Back in Time – Crackdown

La settimana scorsa ha debuttato Crackdown 3, dopo oltre quattro anni di attesa dall’annuncio. Le alte aspettative – quantomeno all’inizio: poi, fra silenzi e rinvii, più di qualcuno aveva avvertito la puzza di bruciato – non sono state per nulla soddisfatte, come abbiamo potuto rilevare in sede di recensione.

Questa settimana, dunque, ci occuperemo del capostipite della serie, che pochi giorni fa ha spento la sua dodicesima candelina. In questo viaggio nel passato, ci accorgeremo di quanto Crackdown 3 assomigli (ve lo diciamo subito: troppo!) al suo antenato.

Crackdown

Sviluppato in esclusiva per Xbox 360 da Realtime Worlds, Crackdown è un action adventure, le cui componenti principali sono la guida e le sparatorie in terza persona, ambientato in un contesto open world cittadino, proprio come Grand Theft Auto; a tal proposito, non è un caso che l’ideatore (nonché director) del gioco sia David Jones, il padre di GTA (anche se non ha lavorato sui capitoli tridimensionali).

Nei panni di un agente speciale, il compito del giocatore è quello di riportare la giustizia (?) a Pacific City, metropoli fittizia composta da tre quartieri, ognuno sotto il controllo di una diversa organizzazione criminale: ci sono i Los Muertos, ispirati alla malavita ispanica negli Stati Uniti, i Volks, di origine russa, e la Shai-Gen Corporation, modellata alla stregua della mafia cinese. Ciascuna organizzazioneconta sette figure chiave, che il nostro super agente deve uccidere prima di debellarla definitivamente. Non c’è una trama, non ci sono cut scene, non c’è un ordine prestabilito per svolgere la maggior parte di queste azioni, un po’ come in Crackdown 3, che però prova a strutturare maggiormente la campagna, rendendo disponibili i boss avanzati solo quando siano stati uccisi i primi.

Crackdown

Schematizzando il gameplay, dunque, Crackdown si riduce al girare per la città a piedi o su un autoveicolo alla ricerca del covo di ciascun boss (basterà arrivarci vicino per ricevere un dossier dell’Agenzia contenente la precisa posizione), da uccidere dopo una più o meno complessa fase di infiltrazione. Questo è uno dei pochissimi aspetti tattici del gioco: molte basi presentano almeno due percorsi, alcuni dei quali molto più comodi degli altri per raggiungere rapidamente il boss di turno evitando di sterminare (o essere sterminati da) decine e decine di scagnozzi.

La componente TPS è frenetica e poco elaborata: con il grilletto sinistro si attiva il lock-on, con il destro si spara, ma c’è la possibilità (non così utile, in realtà) di mirare a parti specifiche del corpo. Il sistema di mira non convince pienamente, in quanto non esiste un modo agevole per cambiare al volo bersaglio (la levetta destra è imputata proprio alla mira a parti specifiche del corpo) e a volte si rivela impreciso: può capitare che in prossimità di un ostacolo (ad esempio, una parete) il nostro agente, invece di sparare, si produca in un attacco fisico con il calcio dell’arma. Queste piccole debacle possono rivelarsi fatali ai livelli di difficoltà più alti, anche se va riconosciuto che l’I.A. è abbastanza stupida da non approfittarne. Ciò non significa che Crackdown sia una passeggiata di salute, considerato il numero soverchiante di nemici, che rendeva molto opportuna la modalità cooperativa online per due giocatori, presente per la prima volta in un gioco di questo tipo.

Crackdown

Oltre a quanto illustrato sopra, l’opera di Realtime Worlds offre anche una componente esplorativa, finalizzata al rinvenimento degli incarichi secondari. Oltre ad alcune gare di velocità, Pacific City cela centinaia di sfere che vanno a incrementare i cinque parametri del super agente (che possono aumentare anche svolgendo diverse altre azioni, come, banalmente, uccidere i nemici oppure guidare): abbiamo l’agilità, la forza, l’abilità alla guida, quella con gli esplosivi e quella con le armi. Il nostro alter ego, già sovrumano sin dall’inizio, può diventare un semidio, sollevando e scagliando oggetti pesantissimi e raggiungendo un’elevazione di decine di piedi, che gli consente di esplorare la metropoli balzando di tetto in tetto. In questo Crackdown è stato un pioniere dei free roaming con superpoteri, precedendo di alcuni anni Prototype e inFamous, anche se va riconosciuto che esistevano già titoli dedicati a Spider Man. Ciò detto, il gioco non offre null’altro, rivelandosi abbastanza povero sul piano contenutistico e decisamente meno longevo di buona parte dei suoi rivali.

Prima di chiudere, spendiamo due parole sulla grafica, per quanto abbia ben poco senso parlarne a dodici anni dall’uscita. Anche se ora il comparto tecnico di Crackdown appare primitivo (ma non così distante da quello del terzo capitolo, ahinoi…), all’epoca era decisamente avanzato, grazie a una città dettagliata (ottima la draw distance) ma priva di caricamenti. Il frame rate tiene botta bene, con piccoli rallentamenti – che peraltro non incidono negativamente sul gameplay – nelle fasi più concitate. Sul piano stilistico, Realtime Worlds ha optato per uno stile fumettoso: i personaggi sono contornati da una linea nera e sembrano realizzati in cel-shading, anche se non è così. Considerati i super poteri fisici del nostro agente e la violenza straripante, caricaturale, la scelta ci sembra azzeccata, anche se va detto che l’impatto al giorno d’oggi non è dei migliori. La situazione migliora su Xbox One X, grazie a un ottimo upscaling che non fa sfigurare il gioco in 4K e a una maggior fluidità, anche se può ancora capitare di scendere sotto i 30 fps. Veramente, su Xbox One X Crackdown non è così distante da Crackdown 3…

Crackdown


Crackdown per certi aspetti è un gioco abbozzato, come dimostra la struttura elementare e la pochezza di elementi secondari, nonché qualche ingenuità nel gameplay. Ciononostante, ha un carattere peculiare che lo rende “simpatico” ancor oggi per una decina di ore di mattanze spensierate.

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