Bethesda prima di Starfield
L'editoriale vuole fare luce sull'evoluzione della compagnia e su quali siano le componenti che necessariamente hanno ispirato lo sviluppo di Starfield.
Starfield, in arrivo il 6 settembre del 2023, promette di essere un titolo epocale, un’enciclopedia moderna della fantascienza nella quale al giocatore sarà consentito esplorare liberamente una mole di pianeti sconfinata nonché intessere rapporti (più o meno conviviali) con chicchessia. Insomma, la realizzazione di uno dei sogni più frequenti: essere un astronauta. Ma anche altro, un esploratore, un cacciatore, un condottiero, un meccanico.
L’attesa è snervante e per saziare il desiderio di curiosità vogliamo proporvi, in un trittico di editoriali dedicato a Bethesda, una cronistoria della compagnia che riavvolga il nastro e che si soffermi sui videogiochi che hanno fatto la storia e che, di conseguenza, si prestano a essere i modelli a cui Starfield si ispira.
Le origini di Bethesda, da Gridiron! sino a The Elder Scrolls: Arena
Bethesda, Maryland, non lontano da Washington DC. La città, che originariamente altro non era se non un sentiero di crinale utilizzato dai coloni nativi per cacciare selvaggina, è tutt’oggi centro nevralgico degli affari del sud-ovest di Montgomery. Il nostro viaggio ha inizio da qui grazie all’opera e al lavoro di una personalità che al mondo dei videogiochi, e non solo, ha dato tanto: Christopher Weaver.
La Bethesda Softworks nasce nel 1986 dalla volontà di Weaver di indagare se il mercato dei PC fosse o meno un luogo praticabile per sviluppare giochi, idea che potrebbe avere dell’assurdo se non correttamente contestualizzata al periodo storico di riferimento. La compagnia, nota ai più oggi per la costruzione di giochi di ruolo degni di nota, fa il suo esordio nel mondo dei videogiochi proprio con un …. titolo sportivo: Gridiron!, una simulazione di football americano.
In Gridiron!, antenato del più noto Madden NFL, il giocatore aveva la possibilità di scegliere la propria squadra e le strategie da applicare durante la partita, controllando il giocatore in possesso. Il titolo introduceva una fisica dei movimenti notevole per l’epoca: i giocatori più pesanti e più forti, oltre a muoversi con maggior lentezza, riescono rompere i contrasti di quelli più piccoli.
Il successo di Gridiron! fu strepitoso e il titolo divenne presto simbolo di come sviluppare un videogioco sportivo sebbene, complice un rapporto non idilliaco tra Bethesda e EA, i lavori sul progetto dovettero interrompersi non permettendo al gioco di uscire sulle nuove console dell’epoca.
Tra il 1986 e il 1992 l’azienda, che nel frattempo aveva abbandonato Bethesda per spostarsi a Rockville, lanciava numerosi titoli sul mercato, tra cui Terminator, titolo che ha gettato le basi (vedasi libertà di esplorazione e controllo per il giocatore) per il primo grande trionfo della compagnia, The Elder Scrolls: Arena, un RPG pubblicato nel 1994 e ambientato nel magico mondo di Tamriel.
The Elder Scrolls: Arena, un punto di partenza geniale?
Ci vorrebbe è un jingle di sottofondo per introdurre The Elder Scrolls: Arena perché lo merita a pieno titolo. Il gioco riproduceva una sorta di versione ancestrale dei recenti titoli della saga e presentava una mappa di gioco sconfinata (Morrowind, Oblivion e Skyrim messi insieme), anche grazie a un sistema di creazione procedurale del mondo di gioco nonché all’introduzione della prospettiva in prima persona in un GDR.
Il successo è dovuto in larga parte al fatto che tra il 1992 ed il 1993 la compagnia ha messo insieme tre persone di talento: il Designer e Produttore Vijay Lakshman, il Designer Senior Ted Peterson e il Programmatore Julian LeFay il cui obiettivo, all’epoca, era quello di realizzare il gioco di ruolo più grande e ambizioso mai prodotto.
Arena risultava realmente innovativo per l’epoca per merito dell’aggiunta di meccaniche chiave per lo sviluppo di un gioco di ruolo (e non solo). Si pensi, indicativamente, all’implementazione del ciclo giorno-notte (con attività che chiudono durante il buio), alla possibilità di interloquire con chiunque nonché alla gestione e personalizzazione dell’inventario e delle proprie caratteristiche.
Il tutto confluiva in un’esperienza tale da ispirare fortemente i successivi titoli della serie The Elder Scrolls e non solo. Insomma, un gioiellino!
Fallout, una saga a dislivelli
Nasce tutto da una crisi. L’ingresso del marchio Fallout nell’universo Bethesda (già ZeniMax o forse no) è la conseguenza della crisi sofferta nei primi anni 2000 da Interplay Entertainment, società che ha sviluppato e rilasciato i primi due titoli della saga. Ma cos’è Fallout?
Fallout è una serie di videogiochi ambientata in un futuro post-apocalittico, il cui primo capitolo uscì nel lontano 1997, divenuta un must have per una serie di ragioni. Il principale aspetto che rende Fallout così attrattivo per gli amanti dei giochi di ruolo è la capacità di animare il videogiocatore a ritagliarsi la propria storia attraverso la narrazione.
