgico una storia che fa al caso suo. No, grazie. Nonostante sia vero che molte persone dovettero combattere la Seconda Guerra Mondiale va riconosciuto che, in quel caso, non si può parlare di giusti o di “eroi” da entrambe le parti. Perché in ogni caso da una parte si combatteva per la democrazia e dall’altro per la dittatura.
Perciò sì, l’eroe sarà americano, sarà sovietico, sarà inglese, francese, quello che volete, ma non sarà mai un nazi-fascista. Per fortuna. Chi si lamenta di questo spettro ridotto ai “vincitori” dovrebbe preoccuparsi piuttosto dell’assenza di protagonisti fra le fila dei partigiani di Mosca, di Parigi o d’Italia. Avere dei partigiani in Call of Duty WWII, vedere quelle loro sofferenze, quella loro resistenza al giogo folle del Terzo Reich, sarebbe una gradita novità.
Gli sconfitti non andrebbero compianti perché tali. Specialmente se erano quelli che in appositi campi di prigionia mandavano al macello ebrei, zingari, comunisti e persone con disagi mentali. Call of Duty WWII una cosa buona, a quanto pare, la farà: non ci darà in pasto la pena per chi ha combattuto in favore della barbarie. Volente o nolente che fosse. Chi è dotato di senso critico non cercherà le storie di chi avrebbe voluto ridurre in schiavitù l’Europa intera. Chi è dotato di senso critico è disposto ad accorgersi della barbarie che fu necessaria per evitare una barbarie eterna. Tutto il resto è cibo per gli “alternativi”, puro e semplice.
Di certo gli Alleati hanno delle colpe. D’altronde, in guerra non ci sono santi ed ogni eroe è, in fondo, un mero macellaio. Ma se lo scopo era distruggere il pericolo rappresentato dal nazi-fascismo, allora ogni sforzo, ogni bomba, ogni propaganda è stata necessaria per permettere anche ai revisionisti del terzo millennio di esprimere tante futili opinioni a pioggia. Quando gli Stati Uniti (che mai sono stati e mai saranno dei santi difensori della libertà) sganciarono due bombe atomiche sul Giappone, lo fecero perché il popolo giapponese avrebbe combattuto fino all’ultima goccia di sangue ma per un ideale pessimo, al fianco di “alleati” altrettanto folli e totalitari.
Hiroshima e Nagasaki sono due ferite indelebili perché degli innocenti dovettero farne le spese. Ma se non quel metodo, allora quale? Come far finire un conflitto devastante che, altrimenti, sarebbe durato ancora chissà quanti anni? La guerra doveva finire. L’alba doveva tornare. Forse Call of Duty (e Call of Duty WWII in particolare) ha sempre voluto insegnarci questo: a volte bisogna macchiare se stessi per mantenere puliti gli altri.
Badate: in questo periodo non è affatto scontato giocare a delle storie che non cerchino di instillare il seme del giustificazionismo neo-millenario. Almeno in un videogioco, lasciateci liberare l’Europa dalle demagogie e dai totalitarismi. Per quanto concerne invece la questione del “ritorno” alla storia fritta e rifritta, trita e ritrita, beh, chiunque voglia fare un gioco sulla Seconda Guerra Mondiale si troverà a dover fare i conti coi libri di storia. Non si è liberi di inventare oltre un certo limite, perciò anche Call of Duty WWII dovrà pescare dal “già saputo”, dal “già detto” e dal “già visto”. E allora? Dove risiede il problema?
Molti videogiocatori hanno lamentato questa come se fosse una grande pecca, ma non si sono lamentati delle prese in giro pseudo-storiche contenute in molti Assassin’s Creed. Lì si può raccontare con molta fantasia e, invece, un videogioco sulla Seconda Guerra Mondiale dev’essere necessariamente un insieme di immagini già vissute che si tradurrebbe nella “solita solfa”? In un momento storico in cui le scuole non insegnano più o, meglio, tentano di insegnare con risultati pessimi (almeno nel nostro Paese), i videogiochi come Call of Duty possono essere tanto interattivi da essere didattici, perciò ben vengano.
Brindiamo alla speranza di un grande videogioco che possa raccontarci nuovamente di quale grande sforzo siamo figli e chi dobbiamo ringraziare, su entrambi i fronti.