Back in Time – Fairy Fencer F
Il debutto di Galapagos RPG.
Nel 2013 Compile Heart inaugurò un nuovo brand, Galapagos RPG, caratterizzato dalla collaborazione di Amano e di Uematsu, nonché da un piglio diverso rispetto alla maggioranza delle altre opere dello sviluppatore giapponese, come Hyperdimension Neptunia e Mugen Souls. Il primo esponente di questa linea fu Fairy Fencer F, che debuttò in Occidente in questi giorni di settembre, otto anni fa.
Vediamo in cosa si distingue rispetto alle serie citate sopra. E vediamo in cosa si sostanzia la collaborazione con i due mostri sacri del passato di Final Fantasy.
Il titolo si riferisce alle tre parole chiave attorno a cui ruotano trama e gameplay. Cominciamo dal Fencer: egli è un guerriero in grado di brandire la Fury, una speciale arma in cui è incorporata una Fairy. Tramite queste creature magiche è possibile risvegliare le due divinità sigillate in un’epoca ancestrale. Ovviamente una è benevola, mentre l’altra è malvagia…
A Fang, il protagonista, inizialmente non interessa nulla di tutto ciò. Il suo unico pensiero è mangiare e vivere pigramente. Un giorno, passeggiando, si imbatte in una spada conficcata nel terreno. Un passante lo informa della leggenda secondo la quale chi sarà in grado di estrarre l’arma vedrà un suo desiderio esaudito, sicché egli decide di fare un tentativo: mal che vada non succede niente, mentre in caso di successo potrà avere tutto il cibo che vuole! Estratta la Fury, compare Eryn e, in seguito ad alcune peripezie, Fang le promette di aiutarla a recuperare la memoria raccogliendo le altre armi. Ben presto i due si imbattono nella bella Tiara e poi in molti altri personaggi.
La trama di Fairy Fencer F si discosta da quelle di prodotti come Hyperdimension Neptunia e Mugen Souls, essendo caratterizzata da momenti altamente drammatici. Anche il fanservice, seppur presente, è stato ridimensionato. Ciò, peraltro, non significa che Fairy Fencer F vada accostato a serie come Final Fantasy, perché il piglio è più leggero grazie a numerosi elementi di comic relief, come le scene opzionali, che possono ricordare le skit di Tales, anche se solitamente sono meno articolate. Anche i dialoghi tendenzialmente sono spiritosi, con i continui battibecchi tra Fang, Tiara ed Eryn e gli interventi di altri personaggi più spiccatamente umoristici, come l’improbabile Pippin e l’ingenuo Galdo, accudito dalla propria Fairy come un mammone.
Il comparto narrativo e la caratterizzazione dei personaggi sono nel complesso discreti. Il primo fa il suo dovere senza brillare: pesca a destra e a manca dai topoi del genere e li mescola secondo una ricetta collaudata. Difficile restare di stucco davanti a una qualche trovata. Meglio i personaggi, che, grazie anche a una certa verbosità, riescono ad avere una personalità abbastanza marcata, e pure in evoluzione. Ciò vale soprattutto per Fang, Eryn e Tiara, ma anche gli altri membri del party possono contare su uno screen time soddisfacente.
Se Fairy Fencer F si discosta dalla produzione recente di Compile Heart per i toni non demenziali/parodistici, purtroppo non riesce a fare altrettanto per il comparto tecnico, che resta smaccatamente low budget. Ciò impatta negativamente sul coinvolgimento, perché vanifica in parte l’impostazione più seria: attraverso la consueta narrazione per artwork, infatti, le scene più concitate e quelle più drammatiche perdono pathos e stentano a lasciare il segno. Nei momenti in cui da un Final Fantasy vecchio stile vi aspettereste un filmato, in Fairy Fencer F vedrete due linee incrociate (simboleggianti due lame che si scontrano) solcare lo schermo. A ciò si deve aggiungere il solito disagio del frame rate instabile nelle fasi esplorative, che piagava in modo terribile Mugen Souls; fortunatamente il problema è stato ridimensionato, e, grazie anche all’assenza delle tonnellate di blur che “appannavano” l’avventura di Chou-Chou, aggirarsi per i dungeon è decisamente più agevole.
Sul versante artistico, Galapagos RPG si fregia della collaborazione di Amano e di Uematsu, ma il contributo effettivo di queste grandi personalità è limitato. Il primo ha realizzato solo il logo e alcuni artwork, senza occuparsi del character design, in mano alla solita Tsunako, che collabora stabilmente con Compile Heart dai tempi di Cross Edge. I fan di Hyperdimension Neptunia si sentiranno subito a casa, mentre gli amanti dell’artista di Shizuoka resteranno delusi, anche se c’era da aspettarselo, se si pone mente al fatto che l’unica opera videoludica a recare il character design di Amano in questo secolo è Terra Battle.
Ciò che invece lascia maggiormente contrariati è il contributo di Nobuo Uematsu alla colonna sonora. Il Maestro ha firmato giusto un paio di pezzi per Fairy Fencer F, mentre gli altri sono farina del sacco di altri sei compositori, principalmente di Kenji Kaneko, anch’egli (come Tsunako) a stretto contatto con Compile Heart. Non che l’OST faccia ribrezzo, anzi, è una delle migliori nell’ambito dei titoli della software house, però chi si aspettava un’opera di Uematsu può passare oltre.
Per completare il discorso sul sonoro, spendiamo due parole sul doppiaggio. Come è ormai tradizione consolidata per NIS America, i personaggi parlano in Inglese e in Giapponese, opzione senz’altro preferibile, non solo perché si tratta del doppiaggio principale, ma anche perché il lavoro anglofono non spicca per qualità.
