Back in Time – Drakengard 3
L'ultimo Drakengard prima dell'esplosione definitiva di Nier.
Sette anni fa giungeva in Europa Drakengard 3 per PlayStation 3, quasi fuori tempo massimo. A oggi è l’ultimo episodio della serie principale, che negli anni successivi è divenuta famosissima grazie a NieR: Automata, sequel dello spin-off di Drakengard. Nelle pagine virtuali di questa rubrica ci siamo occupati di Drakengard circa tre anni fa.
Come abbiamo già avuto modo di dire in tale occasione, il developer originale Cavia non esiste più, quindi fu giocoforza per Square Enix affidare Drakengard 3 a un nuovo sviluppatore, Access Games. Ciò che non è cambiato, invece, è il budget a disposizione degli sviluppatori, a occhio e croce inferiore a quello di molti progetti indipendenti backerati su Kickstarter. Proprio come ai tempi di Cavia. Al di là di considerazioni non prettamente ludiche, non possiamo esimerci dallo stigmatizzare il comparto tecnico, che presenta una serie di magagne notevoli: texture vecchie, modelli poligonali secondari (escludiamo i personaggi principali, insomma) tagliati con l’accetta, animazioni non sempre fluide, tearing in certi frangenti e, soprattutto, un frame rate che fatica costantemente a mantenersi sui 30 FPS. Il tutto, condito da caricamenti non proprio fulminei, considerando che il gioco non carica da disco (niente versione retail in Europa). È chiaro che la mancanza più grave è proprio l’instabilità del frame rate, dal momento che il gioco è fondamentalmente un hack ‘n’ slash.
A risollevare le sorti di un prodotto così “scassato” ci pensa il lato artistico, tanto sul piano visivo, quanto su quello acustico. Il character design a opera di Kimihiko Fujisaka é ancora una volta di qualità, così come la direzione artistica, anche se forse è meno “aberrante” che in passato, e le interessanti scelte cromatiche avvicinano l’opera a Nier, proprio come l’eccellente colonna sonora, che, appunto, è farina del sacco di Okabe, principale composer del testamento di Cavia. Rispetto al primo Drakengard le sonorità sono meno stridenti e cacofoniche, il che è anche in linea con il taglio meno catastrofico della vicenda. Vale la pena di menzionare anche il doppiaggio, per meriti e per demeriti: se, infatti, il voice acting occidentale è di qualità più elevata della media, e si sposa a una buona localizzazione, quello giapponese non è incluso nella versione “liscia” del gioco, ma è scaricabile come DLC.
Dopo l’ostracismo perpetrato all’epoca di Drakengard 2, Yoko Taro torna in veste non solo di director (come del resto in Nier), ma anche di writer; ciò aveva fatto ben sperare i fan del primo episodio, affascinati dalla cacofonia di brutalità e perversione dell’avventura dello sfortunato Caim. Drakengard 3 rimane in parte fedele alle aspettative, ma per altri aspetti si discosta significativamente dal capostipite della serie, gettando dosi massicce di humour – di cattivo gusto, ovviamente – e comic relief nel solito calderone di violenza efferata, perversione sessuale e situazioni grottesche. Non serve molto tempo per rendersi conto del fatto che le atmosfere sono molto più leggere e che l’autoironia non sta più tanto nella “caricaturalità” estrema, quanto nelle gag e nei dialoghi fra Zero e gli altri personaggi, in particolare il drago Mikhail e i Disciple, schiavi (anche) sessuali delle Intoner.
Al di là di queste considerazioni, la trama risulta interessante, ma il comparto narrativo non è esente da difetti, tra cui spiccano una certa lentezza e linearità nella progressione, una lore minimale e carenze nella caratterizzazione di alcuni personaggi, in particolare delle sorelle di Zero. Alcune mancanze possono essere in parte colmate leggendo i racconti che potete trovare nel sito ufficiale, dai quali emerge, però, qualche piccola incoerenza. Come da tradizione, la trama è “stratificata”, nel senso che il quadro si completa sbloccando i vari finali, che aggiungono nuovi tasselli a una vicenda enigmatica e variamente collegata a Drakengard e a Nier. Ciò comporta anche l’incremento della longevità: la decina di ore che serve per completare la prima run va triplicata se si vogliono ottenere tutti i finali (e sconfiggere un “simpaticissimo” boss, N.d.R.), ma questa operazione non comporta un mero replay, offrendo invece situazioni nuove, nonostante un certo riciclo appaia evidente.
