Back in Time – Steambot Chronicles
Alla scoperta di una serie poco conosciuta e molto morta.
Poco più di un mese fa è uscito R-Type Final 2, l’ultimo esponente della serie più famosa di Irem, sviluppato da Granzella, studio fondato da ex dipendenti Irem. Cogliamo l’occasione per ricordare un’altra serie di Irem, Steambot Chronicles (nota in Giappone come Ponkotsu Roman Daikatsugeki: Bumpy Trot), anche se dubitiamo che Granzella deciderà di riprenderla in mano, come ha fatto recentemente con Disaster Report e, appunto, R-Type.
https://www.youtube.com/watch?v=R8kVeK9Jk-s
Anche solo a una prima occhiata, Steambot Chronicles riporta alla memoria opere come Fullmetal Alchemist o Steamboy. Il genere steampunk, che nasce in Occidente, è caratterizzato dalla presenza di una tecnologia molto avanzata, futuristica, costruita però sulla forza del vapore anziché dell’elettricità. Incontra grande successo nell’ambito manga/anime giapponese, dove si mescola con il fantasy e viene perlopiù generalizzato, perdendo spesso alcune peculiarità originarie, tanto che ora il termine viene utilizzato genericamente per ogni libro/film/gioco/ecc. presenti un uso massiccio di tecnologie avveniristiche basate sulle macchine a vapore.
Steambot Chronicles, invece, si dimostra molto fedele alla concezione originale dello steampunk, ispirandosi all’Età Vittoriana per il setting; ovviamente si tratta di un’Età Vittoriana alternativa, in cui esistono mezzi di trasporto assimilabili ai mecha, ma stilisticamente coerenti con il contesto: si chiamano Trotmobile e sono i veri protagonisti del gioco. Hanno un abitacolo abbastanza simile a quello delle automobili, ma sono dotati di veri e propri arti intercambiabili a seconda delle esigenze. L’atmosfera che si respira è piacevolissima, grazie anche alla sua inusitata ambientazione, più rigorosamente aderente al genere rispetto alla stragrande maggioranza dei giochi etichettati “steampunk”. Il character e mech design, comunque, è sostanzialmente anime-oriented, gradevolmente fumettoso.
Peccato che la realizzazione tecnica riesca a compromettere l’impatto: se i modelli poligonali di Trotmobile e personaggi principali sono abbastanza curati, lo stesso non si può dire degli NPC, che paiono ciocchi di legno, degli ambienti spogli e delle texture davvero povere; inoltre, caricamenti corposi e un frame rate non solidissimo non aiutano. Per le animazioni bisogna fare dei distinguo: le Trotmobile vantano movimenti ben più curati rispetto a quelli dei personaggi umani, protagonisti inclusi, i quali comunque si muovono nei limiti della decenza. Favorire le Trotmobile nelle ristrettezze dell’ambito tecnico è stata una scelta saggia dal momento che le sezioni di azione si svolgono a bordo di esse. Tutto sommato, poi, è anche più semplice realizzare animazioni credibili per delle macchine, che si muovono meno fluidamente degli esseri umani. Meglio il sonoro, per il quale è più facile chiudere un occhio per gli effetti in favore di una OST di buona qualità. D’altronde, come vedremo in seguito, il gioco si compone pure di una gradevole fase rhythm-game, con diversi brani cantati.
Incasellare i giochi in generi precisi spesso risulta un’operazione complicata e riduttiva per il titolo stesso. Cercando in giro per il web, troverete spesso la dicitura JRPG, A-RPG o cose del genere associate al titolo di Irem, ma queste non calzano così bene, dal momento che mancano quasi tutte le caratteristiche principali del genere come i livelli, l’esperienza, l’equip e simili. Il fatto che l’utenza di riferimento del prodotto è la stessa dei JRPG non rende tale Steambot Chronicles. Altri parlano di un’impostazione che strizza l’occhio agli Zelda 3D, ma anche in questo caso le perplessità non mancano: ad esempio, non ci sono dungeon a enigmi o strumenti come quelli a disposizione di Link. La miglior definizione è quella data nel retro della confezione, ovvero di sandbox: un mondo relativamente vasto da esplorare, e tante cose da fare, acquistare e scoprire.
