Back in Time – Guitar Hero
Questa settimana Back in Time torna indietro di tredici anni, quando scoppiò la mania delle chitarre di plastica grazie a Guitar Hero, che debuttò su PlayStation 2 nel novembre del 2005 (ma giunse in Europa cinque mesi dopo).
La nuova periferica (che poi così nuova non era, giacché anche Guitar Freaks sfruttava un controller simile, ma la serie era ancora inedita in Occidente) era una riproduzione in scala (75% delle dimensioni reali) di una Gibson SG. Lo “strumento”, dotato anche dell’immancabile tracolla (si consiglia vivamente di suonare in piedi; da quand’è che un vero rocker suona seduto? N.d.R.), si compone di un manico marrone dotato di cinque tasti colorati, corpo nero e battipenna bianco. In mezzo al battipenna si trova una barra che simula il plettro e poco più in basso abbiamo la barra del tremolo (che ricorda più una Fender che una Gibson, in realtà).
La modalità principale di Guitar Hero è la Carriera. Dopo aver scelto un nome per il proprio gruppo e il livello di difficoltà, il giocatore può selezionare il suo alter ego fra sei Guitar Hero piuttosto stereotipati (punk, metallaro, rocker anni Settanta..) però carismatici e piuttosto simpatici nella loro natura caricaturale e una chitarra fra Les Paul, SG e Flying-V (solo Gibson); è comunque possibile modificare le proprie scelte in seguito. La Carriera è suddivisa in sei stage (dallo scantinato del vostro amico fino allo stadio da festival), di cui l’ultimo non è disponibile alla difficoltà Facile, ciascuno dei quali è composto da cinque canzoni da portare a termine per passare al successivo.
Alla fine di ogni canzone viene assegnato un giudizio in base al punteggio, dalle tre alle cinque stelle. Nei livelli di difficoltà superiori al primo, il punteggio determinerà il compenso in denaro, spendibile nell’Emporio per acquistare brani extra (di gruppi sconosciuti, ma alcuni veramente gradevoli), personaggi, chitarre (ricordiamolo: solo Gibson e Kramer, marchio di proprietà della Gibson) e skin per le chitarre.
Vediamo ora come funziona il gameplay, anche se forse nel 2018 lo sanno già tutti. Le note da suonare compaiono “a cascata” (cioè lungo una striscia che si svolge progressivamente) sullo schermo sotto forma di palline del colore del tasto da premere. Contemporaneamente bisogna plettrare, proprio nel momento in cui la nota entra in uno dei cinque cerchietti (i tasti, lo ricordiamo, sono cinque) alla base dello schermo.
Ogni nota semplice (esistono anche quelle lunghe da suonare tenendo premuto il tasto) vale cinquanta punti, però Harmonix ha inserito un moltiplicatore di punteggio per rendere le cose più interessanti: ogni dieci note suonate senza errori si attiva il moltiplicatore, fino a 4x; a ogni sbaglio il moltiplicatore si annulla. Ma punteggio e moltiplicatore non sono gli unici contatori da tenere d’occhio, dal momento che c’è anche una barra di gradimento del pubblico suddivisa in tre parti (verde, giallo, rosso): troppi errori portano l’indicatore al minimo e al fallimento del concerto. Un ulteriore elemento è costituito dallo Star Power, power-up caricabile eseguendo senza errori alcune sezioni del brano (caratterizzate da note luminescenti), che può essere attivato mettendo la chitarra in verticale o premendo il tasto Select. I vantaggi dello Star Power sono due: raddoppia il moltiplicatore e fa scendere l’indice di gradimento molto più lentamente, risultando una risorsa preziosa da utilizzare con un pizzico di strategia per sopravvivere agli assoli più difficili.
Il gioco dispone di un tutorial – abbastanza scarno, a dire il vero – che insegna queste cose, oltre a un paio di tecniche avanzate, come l’Hammer On (non sempre di facilissima esecuzione) che permette di suonare alcune note contrassegnate premendo solo il tasto senza plettrare. Ciò che manca, invece, è una modalità di allenamento in cui imparare le canzoni.
Guitar Hero dispone di quattro livelli di difficoltà: Facile, Medio, Difficile ed Esperto. In Facile il gioco è accessibile a tutti, con “spartiti” di poche note che scorrono lentamente e che richiedono l’utilizzo di solo tre tasti. I livelli successivi aggiungono note (in Esperto ogni nota del brano corrisponde a una nota della “tablatura”) e tasti (in Medio quattro, dal Difficile cinque) e viene incrementata la velocità della “cascata di note”. La curva di apprendimento è quasi perfetta: dopo aver terminato il gioco a un certo livello di difficoltà, si è praticamente pronti per quello successivo. Forse il passaggio da Medio a Difficile è il più “traumatico” dal momento che si passa da quattro a cinque tasti, ma non è nulla di terribile e non è obbligatorio arrivare a giocare in Esperto (anche se a mio avviso il vero Guitar Hero è quello, N.d.R.).
