Back in Time – The Legend of Heroes: Trails in the Sky
In viaggio con Joshua ed Estelle!
Pochi giorni fa è giunta anche in Europa la versione remastered di Trails of Cold Steel, con lo scopo di preparare la platea all’uscita del terzo capitolo il prossimo autunno. Per l’occasione, Back in Time torna indietro a un ciclo precedente di The Legend of Heroes, quello di Trails in the Sky, una trilogia giocabile su PC e parzialmente su PSP. Trails in the Sky e Trails of Cold Steel sono saghe autonome, ma ambientate nello stesso continente quasi nello stesso periodo, per la gioia dei patiti di lore.
Trails in the Sky inaugura una nuova saga nell’ambito della serie di The Legend of Heroes, quindi non c’è bisogno di affrontare anche i precedenti titoli, mentre è consigliato giocare ai due successivi.
I protagonisti di quest’epopea sono Estelle e Joshua, due giovani di sedici anni che hanno appena terminato la loro preparazione per diventare bracer, degli avventurieri che, per tramite della gilda, accettano incarichi su richiesta dei cittadini, fornendo un valido aiuto alla popolazione (d’altronde “to brace” significa “sostenere”). Sterminare mostri, cercare oggetti, scortare persone… queste sono le missioni-tipo che affronterete, soprattutto se svolgerete tutte le sub-quest, utili ad accumulare Bracer Point e salire di rango: come potete intuire, infatti, tali premesse si prestano perfettamente a una struttura composta di sotto-trame e NPC a iosa. Il plot non incalza il giocatore sin da subito, ma gli lascia il tempo di familiarizzare con il mondo circostante; d’altronde non c’è fretta, dal momento che questa è solo l’introduzione ai successivi capitoli, in cui la vicenda entra nel vivo (diciamo dopo il colpo di scena che conclude questo primo episodio).
Uno degli aspetti più belli di Trails in the Sky è proprio “perdersi” nelle piccole cose, immergendosi in un mondo talmente accurato da sembrare quasi credibile. La lore è impressionante: il Liberl Kingdom e l’Erebonian Empire (in cui è ambientato Trails of Cold Steel) hanno una propria storia, una peculiare tecnologia (ci troviamo nel bel mezzo di una sorta di Rivoluzione Industriale), diversi costumi e grandi città, piene di vita e di personaggi con cui dialogare, i quali dispongono di un elevato numero di battute a seconda del momento della trama in cui vi rivolgete a loro. Non dovrebbe a questo punto risultare un mistero il motivo per cui Trails in the Sky è una delle serie (se non La serie) col maggior numero di linee di testo, record che in passato aveva scoraggiato chiunque volesse localizzare il gioco; l’opera di traduzione di XSEED, che è pure di ottima fattura (la mezza porcheria della localizzazione della trilogia di Gagharv è un lontano ricordo), fu un miracolo.
Un piccolo appunto: è necessaria una discreta conoscenza dell’inglese per godere appieno dell’opera, dal momento che il tempo che si passa a leggere è davvero tanto. Non serve certo un CPE per comprendere i testi, ma una padronanza “scolastica” della lingua è quasi indispensabile.
In relazione al gameplay, l’impostazione è altrettanto classica: abbiamo un mondo vastissimo, un battle system a turni e un sistema di crescita che coniuga i livelli a un meccanismo di skill simile a quanto abbiamo apprezzato in Final Fantasy VII. Ciò non significa che non ci siano delle peculiarità, che rendono Trails in the Sky uno dei JRPG classici più gradevoli da giocare.
Cominciamo dall’esplorazione: sì, è free-roaming, ma non utilizza la World Map tradizionale. Le numerose località sono fra loro collegate da strade, sentieri, pianure, senza soluzione di continuità. La maggior parte di voi ricorderà un’impostazione simile in Final Fantasy X, in cui però il risultato finale era minato da un’eccessiva linearità: le strade erano dritte, spesso non era possibile tornare sui propri passi e gli snodi erano davvero pochi; in questo caso non c’è di che preoccuparsi, dal momento che sono state inserite diverse biforcazioni e location opzionali. Il dettaglio più rilevante, però, è l’assenza di incontri casuali: i nemici sono ben visibili sullo schermo, e non è impossibile evitarli.
Da tutto ciò avrete ormai intuito che il viaggio in sé è forse più importante dei combattimenti stessi, il che non vuol dire che questi ultimi siano noiosi. Anche in questo caso notiamo degli accorgimenti che vorremmo un po’ in tutti i JRPG, come la possibilità di salvare in ogni momento, a eccezione dei combattimenti stessi (ma la sconfitta non comporta necessariamente il game over: è possibile anche riprovare lo scontro). Il sistema è turn-based, ma dà importanza anche al posizionamento, un po’ come se ci trovassimo in un tattico, tanto che esiste anche il comando Move. Per il resto, la turnazione è scandita da una barra a sinistra che viene influenzata dal tipo di comando impartito. Alcuni turni presentano caratteristiche di vantaggio, come l’esecuzione di un colpo critico o il parziale recupero di salute, aggiungendo un ulteriore elemento strategico negli scontri.
Ogni combattente ha una dotazione di skill che dipende in parte (le Art) dai Quartz equipaggiati e in parte (le Craft) dal personaggio stesso. Esse sono deputate a due diverse barre, rispettivamente quella degli EP e quella dei CP, che ha la caratteristica di riempirsi nel corso dei combattimenti, procurando e subendo danni. I Quartz equivalgono grosso modo alle Materia di Final Fantasy VII: sono delle sfere che conferiscono abilità e/o boost di statistiche e vanno collocati negli slot dell’Orbment di ciascun personaggio, progressivamente sbloccabili con la spendita di sephit, rilasciati dai mostri uccisi.
Non è solo il gameplay a rendere classico Trails in the Sky, bensì anche la resa grafica, in cui vengono coniugati i soliti sprite (a risoluzione non altissima) ad ambienti 3D isometrici. A ben vedere, qui potremmo sostituire la parola “classico” con la parola “vecchio”: il gioco risale al 2004 e l’engine è lo stesso di Ys: The Ark of Napishtim. In perfetto stile Falcom è pure la colonna sonora, composta dal solito Falcom Sound Team JDK, che non ha certo lesinato sulle tracce: ne abbiamo una sessantina, per una durata complessiva che si assesta sulle due ore. Il doppiaggio, invece, è assente se non per quanto riguarda le battaglie, in linea con la tradizione.
In punto longevità, alla consueta quarantina di ore del genere possiamo aggiungerne almeno una ventina e pure qualcosa di più per chi decida di sfruttare al massimo Trails in the Sky, ricco di subquest, vivendo l’avventura con la quotidianità e la costanza di Estelle e Joshua. Non è detto che vi venga la voglia di farlo: potreste trovare il tutto troppo lento e noioso sul breve termine, specialmente se non amate le atmosfere “slice of life” ricostruite da Falcom perché troppo “ordinarie”: in tal caso c’è un’altra grande serie che fa per voi, e si chiama Ys, epica, veloce, action; ma se, invece, affronterete il viaggio con la curiosità di chi scopre un mondo nuovo, potreste non staccarvi troppo facilmente da Trails in the Sky.
The Legend of Heroes: Trails in the Sky è un gran bel JRPG, ricchissimo in ogni suo aspetto. Giocateci e amatelo, ma sappiate che per essere soddisfatti della trama dovrete quantomeno completare il sequel.