L’ossatura del gameplay, ad ogni modo, sta nell’uso della Trotmobile a disposizione del protagonista: questa si controlla con le due levette congiuntamente, mentre i dorsali servono per il combattimento, il turbo e il salto. L’utilizzo di entrambi gli analogici potrebbe sembrare scomodo sulle prime e sicuramente non immediato, tanto che, una buona volta, è consigliabile (anche per motivi di trama) seguire con attenzione il tutorial; sarete un po’ impacciati anche alla fine del gioco, ma spesso i combattimenti sono semplici e semplicistici, e non sempre è necessario vincerli (dei percorsi multipli parleremo in seguito). Ma guidare una Trotmobile non significa per forza di cose lottare, anzi, spesso ci si dovrà solo spostare per raggiungere le città successive e partecipare allo svolgimento degli eventi. Tuttavia, trovandoci di fronte a un sandbox, possiamo anche lasciare da parte il plot per un po’ e dedicarci a qualcos’altro, come il commercio o il trasporto di persone, utili per guadagnare soldi e comprare vestiti, cibo, regali per migliorare i rapporti con le protagoniste, pezzi di arredamento per la vostra stanza, strumenti musicali e parti nuove per la Trotmobile.
La personalizzazione del mezzo è fondamentale, non solo per gli scontri, ma anche per altri incarichi: per trasportare oggetti avrete bisogno di un portapacchi, ad esempio. Le parti sostituibili sono abbastanza numerose: braccio destro, braccio sinistro, gambe e corpo sono le principali, ma ci sono anche altre possibilità, come cambiare colore. Essenzialmente, modificando le braccia si agisce sulle capacità di attacco e di difesa, mentre gambe e corpo influenzano la mobilità nei diversi ambienti (terra, sabbia, acqua ecc.). Dal momento che c’è un limite massimo di peso e ogni pezzo ne ha uno specifico, è necessario assemblare con attenzione il proprio mezzo, tenendo conto che una massa maggiore equivale a un’aumentata resistenza a discapito dell’autonomia di carburante e della velocità. Una messa a punto ottimale si rende utilissima in caso si decida di affrontare gli immancabili combattimenti delle arene.
Una struttura non lineare ben si sposa ai dialoghi a scelta multipla, che possono influenzare le relazioni fra i personaggi principali e addirittura portare a finali diversi. Spesso la possibilità di scegliere una risposta piuttosto che un’altra non comporta enormi cambiamenti, però in un punto del gioco ci si ritroverà a fare una scelta importantissima per lo svolgimento degli eventi… Ma procediamo con ordine: dopo un breve questionario sulla vostra personalità, che dovrebbe leggermente plasmare il protagonista, l’eroe si risveglia su una spiaggia in seguito a un naufragio, e una ragazza di nome Connie si preoccupa delle sue condizioni.
La fanciulla è la voce del complesso musicale più famoso del paese e ben presto Vanilla si scopre musicista: apriamo dunque una parentesi sulla componente rhythm-game di Steambot Chronicles. Molti sono gli strumenti da comprare e ciascuno presenta delle varianti nelle meccaniche dell’esecuzione, pur risultando esse, per forza di cose, semplicistiche rispetto a giochi propriamente musicali. Vanilla potrà suonare in due occasioni: o con il gruppo in momenti specifici della trama, con la possibilità di scegliere chi suona quale strumento, oppure solista lungo le strade per ottenere denaro dai passanti, in perfetto stile da artista di strada; in questo caso, oltre alla precisione nell’esecuzione, per racimolare un gruzzoletto sarà necessario scegliere un punto in cui transiti un buon numero di persone. I brani, piuttosto simili tra loro nello stile (d’altronde sono dello stesso gruppo), sono abbastanza pochi, e, per averli tutti, sarà necessario completare alcune subquest.
