Zelda: Ocarina of Time, 25 anni di un vangelo videoludico intramontabile
Nel 25° anniversario di The Legend of Zelda: Ocarina of Time, scopriamo perché questo capitolo della saga zeldiana è ancora così prezioso per l'industria.
25 candeline per The Legend of Zelda: Ocarina of Time. Un’eternità di tempo è passato dalla sua prima uscita in Giappone su Nintendo 64, con l’Europa pronta ad accoglierla a braccia aperte solo un mese più tardi. E nonostante sia ormai un gioco datato, il suo valore creativo è ancora acclamato all’unanimità dall’industria.
Il quinto capitolo della saga di Zelda fu davvero unico. Per la prima volta i giochi d’avventura dinamica (chiamati anche action-adventure) furono traslati in forma tridimensionale. Roba che in quegli anni di fine ‘900 fu semplicemente fantascienza, qualcosa di molto grande per gli standard di allora.
Le idee incorporate durante la progettazione da Shigeru Miyamoto e i suoi collaboratori, tra i quali figurarono Eiji Aonuma e Yoshiaki Koizumi, furono fondamentali per la buona riuscita del gioco. Ma quali furono le sfide affrontate dall’allora Nintendo EAD nello sviluppo di Ocarina of Time? E per quali motivi il gioco rimase così importante negli anni a venire?
Lo sviluppo (in breve) di The Legend of Zelda: Ocarina of Time
Se pensiamo al totale stravolgimento della saga di Zelda voluto da Miyamoto in questo capitolo, sulla stessa scia toccata anche da Super Mario 64 in precedenza, le difficoltà nello sviluppo furono tantissime. A cominciare dalla tridimensionalità, che all’epoca fu solamente un sogno utopistico di molti.
Tante bozze consumate sulla scrivania del game designer nipponico, altrettanti ripensamenti e continue nuove idee comparse in testa da Miyamoto. Data l’ambizione del progetto (chiamato in origine Zelda 64) e la volontà di spostare la serie zeldiana dal 2D al 3D, vennero istituiti dei piccoli gruppi incaricati in compiti specifici, con ognuno un proprio direttore.
Aonuma si occupò nella direzione del design dei dungeon, Koizumi fu coinvolto nei modelli e nelle animazioni, mentre Yoichi Yamada e Toru Osawa furono addetti rispettivamente al design del mondo di gioco e alla trama e dialoghi. Tutto l’operato fu supervisionato da Miyamoto in qualità di produttore.
La grafica di Ocarina of Time si poggiò sulla base del motore grafico di Super Mario 64, che gradualmente venne aggiornato e migliorato dal team di sviluppo, fino a diventare un motore nuovo e distinto dal platform mariesco. E grazie alla potenza di Nintendo 64, il mondo di Hyrule fu visivamente impressionante a quei tempi.
Dopodiché s’iniziò a ragionare su come poter gestire la visuale della telecamera all’interno del gioco. L’idea primordiale fu quella di utilizzare l’inquadratura in prima persona durante le fasi d’esplorazione, alternandosi alla terza persona solo in occasione dei combattimenti.
Questa soluzione non convinse del tutto il team, soprattutto Koizumi che premette esclusivamente sulla visuale in terza. Alla fine, il team optò per quest’ultima strada, tranne durante l’utilizzo dell’arco o del rampino; in quest’ultimo, la prima persona fu la scelta migliore.
La nascita dello Z-targeting
In seguito a quanto detto prima, subentrò un’altra difficoltà agli sviluppatori: come poter gestire la telecamera nei combattimenti contro più avversari? Qui entrò in gioco una feature fondamentale e in grado di semplificare il comportamento della visuale in tali frangenti, ossia il sistema di agganciamento al bersaglio (in gergo, Z-targeting o target lock).
L’idea alla base di questo meccanismo nacque durante una visita del team di sviluppo al parco di divertimenti dello studio Toei, a Kyoto. Assistendo a uno spettacolo di combattimento ninja, con il protagonista in balia dei suoi nemici, gli sviluppatori rimasero incuriositi sul comportamento del solitario guerriero.
Il protagonista affrontò uno alla volta i suoi avversari, mantenendo la distanza in fase di difesa e il focus visivo sul bersaglio, sia da fermo che durante gli spostamenti. La dinamica offrì al team un importante spunto per risolvere il problema della telecamera nei combattimenti, e che condusse poi allo sviluppo del sistema di agganciamento.
Con lo Z-targeting che si attiva premendo il tasto Z sul dorsale del pad di Nintendo 64, la telecamera segue gli spostamenti del proprio personaggio mentre rimane fissa sul nemico. Un marcatore sullo schermo indica quale bersaglio è coinvolto, su cui possiamo dirigere i nostri attacchi o compiere altre azioni durante un combattimento.
