Back in Time: La storia di Crash Bandicoot

In vista della prossima uscita di Crash Bandicoot N.Sane Trilogy, prevista il 30 giugno 2017, abbiamo deciso di raccontarvi le avventure, le sfide e le curiosità che hanno caratterizzato l’ideazione dell’iconico marsupiale australiano a opera di Jason Rubin e Andy Gavin. Una storia che inizia negli anni Ottanta fino ad arrivare al 1996, anno di uscita del primo Crash Bandicoot su PlayStation.

Crash Bandicoot

Dalla scuola media alla Naughty Dog

Rubin e Gavin si conoscono durante un campo estivo organizzato dall’Hebrew School in Virginia. È il 1982, e i due adolescenti stringono amicizia grazie a una grande passione che li accomuna: i videogiochi. Durante quei giorni caldi, Rubin e Gavin decidono di unirsi in un team di sviluppo di loro proprietà per creare videogiochi, con il semplice obiettivo di averne in gran quantità e soprattutto gratis.

E così nel 1984, ancora adolescenti, i due fondano a Santa Monica (California) la JAM Software, con la quale realizzano il titolo sportivo Ski Crazed per Apple II (prima curiosità: questo gioco dà il nome al 26° livello presente in Crash Bandicoot 3: Warped), il didattico Math Jam e un adventure game chiamato Dream Zone.

Crash Bandicoot

Successivamente, nel 1989, la JAM Software cambia nome in Naughty Dog, che in italiano vuol dire “Cane Dispettoso”. Tra i titoli più importanti creati dalla giovanissima azienda americana vi è Rings of Power, un GdR isometrico ispirato a Ultima II dell’astronauta Richard Garriots, ma reso più vasto e avvincente. Gavin è infatti entusiasta per l’inserimento di sette maghi che hanno a disposizione miriadi di incantesimi, tra cui controllare dei tornado o cavalcare i dinosauri. Il titolo viene rilasciato su Sega Genesis nel 1991, e vende 60 mila copie. Una cifra buona per l’epoca e per il budget a disposizione, ma non abbastanza per i due giovani ambiziosi di Naughty Dog. La Universal Studios intravede il loro potenziale e li assume con l’obiettivo di creare un nuovo platform.

“Sonic’s Ass”

Durante un viaggio in auto, una Honda Accord argentata, Rubin e Gavin pensano al progetto che gli è stato commissionato. Il mondo videoludico è costellato da grandi icone: Sonic, Super Mario, Donkey Kong. Personaggi illustri, ma sinora visti solamente in 2D. Naughty Dog vuole andare oltre e far vedere il proprio protagonista di spalle grazie a una grafica in 3D. Da qui l’idea di chiamare il progetto Sonic’s Ass, in riferimento alla prospettiva che avrebbe mostrato il didietro del protagonista. Altra certezza su cui sono concordi è quello di ambientare il titolo in una giungla: un mondo ricco di vita, rigoglioso, tale da poter sentire il profumo della flora esotica. Ma chi sarebbe stato il simpatico protagonista che avrebbe operato al suo interno?

Ispirati dai cartoni dei Looney Tunes delle loro giovinezza, Rubin e Gavin ingaggiano due esperti animatori che hanno lavorato per Hanna & Barbera (Tom & Jerry, i Flintstones, i Jefferson, Scooby Doo) e per la serie di cartoni Disney Duck Tales, così da avere delle bozze del protagonista per il progetto Sonic’s Ass. All’inizio pensano di voler mettere un Wombat di nome Willy, ma l’idea non convince il team. Tuttavia, come accade nelle migliori storie, il punto di svolta avviene per puro caso: Rubin si ritrova a sfogliare una guida turistica sul Pacifico del Sud e si imbatte in un altro marsupiale, il bandicoot. È amore a prima vista. Immediatamente organizza una riunione con gli animatori, affermando di volere un bandicoot per protagonista e che deve essere dotato di un gran carattere. “Quando la gente pensa a quella parola [bandicoot NdR], vogliamo che la prima cosa che salti in mente sia il nostro personaggio, non il vero animale”, afferma Rubin alla riunione, seguito da Gavin che aggiunge “Pensiamo a lui come un essere buono di cuore, coraggioso, ma anche testardo e sfrontato”.

E per quanto riguarda l’antagonista? Anche questa volta il caso ha voluto dare una mano: nel settembre del 1994, Rubin e Gavin sono a pranzo al Café Del Sol, vicino gli uffici della Universal, e discutono sul cattivo da opporre a Crash. Nessuna idea sembra interessante, quando all’improvviso Gavin riceve la porzione di ravioli all’aragosta che ha ordinato ed esclama con voce da pazzoide: “Sono il Dr. Cortex, Dr. Neo Cortex!”. Non si capisce bene né il come né il perché abbia detto una cosa del genere, ma Rubin ne rimane estasiato.

Crash Bandicoot
Uno sketch del Dr. Neo Cortex

War Games

Prima di proseguire con la produzione di Crash Bandicoot, occorre inquadrare il contesto. Gli anni Ottanta sono stati dominati da Nintendo, che nel 1984 rilascia il Nintendo Entertainment System (NES) con i capolavori di Shigeru Miyamoto (Donkey Kong, Super Mario, The Legend of Zelda). Un successo che tende a crescere con l’uscita di Super Nintendo (SNES) agli inizi degli anni Novanta. Accanto al colosso di Kyoto c’è SEGA, che nel 1991 guadagna terreno con l’uscita di Sonic: The Hedgegog. Ma all’interno di questo duopolio si faccia Sony: dopo la rottura con Nintendo, l’azienda di Tokyo decide di entrare nel mercato videoludico attraverso PlayStation, che avrebbe supportato i CD-Rom al posto delle classiche cartucce.