La storia del vostro hero – o villain, dipende da voi – è sempre legata a quella della band, in ciascuna delle due diramazioni possibili, che portano a sostanziali differenze negli eventi. Sotto il profilo del gameplay, invece, le situazioni non cambiano molto: le missioni “da buono” e quelle “da cattivo”, infatti, spesso sono simili fra loro. Inoltre, una volta fatta la propria scelta, sarà possibile modificarla in particolari frangenti.
La trama è abbastanza interessante e ha il pregio, una volta tanto, di non scomodare magia, divinità, eroi prescelti da profezie et similia. Stavolta, insomma, non dovete salvare il mondo intero dalla dannazione eterna, ma non mancheranno comunque momenti seri e drammatici. Uno degli elementi portanti è l’amnesia di Vanilla, autentico leit motiv nella cultura shonen, come lo è quello del naufragio (vedi il sesto episodio di Ys, ad esempio): l’aspetto interessante che ne deriva è che il ragazzo non si ricorda la dinamica del fatto, né chi fossero i suoi compagni, quindi, buona parte della trama è dedicata a recuperare i tasselli e risolvere questi e altri misteri. La presenza di multiple path, poi, porta a finali diversificati: sono essenzialmente due, ma presentano pure delle varianti a seconda di altri elementi. Per avere una conoscenza perfetta degli eventi, quindi, è consigliabile completare entrambi i path e setacciare le varie città, in cui è possibile trovare indizi e dettagli. Peccato che queste attività non siano molto invitanti, siccome i due “percorsi” sono veramente simili in quanto a missioni, e che girare per le città, a volte a vuoto, può rivelarsi abbastanza noioso, come sono tedianti alcuni lunghi spostamenti a bordo della Trotmobile.
Per portare a termine la storia, comunque, saranno sufficienti 10 o 12 ore, a cui si devono aggiungere eventuali quest secondarie o parziali replay per completare l’altro path, se ne avrete voglia (potete sempre sdoppiare il salvataggio prima della scelta cruciale -ndr). Stabilire la durata precisa di un gioco del genere non è facile: dipenderà da quanto il mondo di gioco riuscirà a rapirvi e dalla vostra predisposizione ai sandbox. Sicuramente, però, in confronto ai veri JRPG o a Zelda, Steambot Chronicles è meno longevo, e il multiplayer 1 vs 1 non migliora le cose, visto il sistema di combattimento non particolarmente appagante.
Dal momento che ci troviamo nella sezione retro, dove ci piace anche fare qualche divagazione o dedicarci in maniera più approfondita ad un titolo, una serie o un tema, vale la pena di spendere due parole sulla serie Bumpy Trot, come si chiama in Giappone. Un seguito per PlayStation3 (ma lo sviluppo era iniziato su PS2) è stato annunciato nel 2006, a un anno dall’uscita del primo episodio, oggetto di questa recensione, ma proprio nel 2011 è stato ufficialmente cancellato, dopo anni di latitanza. Peccato, perché le basi per l’evoluzione della serie c’erano tutte. Ai fan non rimane altro che buttarsi sui due spin-off usciti per PSP, cioè Steambot Chronicles: Battle Tournament e Blokus Portable: Steambot Championship: mentre il primo non è poi un gran gioco, il secondo è solamente una versione di Blokus (dunque un puzzle game) che ospita i personaggi di Steambot Chronicles.
Steambot Chronicles era una serie interessante, con del potenziale, ma le vicende di Irem hanno tarpato le ali a Vanilla e a Connie. Il capostipite della saga non è invecchiato benissimo, però è un gioco curioso e inusuale che potrebbe ancora “affascinare” qualche appassionato del gaming giapponese.