Back in Time – Tales of Graces f
Quando iniziò la redenzione di Bandai Namco.
Ci siamo quasi: fra sei giorni debutterà Tales of Arise, diciassettesimo mothership (episodio principale) della serie di Bandai Namco. In contemporanea mondiale: un bel traguardo per una serie che fino a dieci anni fa era quasi sconosciuta in Europa. Fino all’epoca 128 bit Namco (e Bandai, assieme dal 2006) trascurava quasi completamente il Vecchio Continente, in un’ottica JRPGistica. All’inizio della generazione successiva le cose non parevano andare meglio, anzi, la software house giapponese, come tante altre, si fece prendere dalla mania di riempire la sua line-up di titoli occidentali dalla qualità altalenante, fra cui Enslaved e Splatterhouse.
Fortunatamente la situazione cambiò una decina di anni fa: il port di Tales of the Abyss per 3DS fu solo lo step one del percorso di redenzione di Namco Bandai (ora Bandai Namco), che l’anno dopo pubblicò in Occidente Tales of Graces f e negli anni a seguire portò in Europa tutti i mothership successivi, e anche alcuni precedenti, con i remaster di Tales of Symphonia (e seguito) e Tales of Vesperia e il remake di Tales of Hearts, uscito su PS Vita. Oggi ci soffermeremo su Tales of Graces f, che proprio in questi giorni (31 agosto) faceva il suo debutto in Europa nove anni fa.
Tales of Graces f, dodicesimo mothership non ha certo l’obiettivo di stravolgere i canoni della serie, che poi sono gli stessi della produzione anime shounen nel suo amplissimo filone fantasy: nel mondo di Ephinea il giovane Asbel Lhant sogna di diventare un cavaliere per proteggere le persone a cui vuole bene. Il tema centrale del gioco infatti è proprio questo: la scoperta della forza di proteggere. Non si tratta certamente di una rivoluzione all’interno del genere, ma non disperate, perché Asbel non è fesso come Snow di Final Fantasy XIII.
La trama, assolutamente scollegata a qualunque precedente episodio, si articola lungo tre archi narrativi di ampiezza variabile: se quello dell’infanzia è fortunatamente molto breve (quattro ore circa), il secondo, che prende luogo sette anni dopo, è sicuramente il più corposo; il terzo è una novità del port per PlayStation 3 e aggiunge un’altra dozzina di ore, per una durata complessiva che supera le cinquanta ore, a cui se ne possono aggiungere diverse decine per completare tutte le subquest e magari ottenere anche tutti i Trofei.
È chiaro che in un JRPG così lungo la trama non possa mantenere sempre la stessa intensità, per cui ci saranno anche dei momenti di “stanca”, senza contare che raramente Tales of stupisce per intrecci fuori dal comune: diciamo che Graces f si colloca su buoni livelli, rivelandosi migliore degli episodi meno entusiasmanti, come potrebbero essere Symphonia ed Eternia, ma non tocca le vette raggiunte a suo tempo da Abyss.
Il vero punto di forza del comparto narrativo è la caratterizzazione dei personaggi, in particolar modo lo sviluppo dei rapporti all’interno del party, grazie alla pletora di dialoghi opzionali (si chiamano skit) attivabili in determinati momenti con la pressione del tasto Select. Nessun dettaglio fondamentale o colpo di scena viene rivelato in questi frangenti, che spesso aggiungono semplicemente un elemento di comic relief. Come detto sopra, si tratta di materiale extra, opzionale, sicché i più “smanettoni”, che magari giocano quasi esclusivamente per il divertentissimo battle system, non saranno appesantiti da ulteriori chiacchiere, che invece interesseranno a quanti vogliano entrare in sintonia con Asbel e i suoi compagni.
Il gameplay costituisce l’aspetto migliore di Tales of Graces f, proiettandolo nell’Olimpo degli A-JRPG. Per il suo debutto nelle tre dimensioni, Team Destiny non abbandonò gli elementi chiave della serie, quindi ci troviamo dinanzi a un JRPG con una struttura tradizionale, caratterizzata dalla transizione tra fasi esplorative e combattimenti, che fortunatamente non sono casuali. Al posto della World Map è stata utilizzata una formula in tutto e per tutto analoga a quella di Trails in the Sky, in cui città e dungeon sono collegati da strade e sentieri; forse i nostalgici degli Anni Novanta che si sono fatti le ossa sui vari Final Fantasy avrebbero preferito il mappamondo, ma questa soluzione ha perlomeno il pregio di far sfoggio di ambienti maggiormente diversificati.
