Back in Time – Mighty No. 9
Il più riuscito clone di Mega Man?
Kickstarter è una piattaforma piena zeppa di progetti provenienti da ogni parte del globo terracqueo. Nel mare magnum di opere videogiocose finanziate dal popolare sito di crowdfunding, Mighty No. 9 rappresenta quella che più di ogni altra ha vissuto una gestazione particolarmente travagliata. Il sogno proibito di tutti gli appassionati di Inafune e di Rockman è divenuto tuttavia concreto e tangibile: dopo l’abbandono di Mega Man da parte di Capcom, quel magico gameplay in grado, sino ad ora, di elevare ogni creazione dedicata al celestino robottino torna a popolare le scene videogiocose sotto le mentite spoglie di una nuova opera, palesemente ispirata ad esso.
A cinque anni dall’uscita del gioco, e un netto ridimensionamento del fenomeno Kickstarter, torniamo sulla controversa opera di Inafune.
Diciamolo subito, tutte le difficoltà relative allo sviluppo del gioco si avvertono prepotenti in ogni anfratto binario che lo caratterizza. Inizialmente e soltanto apparentemente contraddistinto da un’azione flemmatica e completamente antitetica rispetto ai ritmi contemplabili in uno qualsiasi degli action game attuali, Mighty No. 9 e conseguentemente Beck, il suo protagonista, basano la propria “frenesia alternativa” su un canovaccio ludico pesantemente fondato sul dash, praticamente sfruttabile all’infinito, che risulta cruciale per almeno due motivazioni nell’ambito dell’economia dell’opera. Innanzitutto, la capacità di spammare questa mossa quasi a piacimento consente all’emulo di Mega Man di superare ostacoli altrimenti impossibili da sormontare, considerando la scarsa efficacia dei propri salti base, nonché di coprire ampie sezioni di livello col minimo sforzo e con la massima rapidità possibile, ricevendo punti bonus in funzione della rapidità e dell’efficacia dimostrata sul campo.
In secondo luogo, il dash è una manovra essenziale per assorbire lo Xel dei nemici: dopo essere stata colpita per un certo numero di attacchi, ogni creatura avversa paleserà la propria, pixellosa anima, fornendo a Beck la golosa opportunità di sprintare e suggere ogni suo singolo soul voxel, in modo da guadagnare potenziamenti utili ad innalzare temporaneamente i propri parametri vitali e ad incrementare lo score. Proprio in funzione dei punti, è assolutamente fondamentale assorbire lo Xel negli istanti immediatamente seguenti alla sua manifestazione, in quanto indugiare significa automaticamente perdere la possibilità di racimolare punticini, considerando che un’esecuzione perfetta della manovra incrementa un apposito counter deputato a far schizzare alle stelle il final score.
L’aspetto più intrigante per gli hardcore gamer è la rincorsa alla partita perfetta, e Mighty No. 9 ricompensa l’homo ludens consentendogli di guadagnare premi extra in funzione delle capacità dimostrate, joypad alla mano.
Tutto molto bello, se non fosse che il level design sia di livello altalenante, mediamente pessimo e decisamente lontano da quei meravigliosi affreschi giocosi acquerellati dallo stesso Inafune negli anni in cui militava in Capcom. La dozzina di stage lungo i quali si srotola la matassa ludica di Mighty No. 9 non rende giustizia alle buone idee “evoluzionistiche” incluse nel pacchetto base del gioco, mortificando ogni aspetto positivo del suo gameplay. Ed è un peccato, perché di contenuti il gioco ne offre a iosa, sfide aggiuntive e multiplayer competitivo compresi. Una nota di merito particolare va alle boss battle, contraddistinte dalla presenza di feccia nemica normalmente dotata di pattern d’attacco interessanti e variegati, ai quali dover rispondere sfoderando le varie trasformazioni ottenute nel corso dell’avventura.
Estremamente deludente, invece, il comparto grafico della produzione Comcept, caratterizzato dal maldestro utilizzo di Unreal Engine, che fatica a tenere il passo con le produzioni odierne e impallidisce se paragonato alle acquarellate orge bidimensionali dei prodotti cui si ispira. A dir la verità, anche il character design non eccelle, soprattutto in termini di originalità. Pure il doppiaggio non impressiona e anzi, i dialoghi interrompono forse troppo frequentemente l’azione di gioco.
La prima produzione “indipendente” di un certo calibro targata Inafune, in definitiva, non riesce ad emergere dal resto degli action platform similari, scomparendo addirittura se accostato a uno qualsiasi dei passati Rockman. Non tutto è da scartare in Mighty No. 9, certo, ma le premesse erano ben altre e la delusione, sebbene non si possa arrivare a parlare di fallimento, resta comunque cocente.