Back in Time – The Legend of Dragoon
Una leggenda che sa ancora incantare
Bei tempi, quelli dell’epoca dei 32 bit, per i JRPG: era un genere che contava, un genere su cui le software house investivano. In quell’età mitica -o mitizzata?- la scommessa di Sony fu The Legend of Dragoon, che si poneva nello stesso segmento di mercato di Final Fantasy. Ci verrebbe quasi da paragonarlo a Lost Odyssey (con cui, guarda caso, condivide alcuni elementi del team di sviluppo), che due generazioni dopo provò ad assumere il ruolo di “anti-FF” in casa Microsoft. Fu un successo? Difficile dirlo: se, da una parte, il pubblico giapponese lo snobbò, quello americano, invece, lo amò (oltre 800000 copie vendute). Certo è che un seguito non uscì e non uscirà mai, anche se moltissimi fan lo chiesero per anni. Alcuni lo sognano ancora…
In occasione del diciottesimo anniversario del debutto sul suolo europeo, Back in Time vi racconta l’enorme sforzo di Sony.
Il team dii sviluppo contava più di cento persone: la cura riposta in diversi elementi, in effetti, è evidente, anche se alcune imperfezioni minano il risultato finale.
Da un lato abbiamo ambientazioni renderizzate meravigliose, tanto sul piano tecnico (meglio di Final Fantasy, se ve lo steste chiedendo), con una realizzazione dell’acqua fuori parametro e vari elementi in movimento, quanto su quello artistico, rivelandosi sempre ispirate e varie e, allo stesso tempo, coerenti. Troverete un po’ tutti i luoghi classici del genere (castelli, deserti, città…), ma ciascuno di essi ha una propria “personalità” spiccata. L’estetica generale, inoltre, varia da CD a CD: se il primo è piuttosto cupo e fantasy medievale, il secondo è molto più esotico e ridente, ad esempio.
Peccato che una tale eccellenza non sia riscontrabile anche negli elementi tridimensionali, o meglio, non in tutti: in particolare, si nota un fastidioso divario fra le sezioni di combattimento e quelle di esplorazione, con modelli poligonali non eccezionali e alcuni elementi bruttini, come la World Map, non riuscitissima neanche a livello ludico. Il character design di Tetsuya Nakamura non spicca quanto i fondali, ma merita comunque di essere ricordato per le armature dei Dragoni.
Sulla trama e sulla caratterizzazione dei personaggi lavorò un’intera squadra di sceneggiatori; il risultato, pur non essendo all’altezza delle risorse impiegate, si lascia apprezzare per numerosi aspetti. Il plot di The Legend of Dragoon è avvincente, pur non discostandosi dagli stilemi del genere: Dart, rimasto orfano in seguito alla distruzione del villaggio natale, si mette in viaggio per salvare l’amica Shana, misteriosamente rapita. Ma perché è stata rapita? Qual è la sua importanza? Chi è il Mostro Nero che distrusse la patria di Dart? Questi i principali interrogativi, quantomeno all’inizio. Man mano che le vicende si dipanano, ogni quesito troverà risposta. Non tutti i momenti, però, sono intensi: se il primo disco si rivela interessante, gettando le basi di tutto, il secondo è più filleroso, mentre il terzo tocca alte vette di coinvolgimento grazie a rivelazioni fondamentali che ci traghettano alla conclusione nel quarto CD, non originale, ma appropriata. D’altronde, è impossibile che un gioco così lungo sia coinvolgente in ogni suo punto e privo di filler; fortunatamente, questi ultimi spesso vanno ad approfondire il passato o la personalità dei compagni, che interagiscono molto fra di loro dando l’impressione di avere davanti un vero gruppo. Questo risultato, non alla portata di tutti i JRPG (Final Fantasy XII?, N.d.R.), è stato raggiunto grazie a una certa mole di dialoghi infra-party, non strettamente necessari per lo svolgimento della storia.
Peccato che lo script sia compromesso dalla traduzione italiana, non scandalosa come quella di Wild Arms, ma comunque piatta e colma di inesattezze e ingenuità. Il doppiaggio, invece, è atroce, con errori di accentazione (“fiàmmata!!!”, N.d.R.) e alcune voci raccapriccianti, come quella di Albert. Fortunatamente sono presenti solo in battaglia e durante le ottime sequenze FMV, parzialmente rovinate da tale pecca. L’OST del compianto Takeo Miratsu, invece, è ottima e d’atmosfera.