In un gioco come Guitar Hero, la scelta dei brani è fondamentale, ovviamente. La tracklist si compone di 30 canzoni famose, cui si aggiungono altri 17 brani di artisti meno noti (fra cui spiccano i Black Label Society) e altri due (sempre di artisti sconosciuti) sbloccabili con sistemi come l’Action Replay. L’assortimento è interessante, presentando illustri esponenti di diversi generi musicali: troviamo classici senza tempo del rock e dell’hard rock (David Bowie, Jimi Hendrix, Deep Purple e Queen), punk (Ramones e Bad Religion), un’ottima rappresentanza del metal (Ozzy Osbourne, Judas Priest, Megadeth e Pantera) e altre cosette interessanti, come ad esempio il bluesman Stevie Ray Vaughan. Purtroppo, però, si tratta di cover, seppur dalla qualità mediamente alta: trascurando un paio di cover poco riuscite (quella dei Franz Ferdinand su tutte), le parti strumentali sono ottime, non facilmente distinguibili dalle originali (tranne nel caso in cui ci siano piccole aggiunte, come ad esempio in Ziggy Stardust), mentre le voci sono sì buone (con le dovute eccezioni), però è evidente che Cowboys From Hell cantata da uno sconosciuto non ha la stessa forza della versione originale cantata da Phil Anselmo. In generale, comunque, si può dire che le parti più importanti sono quelle di chitarra, che sono realizzate molto bene. Ecco la lista, con le canzoni nell’ordine in cui le troverete:
- “I Love Rock N’ Roll” – Joan Jett & The Blackhearts
- “I Wanna Be Sedated” – Ramones
- “Thunder Kiss ’65” – White Zombie
- “Smoke on the Water” – Deep Purple
- “Infected” – Bad Religion
- “Iron Man” – Black Sabbath
- “More Than a Feeling” – Boston
- “You’ve Got Another Thing Comin'” – Judas Priest
- “Take Me Out” – Franz Ferdinand
- “Sharp Dressed Man” – ZZ Top
- “Killer Queen” – Queen
- “Hey You” – The Exies
- “Stellar” – Incubus
- “Heart Full of Black” – Burning Brides
- “Symphony of Destruction” – Megadeth
- “Ziggy Stardust” – David Bowie
- “Fat Lip” – Sum 41
- “Cochise” – Audioslave
- “Take It Off” – The Donnas
- “Unsung” – Helmet
- “Spanish Castle Magic” – Jimi Hendrix
- “Higher Ground” – Red Hot Chili Peppers
- “No One Knows” – Queens of the Stone Age
- “Ace of Spades” – Motörhead
- “Crossroads” – Cream
- “Godzilla” – Blue Öyster Cult
- “Texas Flood” – Stevie Ray Vaughan
- “Frankenstein” – The Edgar Winter Group
- “Cowboys from Hell” – Pantera
- “Bark at the Moon” – Ozzy Osbourne
Ultimo aspetto giocoso da analizzare è il multiplayer per due giocatori in split-screen, piuttosto limitato. I due sfidanti devono scegliere la stessa difficoltà e suonano il brano alternandosi: alcune parti sono eseguite solo dal primo giocatore, altre solo dal secondo, altre da entrambi. Sarebbe stata preferibile la possibilità di scegliere se sfidarsi con questo metodo oppure suonando la canzone integralmente. Con gli episodi successivi, il successo del brand è stato decretato anche dal notevolissimo incremento delle opzioni multigiocatore.
Prima di concludere, qualche considerazione sul comparto tecnico, sicuramente il parametro meno importante nella valutazione di un gioco del genere, specialmente a tredici anni dall’uscita. La grafica non eccelle: i modelli poligonali non sono dettagliatissimi, le animazioni sono a tratti legnose, le chitarre sono ben fatte ma non hanno neanche la tracolla; in compenso è molto colorata e si distingue per uno stile rock auto ironico molto adeguato. In poche parole: svolge il suo lavoro. C’è anche da dire che durante la partita gli occhi sono incollati quasi costantemente alla cascata di note, quindi capiterà di rado di osservare i dettagli.
Per chi scrive, Guitar Hero ha rappresentato un’autentica ossessione. Per tutti gli altri si è trattato dell’inizio di un fenomeno di costume, che una decina di anni fa portò milioni di persone a riempire le proprie stanze di strumenti plasticosi. Un pezzo di storia recente del videogioco.