Back in Time – Brothers: A Tale of Two Sons
Due fratelli, una missione.
Precisamente otto anni fa debuttava, in esclusiva (temporanea) su Xbox 360, Brothers: A Tale of Two Sons in seno all’ultima edizione del programma Summer of Arcade di Microsoft. Il gioco sarebbe giunto un mese dopo su PC e PlayStation 3, per approdare poi anche su smartphone e sulle console della generazione successiva.
Brothers, molto prevedibilmente, racconta la storia di due fratelli che si mettono in viaggio per recuperare un medicinale in grado di salvare la vita al padre. Questa sorta di acqua santa, va da sé, non può essere acquistata al mercato o alla fiera di paese, ma deve essere raccolta in un luogo lontano e impervio. Un’impresa che potrebbe costare la vita ai fanciulli, assolutamente privi di poteri magici o altre doti particolari, se non l’amore immenso che li lega. I due sono inseparabili, come arti di uno stesso corpo.
Pad alla mano, questo concept si traduce in un sistema di controllo insolito, che mette il giocatore alla guida di entrambi i personaggi. Nessuna forma di multiplayer (se non nel late port per Switch), nessuna IA di supporto, nessuno switch fra personaggi: in Brothers la parte sinistra del controller gestisce i movimenti del fratello maggiore e la destra quelli del minore. Per non complicare troppo le cose, si utilizzano solo le levette analogiche per i movimenti e i grilletti per ogni tipo di interazione, e, volendo, gli altri dorsali per ruotare le inquadrature. All’inizio risulta un po’ straniante, ma presto ci si abitua, anche perché il gioco non richiede movimenti fulminei o grandi prove di abilità.
Usando le categorie ludiche classiche, Brothers: a Tale of Two Sons è un adventure infarcito di numerosi puzzle basati, appunto, sulla collaborazione fra i protagonisti. I combattimenti sono pochissimi (forse solo uno, nel senso classico del termine) e l’esplorazione non gioca un ruolo di primo piano, essendo gli ambienti non molto vasti e abbastanza lineari. Gli enigmi proposti sono semplici, talvolta banali, quindi è improbabile rimanere bloccati per più di qualche minuto.
A tal proposito, possiamo dire che la loro particolarità molto spesso non risiede nella soluzione richiesta (sovente si tratta di abbassare delle leve o girare delle manovelle), ma nel modus operandi descritto sopra in relazione al sistema di controllo. I due fratelli hanno caratteristiche fisiche diverse: il maggiore è più forte, mentre il minore è più sottile, quindi è tutt’altro che indifferente decidere chi fa che cosa.
Isolando la componente ludica da tutto il resto, Brothers non è nulla più che un “giochino”, tenendo presente anche budget e prezzo. Come abbiamo detto in apertura, però, l’obiettivo degli sviluppatori era quello di raggiungere un felice connubio fra videogiochi e cinema, per cinema non intendendosi i blockbuster da pop-corn. Insomma, è inutile girarci attorno: l’aspirazione era quella di realizzare un’opera d’arte. Se ormai nessuno si fa problemi a definire tale un film (non che tutti lo siano, chiaramente), il dibattito in relazione ai videogiochi è ancora aperto; la questione principale, a parere di chi scrive, sta nel fatto che la cifra caratterizzante di questo medium è l’elemento ludico, quindi l’accostamento del videogioco alle forme d’arte dovrebbe passare attraverso l’affermazione del “contenuto artistico” del gameplay stesso. Altrimenti avremo solo giochi che possono fregiarsi di grafiche o colonne sonore “artistiche”, ma che non sono tali nella loro essenza.
Tornando a Brothers, mi sembra quasi di ritrovare le mie riflessioni nell’opera: il gameplay non è stato accantonato, ma si è cercato di dargli la “dignità artistica” di cui abbisognava. In che modo? Rendendolo un veicolo di concetti, idee, sensazioni ed emozioni. Non ci troviamo innanzi al gameplay perfetto, ma sicuramente le soluzioni ludiche scelte sono ragionate. Il gioco avrebbe potuto benissimo essere strutturato secondo i canoni della cooperazione che vanno tanto di moda in questa generazione: sarebbe bastato rendere più complessi enigmi e situazioni, a ben vedere. E invece non è stato fatto, perché era necessario che il giocatore impersonasse entrambi i protagonisti, che fosse reso partecipe del legame solidissimo e struggente che li unisce. E altro non diciamo per non spoilerare una trama talmente semplice ed efficace da non aver bisogno di una singola parola, dal momento che le persone si esprimono in un suggestivo idioma fittizio, che produce nel giocatore (in me, almeno, N.d.R.) quel senso di estraniamento e di non partecipazione che gli impedisce di immedesimarsi completamente nei due fratelli.
Brothers ovviamente si serve anche di metodi più classici per suscitare emozioni, cioè grafica e sonoro. La prima si caratterizza per uno stile fiabesco, ma tetro, e una cura per i particolari che potremmo definire fiamminga. Pur senza mantenere la stessa intensità in ogni istante dell’avventura, non si può non tributarle il merito di fornire alcune raffigurazioni davvero suggestive della natura, di cui a tratti coglie quella sublimità che affascina e terrorizza l’uomo, minuscolo e indifeso.
La colonna sonora, raffinata nella sua semplicità, cerca di non disturbare il rapporto fra natura e giocatore, anche se ogni tanto culmina a “rubare la scena”. La sua presenza nel complesso non è invadente, perché lascia spazio anche ai rumori dell’ambiente e, giustamente, ai silenzi.
In un periodo torrido come questo, uscire di casa prima di sera è davvero da temerari, quindi potrebbe essere un’ottima idea per un pomeriggio abbassare le tapparelle, accendere il condizionatore e scaricare Brothers: a Tale of Two Sons. Non si tratta di un’esperienza propriamente “estiva”, ma per tre o quattro ore potete pure fare gli “alternativi”; non ve ne serviranno di più, infatti, per giungere ai titoli di coda, e difficilmente intraprenderete una seconda run. L’unico incentivo alla rigiocabilità è costituito dai dodici Obiettivi, che sono decisamente fuori dall’ordinario: nessuno di essi è legato alla progressione nella storia, tanto che è possibile finire l’avventura senza averne raccolto nemmeno uno (io ne ho presi ben… due!, N.d.R.); per ottenerli bisognerà invece “decifrare” le descrizioni sibilline e completare quelle che potremmo definire mini-subquest, tramite interazioni di vario tipo con l’ambiente e i personaggi.