Back in Time – Beyond Eyes
Percepire. Non vedere.
Nell’ambito della ormai vastissima scena indie, alcuni generi hanno ricevuto nuova linfa vitale, e nuovi sotto-generi sono venuti alla ribalta. Uno di essi è quello dei cosiddetti “walking simulator”, espressione che condensa in modo piuttosto preciso il contenuto interattivo di queste opere: si tratta, sostanzialmente, di racconti, in cui la principale modalità di interazione consiste nel muovere un personaggio all’interno delle ambientazioni.
Fra i numerosi esponenti di questo sotto-genere delle avventure grafiche figura anche Beyond Eyes, che costituisce l’evoluzione del progetto di laurea della giovane Sherida Halatoe, aiutata dallo storico Team17. Il gioco è uscito su PlayStation 4, Xbox One e computer.
Beyond Eyes mette il giocatore nei panni di Rae, una bambina di dieci anni che ha perso la vista a causa di un incidente con i fuochi artificiali. Ovviamente questa esperienza traumatica l’ha isolata dal mondo, visto che Rae passa la maggior parte del tempo nel suo giardino. Il suo unico amico è il gatto Nani, che spesso le fa visita. Proprio la scomparsa di Nani spinge la bambina a uscire dal suo regno e ad avventurarsi nel mondo, almeno per due o tre ore, cioè fino ai titoli di coda.
Beyond Eyes punta molto sul coinvolgimento emotivo del giocatore, il quale dovrebbe provare un legame empatico con la bambina e desiderare con lei di ritrovare il gatto. Se tale coinvolgimento avvenga o no è una questione abbastanza soggettiva, che dipende dalla sensibilità personale; tuttavia, non si può fare a meno di constatare come lo script non risulti adeguato ad ottenere l’effetto desiderato: al di là delle premesse di cui sopra, spiegate rapidamente all’inizio, la situazione non si evolve fino al finale e non ci sono flashback o approfondimenti di nessun tipo. Laddove altri esponenti del genere tengono vivo l’interesse del giocatore con misteri e rivelazioni, o anche solo sviluppando rapporti interpersonali, Beyond Eyes concentra tutti i suoi sforzi nel cercare di ottenere un’immedesimazione completa nella protagonista.
La peculiarità di questo walking simulator risiede, infatti, nel soggetto che cammina: si tratta di una bambina di dieci anni affetta da cecità, elemento che permea e plasma il “gameplay” (se di gameplay si può parlare).
Fare un gioco in cui non si vede un accidenti sarebbe stato troppo… “d’avanguardia” anche nell’ambito indie, quindi l’handicap della protagonista viene riprodotto con altri espedienti visivi. Rae non è cieca dalla nascita, quindi conserva i ricordi di un mondo che ha potuto conoscere ed è in grado di ricostruire l’aspetto di ciò che la circonda, anche grazie all’ausilio degli altri sensi (ad esempio, odori e rumori sono rappresentati tramite delle scie colorate). Questa percezione è stata resa in modo peculiare: il giocatore si muove all’interno di spazi completamente bianchi, ma al suo passaggio gli ambienti prendono forma e colore. E che forma e che colore! Beyond Eyes, al netto di un comparto tecnico tutt’altro che straordinario – siamo dalle parti della generazione 128 bit – pare un acquerello in fieri, grazie anche a una direzione artistica in grado di costruire un mondo onirico tramite le scelte cromatiche e di design.
Chiaramente una bambina cieca ha delle grosse difficoltà a muoversi nell’ambiente circostante, e Beyond Eyes spinge su questo aspetto. Rae talvolta non riesce a ricostruire correttamente la realtà, a causa di ricordi troppo antichi o di una lettura erronea degli “indizi” che le pervengono dall’uso degli altri sensi. Inoltre, come abbiamo detto, gli ambienti “si costruiscono” man mano, e ciò provoca un senso di spaesamento, accentuato da un clipping volutamente bad. Ma i disagi del giocatore non si fermano qui: la fanciulla procede lenta e incerta, e quasi tutte le presenze (umani, corvi, cani) la spaventano – come sottolinea l’incupimento dei colori – e le impediscono di proseguire.
Esplorare gli ambienti circostanti è un processo lento, a causa dell’orizzonte vicinissimo e della lentezza della bambina, e può rivelarsi frustrante negli spazi più ampi. Questa fatica non è ricompensata da nuove possibilità di interazione (raramente scomoderete il tasto A), né da rivelazioni della trama, che sostanzialmente non conosce momenti intermedi fra l’inizio e la fine, nonostante la suddivisione in brevissimi capitoli.
Chi si approccia a un walking simulator non cerca un puro divertimento, ma una forma di intrattenimento un po’ diversa, più comunicativa. Ciò detto, Beyond Eyes funziona? Premesso che l’opera si propone di stimolare la sensibilità del giocatore, quindi l’effetto è soggettivo, la risposta probabilmente è non troppo: il concetto alla base è interessante, ma il coinvolgimento è minato da uno script minimale, che rende il giocatore meno incline a farsi carico degli handicap di Rae.