Back in Time – Mugen Souls
Alla conquista dell'Universo!
Attualmente i JRPG sono in buona salute, come dimostrano i numerosi giochi di qualità e di grosso calibro usciti negli ultimi anni. Nella generazione precedente, invece, la situazione era molto più complessa: il relativamente scarso successo in patria delle home console aveva spostato tutto o quasi su PSP e DS; su PlayStation 3 le uscite si contavano sulle dita di una mano, quindi anche un prodotto super low budget come Mugen Souls (uscito sette anni fa) poteva destare le attenzioni della platea. Si trattò di anni intensi per Compile Heart, fra un Agarest: Generations of War e un Hyperdimension Neptunia.
Chou-Chou Infinite, a dispetto delle apparenze, è dotata di poteri stupefacenti che vanno di pari passo con le sue ambizioni. Un giorno si ritrova a osservare sette punti luminosi in lontananza e, colpita dalla loro bellezza, decide che tali pianeti devono essere suoi. In che modo? Ciò che ai comuni mortali sarebbe consentito solo a costo di guerre, può essere ottenuto dalla “undisputed god” (così ama definirsi la ragazza) in un modo decisamente meno cruento, cioè sottomettendo eroi e antagonisti di tutti i mondi con il proprio fascino! Chou-Chou adora circondarsi di “peons”, fedeli servitori e ammiratori, e quella di fare proseliti è proprio l’impresa principale in cui vi cimenterete giocando a Mugen Souls.
Sin dalle premesse potete immaginare come le vicende narrate siano demenziali e parodistiche. Mugen Souls, grazie a diversi espedienti (fra cui indubbiamente le personalità multiple di Chou-Chou), riesce a rielaborare e prendersi gioco di numerosi stilemi del proprio genere di appartenenza, senza risparmiarsi qualche frecciatina nei confronti delle perversioni più tipicamente otaku. Detto ciò, lascia interdetti la presenza di elementi fanservice legati alla sfera sessuale, che forse risulterebbero più coerenti in un’opera che celebra il mondo otaku piuttosto che nella sua parodia. NIS America si adoperò al fine di non ottenere una valutazione PEGI 18: ciò significa ovviamente censura, anche se non è il caso di drammatizzare, dal momento che ha colpito alcuni contenuti secondari legati a un mini gioco. Ora ci sarebbe abbastanza materiale per discutere a lungo: il fanservice svilisce alcuni titoli di qualità? La censura è sempre e comunque una barbarie? Ognuno la pensa come vuole; in questa sede vale solo la pena di ricordare che Mugen Souls è andato incontro alla censura di alcuni elementi secondari che non incidono sul gameplay e, a parere di chi vi scrive, sul tono dell’opera; il risultato finale presenta ancora alcuni aspetti fanservice, che non sono poi una novità per Compile Heart.
Un altro fattore che accomuna i numerosi giochi dello sviluppatore giapponese è lo scarso budget a disposizione, che si traduce puntualmente in comparti tecnici arretrati. Sotto questo punto di vista dobbiamo però riconoscere che i recenti passi in avanti sono stati considerevoli, anche se ciò non significa che sia stato raggiunto lo stato dell’arte. Mugen Souls, in particolare, infastidisce per i tempi di caricamento, che sono ridotti sì dall’installazione opzionale, ma non abbastanza. Da segnalare anche un irritante effetto blur nelle fasi di esplorazione dei field.
Stilisticamente il titolo è affine ai Disgaea, grazie al character design di Takehito Harada e a una colonna sonora che strizza l’occhio ai toni che gli amanti della nota serie di tattici hanno imparato ad ascoltare nel corso delle loro sessioni di gioco. Un’altra feature a cui NIS America ci ha abituati è il dual audio: sarà possibile, dunque, scegliere tra il doppiaggio originale giapponese e quello in Inglese, che è pure di discreta fattura. Ricordiamo che il gioco non è stato tradotto in italiano.
Abbiamo già detto delle grandi doti di Chou-Chou, in grado di schiavizzare chiunque e qualunque cosa le si pari daventi, animata o meno: il gameplay ruota principalmente proprio attorno a questo concetto, tanto che sarà possibile sottomettere non solo i nemici, ma anche i continenti. Per riuscire in questa impresa, la nostra eroina ha sviluppato sette diverse personalità (in aggiunta a quella base, chiamata Ego), che ricalcano e mettono alla berlina altrettanti stereotipi femminili dell’ampia scena shounen.