Caratteristica principale del gameplay di The Legend of Dragoon, fondamentale pure sul piano narrativo, è che tutti i combattenti sono Dragoni, prescelti capaci di dominare i Draghi, una delle specie più evolute create dal Divino Soa. Tutto ciò viene spiegato così, piaccia o meno: “Gli Spiriti di Dragone sono attratti gli uni dagli altri e si ritrovano quando lo Spirito di Dragone lo desidera… come vuole il destino di Soa.”
I riflessi più importanti si hanno sui sistemi di battaglia e di crescita. Il primo innesta alcuni elementi interessanti, ma discutibili, su una consueta struttura a turni. Balza subito all’occhio l’assenza di qualsivoglia abilità al di fuori dell’attacco fisico: i personaggi, finché non si trasformano in Dragoni riempiendo l’apposita barra, non hanno magie, gestite invece con gli oggetti, limitati a un massimo di 32. Le sole possibilità sono attaccare, usare un oggetto oppure difendersi, riducendo considerevolmente i danni subiti nel turno successivo e recuperando il 10% degli HP. Tutto ciò è limitante, ma allo stesso tempo porta il giocatore a sfruttare pienamente il poco che ha a disposizione.
L’attacco fisico è caratterizzato dall’uso delle Dotazioni per quasi tutti i personaggi: trattasi di combo, attivabili mediante la tempestiva pressione dei tasti. Ogni Dotazione ha un suo parametro di potenza e ricarica uno specifico quantitativo di Punti Dragone, e può persino salire di livello con l’uso, migliorando le sue caratteristiche. Risulta opportuno scegliere la Dotazione in base alle proprie esigenze: volete trasformarvi spesso in Dragoni o preferite infliggere più danni? A voi la scelta, ma ricordate che alcune Dotazioni sono più difficili da eseguire rispetto ad altre e che, per apprendere quella suprema, dovrete portarle tutte a livello massimo. Le Dotazioni più avanzate prevedono anche sette mosse, a discapito del ritmo delle battaglie, veramente lento, anche a causa di alcune animazioni molto lunghe dei nemici (specialmente gli attacchi dei boss) e delle magie dei Dragoni. Questi ultimi rappresentano la vostra arma migliore, avendo elevati parametri di attacco/difesa e magie importantissime. Lo status di Dragone dura tanti turni quante sono le barre riempite, quindi al massimo cinque, essendo, appunto, cinque i Livelli Dragone.
Come forse avrete intuito mettendo assieme i vari elementi di gameplay, la crescita dei personaggi è legata a tre ambiti: Livello, Livello Dragone e Livello Dotazioni. Ciò rende abbastanza complesso sviluppare tutti e sette i combattenti in maniera omogenea, tanto che spesso chi affronta il gioco sceglie una squadra sola da allenare. Da segnalare al riguardo, anche uno strano bilanciamento dell’esperienza: gli scontri casuali ne forniscono poca, rendendo quasi impossibile il level up al di fuori delle boss battle; ad esempio, ci sono zone nel terzo disco in cui i mostri semplici danno 400 punti, mentre il boss oltre 10000. Inoltre, i personaggi che non sono in squadra, ne ricevono solo la metà. Il gioco, comunque, non è difficilissimo, quindi non è necessario livellare (ma allenare le Dotazioni può salvarvi), bensì è più proficuo equipaggiarsi con sapienza, tenendo conto che i boss vi fregheranno soprattutto sulla difesa magica. Uomo avvisato…
The Legend of Dragoon presenta numerosi spunti interessanti, ma la loro implementazione non è impeccabile. Non parliamo tanto della grafica, quanto del gameplay, a riprova di quanto sia rischioso, seppur encomiabile, modificare una formula consolidata. Le novità non sono numerosissime, ma talvolta impattano negativamente su un gameplay non perfettamente bilanciato. Rimangono comunque una trama con ottimi momenti e un cast solido, che hanno reso un cult l’opera di Sony.