Anche sul versante del gameplay possiamo notare una certa discontinuità rispetto al passato, che si giustifica con il passaggio di testimone da Cavia ad Access Games. Il team di Osaka è partito dal solito canovaccio a base di Hack and Slash e sezioni aeree a bordo del drago, ma le ha interpretate a modo suo. Un modo non necessariamente migliore.
Nei panni di Zero, la nostra anti-eroina, dovremo sterminare frotte di nemici quasi tutti uguali, utilizzando un vasto arsenale. Le armi bianche sono divise in quattro categorie: spade, lance, pugni e chakram, cui si legano stili diversi, mentre all’interno delle varie categorie le differenze sono decisamente meno marcate. Prima di iniziare ogni missione è possibile scegliere un’arma per tipo da portarsi dietro, switchabile poi in tempo reale. Rispetto al passato, il battle system è più frenetico (si impiega massicciamente il dash), ma risulta ancora semplicistico, e l’incrementata velocità rende più antipatici i problemi della regia virtuale. Inoltre, sono state abbandonate le battaglie su vasta scala in stile Musou in favore di livelli a stanze relativamente piccoli e piuttosto lineari. L’IA, come spesso accade negli hack ‘n’ slash, non è degna di tal nome, ed è forse ancor più deficitaria nei Disciple, i quali dovrebbero coadiuvare Zero, ma all’atto pratico sono inutili, non solo perché totalmente imbecilli, ma anche perché non è possibile controllarli in alcun modo. Almeno non intralciano, essendo immortali. Immancabile, infine, la solita modalità super, in questo caso battezzata Intoner Mode, che consente di fare molti danni e non subirne. Tutto molto classico, insomma.
Le fasi a bordo del drago sono state in un certo senso ampliate, anche se chi vi scrive ha l’impressione che si passasse più tempo in volo nel primo Drakengard (non che fosse un bene, N.d.R.). Mikhail può essere utilizzato in alcuni passaggi anche come cavalcatura terrestre, mentre in altri è possibile invocare il suo aiuto (qualche palla di fuoco, in sostanza) premendo il tasto Cerchio. Le sezioni più propriamente aeree rimangono abbastanza fedeli alla tradizione e, nonostante qualche ritocco, non riescono a costituire un netto miglioramento rispetto al lavoro svolto in precedenza da Cavia.
Gli aspetti RPGistici si riducono sostanzialmente al level up e alla gestione delle armi, che è stata resa più intelligente: esse ora salgono di livello non in base al loro utilizzo, bensì alla spendita di denaro e materiali, che si legano alla nuova (e superficiale) componente di looting. Questi elementi possono essere recuperati, assieme ad altri bonus, nelle missioni secondarie, altra delusione del comparto ludico: sono perlopiù brevi missioni a tempo ambientate negli stessi livelli della trama che non aggiungono nulla alla storia e che possono risultare anche frustranti. Evitabili.
Drakengard 3, vituperato da buona parte della critica internazionale, è un gioco tutto sbagliato, come è giusto che sia, considerato il nome che porta. I suoi difetti pesano come macigni, e il nuovo developer non è riuscito a migliorare comparto tecnico e gameplay, per quanto nel complesso l’esperienza possa ritenersi più facilmente digeribile. Nel complesso, però, l’opera presenta anche delle peculiarità che non mancheranno di affascinare una certa nicchia, che forse è più una nicchia nella nicchia, ma che comunque esiste, ed è il target di Drakengard 3, che riesce a essere controverso anche in quelli che avrebbero dovuto essere i suoi maggiori pregi.