Se già il lato artistico di Fairy Fencer F è facilmente riconducibile al suo sviluppatore, quello ludico lo è ancor di più. Chi scrive ha avuto l’impressione di trovarsi fra le mani un Mugen Souls, solo meno strampalato. Abbiamo ancora una volta un JRPG classico a turni, caratterizzato da dungeon di proporzioni ridotte e con mob visibili; l’unica differenza è che l’hub non è esplorabile, ma strutturato a menu, come in Etrian Odyssey (ma potremmo citare altre mille saghe). Ancora una volta le fasi esplorative si rivelano il punto debole, a causa di un dungeon design povero e dei problemi tecnici di cui abbiamo già parlato, specialmente il frame rate, ma va detto che rispetto a Mugen Souls siamo su un altro pianeta: la fluidità è “meno peggio”, non c’è il terribile blur e la telecamera (regolabile) è meno bizzosa.
Il battle system fonde turni, scanditi dall’ormai consueta barra verticale a lato dello schermo, ed elementi posizionali, lasciando ai personaggi libertà di muoversi e di colpire uno o più nemici nel proprio raggio d’azione. I combattimenti si basano principalmente sugli attacchi fisici, e in particolare sulle combo, personalizzabili a piacimento con le mosse apprese, e sugli Avalanche Attack, che sono speciali super-combo che coinvolgono più personaggi. Ciò non significa che manchino altre opzioni, fra skill e magie, ma solo che si rivelano meno utili che in altri giochi, eccezion fatta per gli incantesimi curativi.
Ciascuno dei tre combattenti (liberamente switchabili nel corso della pugna) dispone di una Fury Form: si tratta di una fusione tra Fairy e Fencer, attivabile quando la barra della tensione diventa verde. La Fury Form incrementa attacco e difesa fisici, ponendo ancor più l’accento sulle combo. Ciò può fare pensare ad una certa ripetitività degli scontri, problema effettivamente esistente, ma ridimensionato dall’assenza di incontri casuali e dalla rapidità dell’azione garantita dall’animation skip attivabile con L2.
Un’ultima nota sui combattimenti riguarda le boss battle. Chi scrive ha trovato seccante che esse fossero spesso interrotte da un certo numero di ciarle e poi ricominciate daccapo. Fastidioso anche il fatto che, nonostante un party di sei membri, diversi momenti della trama costringano il giocatore a controllare solo Fang, il quale non dispone di abilità curative.
Le altre meccaniche del gameplay sono numerose ma non raggiungono i livelli di astrusità visti in altre opere di Compile Heart, grazie anche a tutorial finalmente realizzati con una certa cura. Il sistema di crescita dei personaggi è ancorato al Level Up e allo Weapon Boost, che consente di spendere gli WP guadagnati in battaglia per boostare le statistiche e apprendere mosse e abilità di vario tipo. A completare il quadro si aggiunge un marginale sistema di Challenges, che garantisce piccoli stat boost in conseguenza del raggiungimento di determinati obiettivi (ad esempio, attivare l’Avalanche Attack un certo numero di volte). Il sistema di Weapon Boost, posto che difficilmente sbloccherete tutto, “impone” al giocatore di selezionare le caratteristiche essenziali di ogni combattente e di puntare su quelle, al di là di alcuni potenziamenti che è bene ottenere per tutti al più presto.
Oltre a quella dei personaggi esiste anche la crescita delle Fairy che vengono raccolte nel corso dell’avventura. Ogni combattente, in aggiunta alla sua Fury (unica arma disponibile), può equipaggiare una Fairy, che gli conferisce alcuni stat boost e abilità speciali. Non è possibile utilizzare altre Fury, invece, se non per conficcarle nel terreno e modificare le proprietà del dungeon, ad esempio cambiando i mob nell’area. Le Fury ottengono queste proprietà in seguito ad un rituale divino che può essere effettuato alla locanda, e, in base al loro rango, possono ottenere abilità migliori. Ciò spinge il giocatore a ricercare anche le Fury opzionali, che si ottengono sconfiggendo boss altrettanto opzionali, situati in zone già visitate.
Chi non sia interessato a svolgere incarichi opzionali arriverà ai titoli di coda in ben meno di trenta ore, una durata inferiore alla media dei JRPG classici, ma del tutto adeguata all’offerta ludica. Anzi, considerata la presenza del backtracking, il gioco avrebbe potuto durare anche di meno. Quel che si può apprezzare è la sostanziale assenza di filler, anche se esistono comunque cali di ritmo nella vicenda. Esistono tre finali, che possono essere sbloccati con una sola playthrough, con il solito sistema di salvataggi “tattici”.
Ad allungare il brodo ci pensano 29 Trofei (tutti segreti) e numerose subquest. Esse si dividono in boss opzionali (ancora backtracking) e in incarichi della locanda, che richiedono l’uccisione di un certo numero di nemici o la raccolta di alcuni oggetti. Queste missioni risultano poco stimolanti e risentono anche di un bestiario un po’ avaro di informazioni. Sempre meglio del compendio degli oggetti, che è del tutto assente; in un gioco che contiene elementi di crafting, seppur non indispensabili, è una carenza abbastanza ingiustificata.
Nonostante le pecche evidenziate, Fairy Fencer F si rivela un buon JRPG classico e un buon esordio per il brand Galapagos RPG, in grado di offrire esperienze più seriose (ma non troppo) rispetto alle più famose serie di Compile Heart. La versione migliore del gioco è Fairy Fencer F: Advent Dark Force, uscita su PlayStation 4, PC e Switch.