Il battle system – cui è ispirato quello di Tales of Arise – è frenetico e profondo al tempo stesso, rendendo una gioia pratiche come il grinding (non che ce ne sia un vero e proprio bisogno), che in altri titoli risultano ben poco entusiasmanti. Il moveset di ciascun personaggio si basa su due tipi diversi di attacchi, detti Artes: le Assault Artes costituiscono gli attacchi fisici, e sono variamente concatenabili per ottenere articolate combo; le Burst Artes, invece, sono paragonabili agli attacchi speciali. Entrambe le tecniche consumano punti CC (Chain Capacity), ma, a differenza dei più tradizionali MP, SP, TP e altre sigle, si ricaricano nel corso del combattimento piuttosto rapidamente.
I movimenti, per quanto si combatta in arene tridimensionali, non sono liberi, ma vengono influenzati dal proprio target, liberamente switchabile; ciò, però, non deve indurre a pensare a un sistema poco dinamico ed eccessivamente “impostato”, perché i combattimenti di Graces f sono molto rapidi e frenetici, grazie a un praticissimo sistema di schivate che non sarebbe altrimenti stato possibile implementare con gli stessi risultati. Molte altre dinamiche corredano lo Style Shift Linear Motion Battle System, ma il principiante non deve spaventarsi per almeno due motivi: innanzitutto, è possibile regolare in ogni momento la difficoltà accedendo alla schermata delle opzioni; secondariamente, tutti questi elementi non vengono presentati tutti in un momento (scelta che avrebbe potuto sopraffare il giocatore), bensì sono spiegati di combattimento in combattimento, consentendo un approccio graduale e assolutamente indolore.
Le lodi intessute fino ad ora per il battle system non devono mettere in ombra gli altri pregi del gameplay. In particolare, il crafting raggiunge nuove vette per la serie: l’inedito sistema Dualize è molto versatile, in quanto consente di fabbricare oggetti, cucinare e potenziare equipaggiamenti, ma è anche semplice, basandosi sulla combinazione di due “ingredienti” e sulla spendita di qualche Gald, la valuta storica di Tales of. Un altro modo per creare oggetti è quello di moltiplicarli collocandoli nell’Eleth Mixer, un nuovo strumento che si rivela utilissimo anche in battaglia e contribuisce ad arricchire il quadro delle meccaniche del gameplay. Il sistema di crescita affianca all’ovvio Level up il sistema dei Titles: ogni personaggio ha una grande quantità (si ottengono in vari modi: ad esempio proseguendo nel gioco, oppure soddisfacendo alcuni requisiti in battaglia) di Titles (potremmo compararli alle classi, per rendere l’idea, anche se sono qualcosa di più semplice) equipaggiabili, ciascuno dei quali conferisce cinque abilità che si apprendono accumulando SP con i combattimenti.
Come già accennato, Graces f non nasce su PlayStation 3, bensì è un port. Il problema è che la versione originale non è uscita su Xbox 360 (come Vesperia), ma sullo “scassatissimo” Wii, e si vede: nonostante una fluidità e una pulizia dell’immagine soddisfacenti, non si può certo dire che il comparto tecnico fosse al passo coi tempi. Il character design è stato affidato alla solita Mutsumi Inomata, che si è occupata di tutti i precedenti lavori del Team Destiny e di tutti i mothership successivi fino ad Arise. Bisogna comunque constatare come più di qualcuno abbia criticato alcune scelte stilistiche, soprattutto legate ad Asbel e al suo vestiario; come al solito, in quest’ambito è difficile non sconfinare nel puro soggettivismo, per cui lasciamo queste considerazioni al lettore.
All’OST troviamo l’onnipresente Motoi Sakuraba, che ha curato quasi tutti i mothership usciti finora, oltre ad altre decine di giochi, JRPG e non. Non deve essere facile produrre decine e decine di colonne sonore mantenendo una vena artistica vivace, e comunque non è il caso di Graces f, che non appare particolarmente ispirato, bensì piuttosto “generico”. Un’altra lamentela sul versante audio è dovuta all’assenza del doppiaggio originale giapponese, una mancanza non gravissima ma comunque pesante. Purtroppo i testi sono in inglese, diversamente dalle uscite più recenti della serie.
Grazie a un battle system rapido e divertente, a meccaniche ricche ma non contorte, e alla possibilità di scegliere in ogni momento il livello di difficoltà più consono, il testamento del Namco Tales Studio (ora assorbito in Bandai Namco Studios) è un ottimo AJRPG, godibilissimo ancor oggi, al netto del comparto tecnico vetusto.