Ultima ma non ultima, in questo panorama c’è anche la 3DO Interactive Multiplayer sviluppata da The 3DO Company: una console dotata di specifiche tecniche superiori alla media, ma caratterizzata da un prezzo proibitivo di 699,95$. Per primeggiare tra tutti questi avversari, Sony punta tutto marketing, mostrando il videogioco non come un’esperienza prettamente da nerd, ma anzi come qualcosa alla moda e avvincente per tutti. Questa visione viene espressa in occasione della prima edizione dell’E3 nel 1995: Sony spende 4 milioni di dollari per il booth, che includono l’apparizione di Michael Jackson, la pop star più in voga del momento. Tra i titoli presentati, il picchiaduro Tekken e il racing game WipEout, che dimostrano come Giappone e Europa possano dire la loro per Sony. Tuttavia manca ancora un prodotto americano.

Crash Bandicoot

È quello a cui punta la Naughty Dog: creare un gioco che possa essere adatto per il nuovo pubblico di Sony. La scelta di realizzare Crash Bandicoot per PlayStation spiega alcuni dettagli stilistici che caratterizzano il suo eccentrico eroe. Il fatto che egli sia di colore arancione, e dunque molto lontano dalla realtà, deriva dalla necessità di non far mimetizzare il corpo di Crash con la vegetazione, che presenta il marrone come colore predominante. Quanto ai guanti a mezze-dita scuri, vengono utilizzati per evidenziare la sensazione di movimento delle mani di Crash.

In generale Rubin e Gavin mirano a prendere tutti i punti forti dei loro concorrenti: il legno e le scatole rimandano a Donkey Kong, il look sportivo di Crash richiama Sonic, ma il suo carattere da bonaccione ricorda Mario. Il tutto amalgamato con lo stile Naughty Dog. Rubin e Gavin mettono meticolosità e dedizione in ogni dettaglio: per la musica, ad esempio, si sono affidati a Mark Mothersbaugh, front-man dei DEVO, band new wave americana molto popolare a partire dagli anni Settanta fino ai Novanta (per capire meglio l’influenza di Mothersbaugh in Crash Bandicoot vi consigliamo di ascoltare il brano Working on Coal Mine dei DEVO).

Crash Bandicoot

La nascita di un’icona

Nonostante gli sforzi messi, Crash Bandicoot non convince Ken Kutaragi, direttore esecutivo di Sony. Uomo intransigente e di poche parole, egli pensa che il prodotto della Naughty Dog sia rivolto a un pubblico esclusivamente giovanile, quando invece PlayStation vuole essere una console per tutti. Inoltre appare poco appetibile per gli utenti giapponesi. La situazione di limbo viene risolta grazie all’insistenza di Sony USA che, al contrario, vede in Crash Bandicoot un titolo accattivante e perfetto per il pubblico di PlayStation. Alla fine Kutaragi si convince, pensando che, nonostante Crash sia adatto a un pubblico giovane, almeno avrebbe tolto fan a Mario.

E così, il 31 agosto 1996 Crash Bandicoot debutta negli Stati Uniti, mentre a novembre in Europa. Le tv americane vengono travolte dallo spot aggressivo ma simpatico di Crash Bandicoot: un ragazzo con indosso un costume del marsupiale si dirige verso gli uffici Nintendo a Redmond, Washington, e con un megafono minaccia il popolare idraulico italiano, facendo sfoggio della sua natura in 3D.

Attraverso questo spot, PlayStation manda un chiaro messaggio a Nintendo, che è impegnata nel lancio del nuovo Nintendo 64. Quest’ultima ottiene comunque un buon successo, nonostante l’uso delle cartucce, ma PlayStation ricava comunque una grossa fetta del mercato videoludico, entrando a gamba tesa in un campo costellato da avversari. La console di Sony vende parecchio: addirittura, in occasione dell’evento di presentazione di una futura icona videoludica, Spyro the Dragon, il CEO di Sony Kaz Hirai afferma che ogni otto secondi una PlayStation viene venduta. Negli Stati Uniti la nota catena Mc Donald’s lancia il menù happy meal con i personaggi di Crash Bandicoot come sorpresa.

In poche parole, Rubin e Gavin sono riusciti nel loro intento, creando una vera e propria icona. Il loro gioco fattura tantissimo e piace alla gente, a tal punto che in seguito verranno realizzati altri tre capitoli di Crash, arrivando sino al racing game Crash Team Racing (1999), per un totale di 40 milioni di copie vendute in tutto il mondo.

Crash Bandicoot

Nonostante il grande successo, il peso del lavoro e i problemi di salute spingono Rubin e Gavin a vendere la Naughty Dog a Sony nel 2001. Ma il merito di questi due giovani sognatori è indubbio: grazie al loro talento e alla loro passione soprattutto, sono riusciti a creare un simbolo che è rimasto nel cuore di milioni di bambini e ragazzi, e che oggi, a distanza di più di dieci anni, attendono trepidanti la remaster Crash Bandicoot N. Sane Trilogy per fare un bellissimo tuffo nel passato con l’eroe della propria infanzia.


Le principali fonti di questo articolo sono:
H. Goldberg, All Your Base Belongs to Us. How Fifty Years of Videogames Conquered Pop Culture, Three Rivers Press, New York, 2011.
R. Semprebene – D. E. Viganò, Videogame. Una piccola introduzione, LUISS Press, Roma, 2016.
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