Allarme lavoro nel mondo dei videogames
Ai recenti casi di Naughty Dog e Ubisoft, che ci hanno rivelato un amaro spaccato delle condizioni di lavoro nel mondo dei videogames, si aggiunge ora un allarme retribuzioni in Activision.
Se ogni mondo è paese, dove c’è lavoro c’è ricchezza ma sovente anche altro: negli ultimi mesi si è acceso un allarme su alcune major del mondo dei videogames, ultima in ordine di tempo Activision – Blizzard. Nessun videogamer, come è normale che sia, si preoccupa troppo della mole di lavoro che possa esserci dietro a masterpiece come Call of Duty o The Last of Us. Il videogioco è un medium da intrattenimento puro, e come tale viene fruito. Tuttavia, negli ultimi mesi, alcuni casi eclatanti stanno scuotendo un comparto che conta nel mondo svariate decine di migliaia di addetti. Notizie sul crunch lavorativo in Naughty Dog durante la lavorazione di The Last of Us 2 hanno preceduto di poco lo scandalo sessismo e molestie in Ubisoft, che è costato il posto a vari manager in vista del gruppo francese. Ora è Activision sotto i riflettori, paradossalmente proprio nel momento in cui festeggia risultati finanziari da record.
Il mondo dei videogames in allarme per le condizioni di lavoro: il caso Activision
La società americana esce dal suo secondo trimestre con i ricavi più alti di sempre. Le entrate nette di Activision sono aumentate di mezzo miliardo di dollari rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, con $768 milioni nel flusso di cassa operativo. Tutto ciò, dopo aver licenziato nel 2018 addirittura l’8% del suo personale, ovvero circa 800 persone. Beffa aggiuntiva, i licenziamenti vennero annunciati contestualmente alle congratulazioni al management per un anno da record. Il Ceo Bobby Kotick all’epoca fu contestato pesantemente.
Kotick peraltro, come molti amministratori delegati, guadagna in modo esorbitante pur contribuendo poco sul lato tecnico al valore di Activision Blizzard rispetto a tanti altri lavoratori della società. Stime ufficiose quanto verosimili parlano di oltre 300 volte il dipendente medio, cifre che hanno fatto protestare formalmente anche molti suoi colleghi di rango. La situazione in questo caso è particolarmente preoccupante non solo per ovvie considerazioni di carattere etico, ma anche e soprattutto perché i dipendenti di Activision Blizzard in genere guadagnano meno di un terzo dell’1% del CEO!
In questo scenario, gli sviluppatori sono costretti a rimbalzare da un progetto all’altro senza sosta. La tendenza al crunch (esasperazione dei ritmi e delle pressioni – ndr), che ha interessato ultimamente anche Naughty Dog, porta a condizioni di lavoro malsane e talvolta nocive. La sindacalizzazione sempre maggiore del comparto non metterà fine a tutti questi problemi, ma di certo potrebbe dare ai lavoratori più potere e solidarietà, nel frattempo che la politica e possibilmente gli azionisti più illuminati decidano di porre un freno a queste situazioni indecenti.
Il mondo dei videogames in allarme: le condizioni di lavoro riguardano tutti
Queste notizie, che sembrano lambire solo l’interesse degli addetti ai lavori, in realtà dovrebbero farci riflettere tutti di più. Cosa potrebbe succedere, alla lunga, se gli ambienti di lavoro ove vengono forgiati i nostri amati videogames divenissero diffusamente tossici? Lo scandalo che ha investito Ubisoft ne è ulteriore declinazione in termini di prevaricazione.
Anche se ignoriamo le condizioni materiali delle persone dietro ai nostri giochi preferiti, l’attuale ecosistema di sviluppo sta diventando forse insostenibile. Cosa succederà quando gli sviluppatori si stancheranno del trattamento, cercando opportunità più redditizie altrove? Cosa succederebbe se i creativi, nel pensare a ciò che i loro predecessori hanno sopportato, rinunciassero completamente allo sviluppo del gioco, portando le loro skill a servizio di altri settori? L’industria si indebolisce quando ogni lavoratore si disillude dall’idea di poter creare giochi come professione. Inoltre, non dimentichiamo anche che i creativi digitali sono pur sempre artisti: non nascono, non seguono e non si possono adattare a logiche da fabbrica.
La lezione Olivetti, ancora una volta.
La discussione sulle condizioni lavorative è aperta, e come le questioni economiche ormai è dannatamente globale. Un allarme lavoro che si accende nel mondo dei videogames oggi, se vogliamo, non rappresenta nulla di nuovo sulla scena. I meccanismi di globalizzazione delle multinazionali hanno portato un’impennata dei profitti e contemporaneamente hanno permesso di giostrare a cavallo delle legislazioni locali per diminuire i costi di manodopera. In Italia la lezione Olivetti è stata inascoltata dalla maggior parte degli imprenditori, salvo rare e salvifiche eccezioni. Eppure i tempi sarebbero quanto mai maturi per apprendere da un capace visionario ciò che era avanguardia negli anni ’60, e che sembra rimasta solo una chimera al giorno d’oggi, da noi come nel resto del mondo.
Gamesource è ovviamente a disposizione di chiunque volesse dare il proprio contributo di idee sull’argomento, che sia o meno un attore partecipante o un semplice fruitore dell’industria videoludica.