Il sistema di agganciamento al bersaglio allargò le possibilità d’azione in battaglia, dagli attacchi alle schivate e agli spostamenti. Il tutto rimanendo costantemente sull’asse visiva del nemico e agevolando i giocatori a contrattaccare senza il timore di andare a vuoto con i colpi (ne abbiamo parlato brevemente anche tra le 5 cose che non sai su Zelda).
Facilitare i controlli ai giocatori
Vista l’enorme portata proposta da Ocarina of Time, anche la progettazione del sistema di controllo rappresentò una sfida non da poco per il team di Miyamoto. Per rendere facile la vita dei giocatori di quegli anni, vennero adottate numerose scelte.
In primo luogo, la meccanica del salto in un’ambiente tridimensionale fu affidata in origine alla pressione del tasto B. Solo in seguito, questa meccanica divenne automatica, nel momento in cui Link arriva al limite di un dirupo. Quanto al B gli venne attribuita una funzione votata sull’interazione, variabile a seconda del contesto in cui si trova il personaggio.
Tuttavia, a pochi mesi prima dell’uscita del gioco ci fu un altro cambiamento dei comandi da parte del team di sviluppo. Il tasto A guadagnò la funzione del tasto B, che invece divenne il comando adibito al combattimento con la spada.
L’eredità lasciata da Ocarina of Time all’industria videoludica
L’impatto portato dal quinto capitolo di Zelda nel mondo dei videogiochi è stato dirompente. Un insieme di idee geniali giunte non senza poche difficoltà, ma che hanno messo sul piatto una formula che prima d’allora sembrava impossibile concepirla.
Il regista del successo di The Legend of Zelda: Ocarina of Time è senza dubbio l’avvento della tridimensionalità in un action-adventure, con il mondo di Hyrule più vivo e capace di restituire al giocatore lo spirito dell’avventura, nonostante nei giorni odierni si percepisce l’evidente asciuttezza di design nelle aree più aperte, in particolare nella pianura del regno.
Tuttavia, l’innovazione introdotta dallo Z-targeting (e aggiungiamo pure il sistema di controllo) ha reso possibile l’impossibile di quel periodo. Naturalmente, con l’avanzamento tecnologico molti sviluppatori hanno raffinato la meccanica dell’agganciamento nel corso degli anni. Ma è grazie ad esso se molte opere di quel genere, o derivati, hanno scoperto la luce.
Basta pensare al filone dei soulsborne avviato da FromSoftware, una categoria videoludica quasi sempre accostata alla saga di Miyamoto, ma che Hidetaka Miyazaki ha tenuto a ribadire che “non è degno paragonare Dark Souls a Zelda in quanto hanno design e concept differenti tra loro”.
In un certo senso queste dichiarazioni di Miyazaki hanno un fondo di verità. In fatto di genere e ideali diversi, i vari Demon’s Souls, Dark Souls, Bloodborne e le altre opere “souls” di From si trovano nella riva opposta di un fiume rispetto a Zelda. Ciononostante, c’è da inserire una piccola postilla.
Se The Legend of Zelda: Ocarina of Time non avesse mai introdotto la tridimensionalità in un gioco con elementi d’azione, nonché l’inclusione dello Z-targeting nelle meccaniche di gameplay, probabilmente i soulsborne non sarebbero mai esistiti. E per stessa ammissione di Miyazaki, “Ocarina of Time è diventato un manuale per gli action 3D”.
Dan Houser, co-fondatore ed ex-membro di Rockstar Games, nonché produttore dei due capitoli di Red Dead Redemption e di Grand Theft Auto V, è un altro autore che si è lasciato influenzare dal peso di Ocarina of Time per lo sviluppo dei suoi lavori.
In un’intervista concessa tempo fa, l’autore inglese sostiene che “chiunque crei giochi in 3D e affermi di non aver preso in prestito qualcosa da Zelda e Mario mente, dai giochi per N64 e non necessariamente da quelli odierni”. Probabilmente, dalle saghe di Red Dead Redemption e Grand Theft Auto possiamo intuire l’idea di un mondo liberamente esplorabile dal giocatore.
Anche altre saghe di maggior successo come Assassin’s Creed, Bayonetta, Devil May Cry e Kingdom Hearts, giusto per menzionare qualche esempio, devono qualcosa al titolo zeldiano. Principalmente, oltre all’esplorazione libera, c’è l’immancabile Z-targeting che agevola le azioni di combattimento nello spazio tridimensionale, limato con diverse migliorie in modo da non rimanere troppo ancorato al passato.
Gli anni passano e gli sviluppatori portano avanti il progresso tecnico e la qualità dei videogiochi. E al di là dell’età che avanza, The Legend of Zelda: Ocarina of Time rimane un’opera difficilmente soggetta alla vecchiaia, se non per il comparto grafico e per una struttura di gioco complessivamente classica.
Se permettiamo, 25 anni per un gioco ancora apprezzato – e parlato – dall’industria rappresentano un fiore che brilla con intensità in mezzo a una prateria verde sconfinata. Tanti auguri!
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