Back in Time – Deadlight: Director’s Cut
Chi non muore si rivede. A volte anche chi muore.
Come accennato un paio di settimane fa, ai tempi di Xbox 360 la stagione calda (in particolare tra il 20 luglio e il 31 agosto) era contrassegnata dall’iniziativa Summer of Arcade, con il rilascio in rapida successione di cinque (quattro nel 2013) Xbox Live Arcade.
Fra i tanti indie interessanti, vale la pena di citare i celeberrimi Braid e Limbo, ma c’è molto molto altro, fra cui, appunto, Deadlight, rilasciato nel 2012. La versione del gioco di cui parleremo oggi è la Director’s Cut, pubblicata da Deep Silver nel 2016 su PlayStation 4 (versione testata), Xbox One e PC.
Il giocatore dovrà affrontare un viaggio infernale nei panni di Randall Wayne, un guardaparco in cerca della propria famiglia nel bel mezzo di un’apocalisse zombie. L’avventura si svolge secondo i dettami del platform 2.5D cosiddetto “cinematico” à la Another World, citato dagli sviluppatori stessi, insieme a Flashback e Prince of Persia; dalle fluide animazioni che ricordano gli anni del rotoscoping al trial and error, Deadlight non si fa mancare nulla. A questa formula classica Tequila Works ha aggiunto un elemento che all’epoca (ma anche adesso, N.d.R.) sembrava immancabile, cioè gli zombie, che introducono un elemento survival horror nel contesto di un gioco, che peraltro rimane essenzialmente un cinematic platform
Il giocatore dovrà affrontare un viaggio infernale nei panni di Randall Wayne, un guardaparco in cerca della propria famiglia nel bel mezzo di un’apocalisse zombie. L’avventura si svolge secondo i dettami del platform 2.5D cosiddetto “cinematico” à la Another World, citato dagli sviluppatori stessi, insieme a Flashback e Prince of Persia; dalle fluide animazioni che ricordano gli anni del rotoscoping al trial and error, Deadlight non si fa mancare nulla. A questa formula classica Tequila Works ha aggiunto un elemento che all’epoca (ma anche adesso, N.d.R.) sembrava immancabile, cioè gli zombie, che introducono un elemento survival horror nel contesto di un gioco, che peraltro rimane essenzialmente un cinematic platform. Randall non è un grande combattente e non può contare su un ricco arsenale, quindi gli incontri con i morti viventi (soprattutto quando sono più di due) si trasformano perlopiù in fughe, anche con la prospettiva di tendere qualche trappola ai pericolosi ma stupidi nemici, inclini a cadere dai dirupi o a essere schiacciati da vari elementi dello scenario.
. Randall non è un grande combattente e non può contare su un ricco arsenale, quindi gli incontri con i morti viventi (soprattutto quando sono più di due) si trasformano perlopiù in fughe, anche con la prospettiva di tendere qualche trappola ai pericolosi ma stupidi nemici, inclini a cadere dai dirupi o a essere schiacciati da vari elementi dello scenario.
Uno degli aspetti maggiormente lodati dalla stampa internazionale è la direzione artistica, ricca e raffinata, che si serve di un ottimo sistema di illuminazione. In ogni schermata si può notare qualche preziosismo, che può essere costituito da un dettaglio del paesaggio o da un raggio di luce che filtra da uno spiraglio. La personalità che a Deadlight manca nel comparto narrativo si manifesta in quello grafico, che è senz’altro il maggior pregio del gioco.
Ed è proprio la grafica a beneficiare maggiormente del restauro di Abstraction Games: oltre all’immancabile risoluzione 1080p, la Director’s Cut si avvale anche di qualche nuova animazione che incrementa ulteriormente la fluidità.
Ciò che invece continua a deludere è il sistema di controllo. Il principale difetto di Deadlight, che avrebbe dovuto essere limato da questo enhanced port, almeno stando a quanto prometteva il comunicato ufficiale, resta l’unica grande delusione anche nella Director’s Cut. Questo difetto, sommato alla natura trial-and-error caratteristica del genere ludico, rende le morti molto frequenti, e in alcuni casi frustranti. Nulla di cui non si possa venire a capo, beninteso, ma da un gioco che contiene sequenze platform moderatamente impegnative era lecito aspettarsi qualcosa di più, soprattutto in questa sede di revisione.
Viste le (talvolta presunte) migliorie, consideriamo le aggiunte. L’unica vera novità è la survival mode, in cui il giocatore deve sopravvivere il più a lungo possibile in una location da cui è impossibile uscire. Chi scrive non ama questa modalità nella generalità dei giochi, ma la trova particolarmente superflua in Deadlight, visto che non mette in risalto il suo maggior pregio, cioè la direzione artistica; inoltre, con controlli non molto affidabili, la sfida potrebbe rivelarsi proibitiva (se intendete ottenere i due obiettivi/trofei dovrete impegnarvi seriamente). Per il resto, la Director’s Cut contiene anche la modalità Incubo, già presente nella versione PC di Deadlight: si tratta del livello di difficoltà definitivo, in cui non esistono checkpoint. Orbene, una speedrun dura un’oretta, quindi per completare la modalità Incubo dovrete giocare per un’ora senza mai morire. Con quel sistema di controllo. Accomodatevi pure…
Come avviene quasi sempre in questi casi, l’acquisto di Deadlight: Director’s Cut è consigliato solo a quanti non abbiano già giocato la versione primigenia, dal momento che le aggiunte e le migliorie non giustificano l’esborso di denaro, soprattutto per quanti abbiano il port per PC, dotato di una grafica migliorata e di una modalità in più rispetto alla versione per Xbox 360. Se siete “consolari” e non avete ancora provato Deadlight, oppure se siete amanti del retail, puntate pure sulla Director’s Cut. Vale la pena di essere giocato.