Per quanto ogni titolo segua un corso degli eventi ben strutturato, il gameplay del titolo è tale da permettere a chi lo gioca di intrufolarsi nel mondo di gioco (quasi) da straniero, da incomodo sino a diventare realmente ciò che desidera, facendosi strada tra un mondo a tratti lugubre e infame, ricco di personaggi e personalità che hanno segnato la fama del gioco.
Graficamente, i primi due capitoli erano ben lontani dal gioco come conosciuto oggi. Entrambi sfruttavano una visuale isometrica e un terreno rappresentano semplicemente da una griglia a esagono. Non solo, il gameplay a turni dei giochi, in voga all’epoca, chiaramente stride(va) con la dinamicità che caratterizza il Fallout moderno.
Fulcro dei due giochi erano, comunque, i continui dialoghi con i personaggi principali della storia, la gestione del potenziale del personaggio attraverso l’introduzione del famoso S.P.E.C.I.A.L., grazie al quale il giocatore poteva, attraverso punti abilità, potenziare una caratteristica particolare e, ultimo fondamentale, il sistema del karma per cui il compimento azioni riprovevoli avrebbe avuto quale conseguenza un vulnus alla reputazione (e non solo) del personaggio.
Fallout 3, il punto più alto
Dieci anni dopo il secondo episodio, Bethesda, come detto, acquisisce i diritti del brand Fallout da Interplay Entertainment, rivoluzionando il progetto e l’anima che fondavano il titolo e pubblicando, qualche anno dopo, Fallout 3.
Fallout 3 prendeva le distanze in modo netto dai predecessori: il comparto grafico è stato totalmente rinnovato grazie al nuovo motore Gamebryo. La scelta di abbandonare la visuale isometrica fu presa (probabilmente) in adesione alla fruttuosa esperienza con The Elder Scrolls: Arena, titolo che presentava una visuale in prima persona alternabile con una visuale in terza persona.
Il protagonista poteva, dunque, liberamente muoversi e esplorare ogni direzione della mappa di gioco, rompendo i rigidi muri della griglia tridimensionale, con le conseguenze del caso (quanti bug).
Con riferimento al gameplay, Bethesda decise di puntare ancora sul sistema S.P.E.C.I.A.L., introducendo un sistema di attributi rivisto e meno “complesso” e abbandonando la modalità a turni per aderire al c.d. SPAV che altro non era se non la possibilità di interrompere il flusso del tempo per scegliere quale punto del corpo del nemico aggredire.
I punti di forza della saga non vengono assolutamente intaccati. Anche Fallout 3 presentava il gameplay non lineare tipico dei vecchi episodi e una spiccata componente narrativa, con la storia del Vagabondo Solitario che è rimasta nella mente di tutti e che ha segnato il successo del titolo.
Fallout Online, il picco più basso
Particolarmente curioso è che il picco più basso venga raggiunto da un titolo che non ha visto la luce. Fallout Online, nome scelto per il titolo, ha dovuto affrontare numerosi problemi legali e finanziari nel suo infinito cammino verso la cancellazione, o meglio, verso Fallout 76, non proprio un successone.
Siamo alla fine degli anni ’90. Interplay Entertainment, azienda in crescita che stava godendo del successo dei primi due Fallout e della serie Baldur’s Gate, ebbe la malsana idea di realizzare un MMORPG basato su Fallout, mettendo in piedi una sovrastruttura in grado di svilupparlo e pubblicarlo nel breve periodo.
L’accoglienza interna non fu delle migliori: a causa dei costi di produzione e della manodopera necessaria per creare un gioco di tale portata, si iniziò a respirare, sin dall’inizio, odore di fallimento che culminò, anche a causa di una grave finanziaria che colpì la società, con la chiusura temporanea della Interplay.
Nel 2007, come detto, la ricostituita Interplay ha venduto il franchise di Fallout a Bethesda Softworks e, come parte dell’accordo, la prima avrebbe potuto continuare a sviluppare il loro MMO Fallout fintanto che ne era in grado, rispettando le scadenze di produzione specifiche imposte da Bethesda. In cambio, Bethesda avrebbe ottenuto circa il 10% delle future vendite.
Patti chiari? Non proprio. Bethesda, da quel momento, ha iniziato una serie di battaglie legali mirate a revocare i diritti di Interplay su Fallout Online: si è partiti dalla asserita accusa di non aver rispettato qualche scadenza sino ad arrivare a una presunta violazione di copyright, tutte azioni mirate a intralciare lo sviluppo di un progetto (forse) invidiato dal colosso.
I problemi finanziari di Interplay, insieme alle dispute con Bethesda, cancellarono ogni speranza che Fallout Online vedesse la luce e il mancato rilascio del titolo portò alla definitiva pietra tombale sulla stessa Interplay Entertainment poiché la società, alla fine, ha venduto tutte le sue proprietà intellettuali nel 2016.
Fine prima parte
Lasciamo il crono-racconto della lunga vita di Bethesda a questo punto avendo avuto cura di sottolineare gli aspetti più importanti della compagnia e dei titoli pubblicati dalla stessa. Restate connessi con Gamesource perché il mese prossimo chiuderemo il cerchio, avvicinandoci sempre di più all’uscita di Starfield.