Back in Time – God of War: Ghost of Sparta
Ci siamo: ieri è uscito God of War, mettendo fine a un digiuno durato più di cinque anni. Oggi si chiude il nostro ciclo dedicato alle avventure di Kratos con la disamina di God of War: Ghost of Sparta, secondo e ultimo episodio sulla handheld Sony, peraltro in seguito rimasterizzato su PlayStation 3.
Sulla scia del successo di Chains of Olympus, Sony affidò anche lo sviluppo di God of War: Ghost of Sparta a Ready at Dawn. Si trattò della sesta (quinta se si esclude Betrayal, gioco 2D per cellulari) avventura del Fantasma di Sparta nei suoi primi sei anni di vita. Questo ritmo serrato portò alla saturazione del brand, con la conseguente decisione di rallentare la produzione, tanto che dal 2013 a ieri non è uscito un solo episodio.
Questo capitolo è uno spin-off rispetto alla trilogia regolare, dal momento che non influenza gli eventi da essa narrati, focalizzandosi unicamente sul protagonista e svelandoci interessanti retroscena sul suo passato e sulla sua famiglia. Kratos è sempre stato un eroe sì carismatico, ma anche monocorde, caratterizzato perlopiù dalla vendetta e dall’ira; questa parentesi “intimista” lo rende più completo e amplia il background del protagonista n modo tutto sommato interessante.
Cronologicamente, l’avventura si colloca fra God of War (con tanto di autocitazionismo nella scena iniziale) e God of War II, ma gli avvenimenti del passato di Kratos sono raccontati utilizzando dei flashback, a volte anche interattivi. Non indugiamo oltre per non svelare nulla, però possiamo dire che la vicenda risulta un buon pretesto per andare avanti, ma avrebbe potuto essere meno frettolosa sul finale, che arriva un po’ troppo velocemente e anche un po’ inaspettato.
Se, dunque, Kratos si sente un po’ “a casa”, anche il giocatore lo è, perchè God of War: Ghost of Sparta non si fa mancare nulla: abbiamo la grafica muscolosissima, il sonoro maestoso, il battle system button mashing e la durata esigua, caratteristiche di quasi tutti i suoi predecessori.
Il primo impatto è di quelli giusti, grazie al comparto tecnico – quasi miracoloso tenendo conto dell’hardware – e alla regia virtuale che non lesina su inquadrature spettacolari. E di spettacolo ce n’è in quantità, violento e brutale, come da tradizione. Sulla grafica c’è poco da dire, se non che è praticamente perfetta, se non fosse per qualche ambientazione ripetitiva o poco stimolante. Ready at Dawn aveva dimostrato di essere tecnologicamente all’avanguardia sin dai tempi di Daxter, il cui motore sta alla base anche dei God of War portatili, i quali però sono andati a limare le piccole imperfezioni per ottenere un risultato di assoluta eccellenza. Il sonoro non è da meno, e d’altronde non lo è mai stato: giocate con le cuffie e non ve ne pentirete.
Anche il gameplay è granitico, volto a valorizzare la spettacolarità veicolata dalla grafica, tanto da sembrare quasi uno strumento ancillare rispetto ad essa: Quick Time Event, magie, esplorazione… tutto è finalizzato al provocare stupore agli occhi del giocatore. In quest’ottica poco importa se il battle system è rimasto quello di un tempo, con i soliti problemi; più che problemi, anzi, verrebbe da dire che sono scelte programmatiche che Sony non ha voluto mutare se non dopo Acension. Indubbiamente God of War: Ghost of Sparta offre un’esperienza immediata e fruibile per giocatori occasionali, al prezzo di un battle system relativamente “involuto”.
Il problema è che a tratti i combattimenti risultano ripetitivi e le mosse (specialmente i QTE), per quanto coreografiche, dopo quattro o cinque ore cominciano a stancare. Fortunatamente intervengono esplorazione ed enigmi blandi a spezzare la monotonia delle battaglie, ma la sensazione è che con qualche novità si sarebbe potuto ottenere un risultato complessivamente migliore.
Visto che abbiamo sfiorato l’argomento, parliamone: cosa c’è di nuovo in God of War: Ghost of Sparta? Poco, purtroppo. Innanzitutto, è stato ripensato in alcuni elementi non essenziali il sistema di controllo di Chains of Olympus: laddove quest’ultimo richiedeva la pressione congiunta di R e di uno dei tasti frontali per eseguire le magie, in Ghost of Sparta è sufficiente premere Su, Dx o Sx sulla croce direzionale. Semplice ed efficace, questo sistema non comporta complicazioni per lo switch dell’arma (sono solo due, comunque), imputato alla direzione Giù. Il tasto R è utilizzato per la Piaga di Thera, l’unica innovazione degna di nota: si tratta di una magia che conferisce alle Lame di Atena il potere del fuoco, utile a distruggere i nemici corazzati e alcune parti dello scenario. Alle solite due barre dell’energia e della magia, quindi, se ne aggiunge una terza, come in God of War III, solo che non si trattta della barra degli oggetti, ma di quella della Piaga di Thera.
Un’altra novità, sicuramente di minor impatto, è il placcaggio, che ha il nome altisonante di Carica di Iperione, non proprio indispensabile dal momento che il gioco non incoraggia mai tattiche particolarmente elaborate, se non forse al massimo livello di dificoltà. A livello standard, invece, l’avventura scorre liscia per concludersi in sette ore appena (pur sempre qualcosa in più rispetto a Chains of Olympus…). La dotazione di extra, per fortuna, è abbastanza soddisfacente: ci sono le classiche Sfide degli Dei (tredici) e altro da sbloccare con grosso dispendio di sfere rosse al Tempio di Zeus, tra cui gallerie e filmati extra. Inoltre, ricominciando il gioco, possono essere utilizzati alcuni collectible raccolti nella partita precedente che conferiscono speciali poteri.
God of War: Ghost of Sparta fu uno degli ultimi grandi blockbuster su PSP, nonché il penultimo episodio di God of War prima del remaigining di quest’anno. In un certo senso, sapeva di canto del cigno sia per la sua console di elezione, sia per la sua natura fortemente derivativa: sia pure trionfalmente, Kratos (quel Kratos) si apprestava a chiudere un glorioso ciclo, caratterizzato da un gameplay sempre molto fedele a se stesso.