Back in Time – Dragoneer’s Aria
Anche la mediocrità va ricordata. Ogni tanto.
Con la nostra rubrica Back in Time siamo soliti ricordare i giochi più interessanti, particolari (meglio ancora se semi-dimenticati) o belli del passato, ma ogni tanto bisogna ricordare anche le cose brutte, ed è per questo che oggi facciamo un’eccezione e vi parliamo di Dragoneer’s Aria, un JRPG classico uscito su PSP dodici anni fa (diciamo che ve ne parlo in occasione dell’anniversario, per trovare un pretesto, N.d.R.).
Il gioco è stato sviluppato da Hit Maker, uno studio in quegli anni legato a Nippon Ichi Software. La collaborazione si concluse con il tutt’altro che memorabile Last Rebellion.
Premesse, trama e personaggi sono piuttosto ordinari. Valen Kesslar, che potreste scambiare a prima vista per una fanciulla, è un Dragoon fresco di addestramento, cioè appartiene a quella stirpe antichissima cui è affidato il compito di proteggere i draghi (abbastanza inusuale: di solito i draghi sanno ben proteggersi da soli. Ma vedrete che qui sono piuttosto fessi, NdR) per il bene del mondo intero, dal momento che essi controllano gli elementi. Qualcosa doveva pure andar storto, quindi ecco che nella cerimonia per l’investitura dei Dragoon compare il terribile black dragon, Nidhogg, il quale a quanto pare ha una brutta influenza pure sui Dragoon stessi… Basta così, evitiamo spoiler, per quanto la vicenda non sia memorabile, nonostante un paio di colpi di scena; a questo punto, comunque, avrete capito che sarà proprio Valen, nonostante si tratti di un novellino (questo è uno stilema dell’intera produzione shōnen), a salvare capra e cavoli, con l’aiuto di tre amici che incontrerà nel corso dell’avventura. Tutto sommato, non si può dire che i protagonisti si sforzino di andare oltre la loro “maschera”, come si direbbe nella commedia dell’arte: Valen è il solito eroe senza macchia e senza paura, Euphe è l’eroina un po’ “stordita”, Mary è la bambina fastidiosa (piratesca, come Chat in Tales of Eternia) e, infine, Ruslan è il misantropo (per forza: è un elfo!, NdR) scorbutico, che però alla fine si deve un po’ ricredere.
Anche lo stile è abbastanza generico, ma, tutto sommato, possiamo ritenere la grafica uno degli aspetti migliori del gioco, insieme al sonoro: la realizzazione tecnica è accettabile, seppur affossata da animazioni sotto la media, caricamenti lunghetti e pop up (fastidioso per l’individuazione dei forzieri, più che altro); il character design, per quanto non provenga da mostri sacri come Yoshida o Amano, risulta gradevole (ma generico) e l’impatto generale è positivo, a conti fatti. Ancora meglio sul versante del sonoro, grazie a un’OST discreta, a cui è stata accompagnata l’immortale Suite per orchestra n. 3 di Bach nella schermata dei titoli, e la possibilità di selezionare il doppiaggio giapponese o quello inglese.
Strutturalmente, Dragoneer’s Aria si presenta come un classico JRPG turn-based, privo però della world map, purtroppo: l’esplorazione si dipana senza soluzione di continuità lungo dungeon non particolarmente articolati, in cui sarà difficile perdere l’orientamento grazie alla mappa a schermo. L’architettura è semplice: ciascuna strada conduce al covo di un drago, presso il quale è possibile teletrasportarsi nella città. A proposito di città: siamo un po’ carenti da questo punto di vista, siccome ne abbiamo solo tre (incluso un villaggetto di una schermata).
Una delle note più positive nel gameplay di Dragoneer’s Aria è l’assenza di incontri casuali: i mostri sono visibili sullo schermo sotto forma di occhio alato, sicché è possibile scansarli quasi sempre agevolmente. Inoltre, è possibile sapere prima con quali nemici ci si dovrà confrontare andando incontro “all’occhio” e, soprattutto, conoscere preventivamente la loro forza, in modo da evitare frustranti game over.
Il tallone d’Achille di Dragoneer’s Aria, spiace dirlo, è nel battle system: è lentissimo, letargico, a causa delle animazioni lunghe non skippabili e del sistema di Guard: esso, infatti, prevede la pressione a tempo di un pulsante (un po’ come gli attacchi fisici in The Legend of Dragoon); tale meccanismo, per quanto interessante sulle prime, finisce per allungare spaventosamente la durata dei turni, specie in scontri contro i boss, dal momento che spesso vi troverete a difendere con tre personaggi per volta. Non aiuta, poi, la propensione di certi mostri a utilizzare incantesimi che infliggono status alterati come sonno e pietrificazione a tutti gli alleati (tranne Ruslan tendenzialmente)… Il risultato è che le battaglie più impegnative possono durare decine di minuti, in cui non si fa altro che reiterare di continuo la strategia rodata.
Peccato, perché qualche spunto strategico ci sarebbe stato, ad aver sviluppato più armoniosamente il tutto: ad esempio, gli MP hanno lasciato il posto a una barra di energia comune a tutti i personaggi, che si scarica e si ricarica a seconda degli input (esempio: attacco fisico +50 punti) dati ai combattenti; o, ancora, è possibile concatenare fra loro gli attacchi elementali per ottenere danni aggiuntivi.
Per quanto riguarda gli aspetti del gameplay relativi alla personalizzazione e allo sviluppo del party, è tutto molto ordinario: le magie sono conferite da oggetti chiamati “Lusce”, che funzionano come le Materia di Final Fantasy VII, solo in maniera più rudimentale; gli equip sono i soliti, e, a esclusione dell’arma, sono comuni a tutti i personaggi; i draghi affidano ai nostri eroi dei Dragon Orb elementali, equipaggiabili liberamente, ma uno per volta per ciascun personaggio; tutte le abilità, qualunque sia la loro natura (Lusce, dragon Orb, skill peculiare del personaggio), si potenziano con l’uso. Una veloce carrellata che lascia intuire quanta fantasia sia stata impiegata da Hit Maker nella realizzazione di questo aspetto.
Con queste meccaniche, Dragoneer’s Aria non riesce a reggere il peso delle classiche trenta (e qualcosa) ore del genere di appartenenza; nemmeno troppo paradossalmente, se fosse più breve e “condensato”, sarebbe un’esperienza molto più appagante. Ciò si evince da tante piccole cose, come l’eccessivo riciclo dei mostri (nella maggioranza dei JRPG avviene fra le varie zone del mondo, mentre in questo caso si tratta perlopiù di un riciclo all’interno della stessa location. Singolare, ma denota pur sempre una scarsità di modelli) e dei boss, che sono sì elementi comuni a molti JRPG, ma allo stesso tempo qui risultano esasperati, oppure l’assenza di mini-giochi e sub-quest degne di tale nome (ci sarebbe in effetti qualche noiosa fetch quest, ma solo il masochismo può indurvi a cimentarvi).
Dragoneer’s Aria avrebbe potuto essere una piacevole esperienza in grado di adattare un genere complesso come quello dei JRPG alle tempistiche strette di chi si trova costretto a giocare su handheld: la struttura è semplice, la trama si lascia seguire senza grossi sforzi e i dungeon non sono certo labirintici. Magari con una dozzina di ore in meno sul cronometro e un battle system più agile (non necessariamente action, semplicemente non letargico), avrebbe raggiunto l’obbiettivo.