Per “convertire” i mostri è necessario effettuare una Moe Kill in battaglia, scegliendo tre comportamenti da adottare (ad esempio Smile, Glare, Hit e così via): in base alle voci e alla personalità selezionate – ogni mob ha una propria affinità – si riempirà una delle tre barre, che sono legate a effetti diversi; solo una di esse produce la trasformazione del nemico in shampuru (per motivi un po’ assurdi i mostri diventano buffi coniglietti). Ciò ha diverse ripercussioni, fra cui quella di potenziare l’astronave di Chou-Chou, che dovrà affrontare diverse battaglie spaziali, che si svolgono con delle meccaniche che ricordano la morra cinese. Per quanto concerne i continenti, invece, sarà necessario conquistare un certo numero di Master Point presenti sui field soddisfacendo di volta in volta uno specifico requisito, che può essere l’abbattimento di un certo numero di nemici, il versamento di una somma di denaro e così via. L’esplorazione dunque assume un ruolo tutt’altro che secondario, ma è piagata da una regia virtuale instabile e da altri problemi tecnici, fra cui il già citato blur e un frame rate non certo miracoloso. Alla luce di questi problemi, la semplicità strutturale degli schemi è quasi un gradito difetto, se consentite l’ossimoro. Fortunatamente i mob sono visibili, limitando il senso di frustrazione.
La struttura ludica è piuttosto semplice: dall’astronave di Chou-Chou, che funge da hub e ospita i vari shop, è possibile selezionare il mondo da conquistare e il field da esplorare, alla ricerca dei Master Point e di altri snodi in cui si attivano le cutscene. Nel corso delle nostre peregrinazioni sosterremo un numero elevato di battaglie, che si svolgono secondo un sistema di turni rigido, ma allo stesso tempo rapido e dinamico: rapido perché le animazioni degli attacchi sono skippabili, e dinamico perché nel loro turno i personaggi possono muoversi, seppure entro un raggio di azione limitato, un po’ come succede in Phantom Brave. Il posizionamento ha una grossa importanza, in relazione non solo agli attacchi (anche combinati con compagni nelle vicinanze), ma anche alle proprietà del suolo, conferite da cristalli che ricordano un po’ i Geo Panel di Disgaea. Il gameplay, d’altronde, si arricchisce di un certo numero di meccaniche abbastanza complesse, che forse avrebbero meritato spiegazioni più esaustive. C’è da dire, comunque, che la difficoltà non è così elevata da costringere il giocatore a sfruttare sin da subito tutte le potenzialità del battle system, che potranno dunque essere studiate con calma.
Un discorso analogo può essere sostenuto al riguardo delle opzioni di customizzazione offerte: equipaggiamenti e vestiti – che hanno funzioni diverse, vale la pena di precisarlo – sono solo la punta dell’iceberg di un sistema molto più articolato, dal momento che è possibile potenziare variamente il proprio armamentario ed è anche presente un editor di personaggi, per quanto il cast sia già di suo nutritissimo.
Adesso potete comprendere quanto sia complesso “giocare bene” a Mugen Souls, prendendo tutto ciò che ha da offrire. Ecco, allora, che si torna ad accostare il titolo a Disgaea, quasi che ne fosse una rilettura in chiave JRPG classico: anche nella serie di tattici di NIS esistono decine di sistemi complessi non strettamente necessari per portare a termine l’avventura. A cosa servono, allora? Al post game, ovviamente! La grande sfida offerta questa volta prende il nome di Mugen Field: si tratta, in sostanza, di un’interminabile sequenza di scontri di difficoltà crescente (nessuna esplorazione, forse anche gli sviluppatori si sono resi conto che non era il loro punto forte). In alcuni floor è possibile tirare il fiato e avvalersi di feature altrimenti inaccessibili, come l’acquisto di nuovi job per l’editor, il potenziamento delle skill apprese e l’aumento del cap, da 100 fino ad un massimo di 999.
È chiaro, a questo punto, che la longevità dipende molto dal gradimento delle meccaniche di gioco: sarete invogliati al power playing? Oppure vi limiterete a vedere il primo finale? Oppure archivierete il gioco dopo cinque o sei ore, imprecando contro le telecamere e la complessità del sistema? Se avete già messo mano a un Disgaea a caso conoscete già la risposta, anche se non si può dire che Mugen Souls raggiunga le vette dei migliori episodi della serie di Nippon Ichi Software.
Mugen Souls non è il JRPG epocale che sarà ricordato da tutti, anzi, forse già ora non se lo ricorda nessuno. Rivolgendosi a una nicchia molto ristretta di appassionati, è comunque in grado di supportare il mercato: non è un caso se proprio sul finire della precedente generazione Idea Factory ha aperto la sua succursale occidentale.