Death Stranding: il faticoso percorso di Kojima
L'intervista a Hideo che parla della sua creatura.
Con l’arrivo di Death Stranding sulle nostre console fra meno di un mese, Kojima e il suo team arrivano alla destinazione di una lunga e sofferta maratona che rischiava di finire ancor prima di nascere.
Poco dopo il Tokyo Games Show 2019, dove abbiamo potuto osservare gameplay sia sull’esplorazione del mondo che sulle interazioni che potremo avere con Sam, il direttore creativo Hideo Kojima ha risposto a qualche domanda di Famitsu sul percorso fino a qui e sugli ostacoli trovati lungo il cammino.
Com’è stato mostrare tutto quel gameplay al TGS 2019?
“Da un lato non volevo mostrare così tanto del gioco al pubblico, avevo piacere che ognuno lo potesse scoprire con i suoi tempi e ritmi; dall’altra però ero felice di potervi restituire al meglio il feel di Death Stranding. Quello che avete visto era uno spezzone posto circa a 3/4 del gioco.”
Definiresti Death Stranding un gioco “immediato”?
“A volte, nello spiegarne le caratteristiche, lo paragono a un racing game: guidare l’auto è semplice, basta prendere il controller e riconoscere al volo i comandi. Ma la finezza nelle curve, il comprendere al volo come affrontare il terreno, sono tutte cose che ti vengono spontanee con il tempo. Ovvio, Death Stranding va preso con più calma, non ci sono gare a tempo o cose così a starvi col fiato sul collo.”
Durante il gameplay dicevi che ognuno potrà affrontare Death Stranding in un modo tutto suo…
“Sì, assolutamente. Anche durante il playtesting ho visto che alcuni costruivano ponti e strutture per gli altri, altri andavano in giro a recuperare i cargo smarriti, c’è chi si tuffava nei combattimenti e chi invece li bypassava completamente. Lo scopo orizzontale è riconnettere tutti al network, ma avrete la massima libertà sul come farlo.”
Saremo davvero in grado di creare strade semplicemente percorrendo più e più volte questo o quel sentiero?
“Assolutamente. Sarà come la via della Seta: una connessione fisica e metaforica fra persone, culture, abitudini. Il sistema crea essenzialmente delle micro-isole, controllate, in cui il giocatore che più comunica con gli altri tramite i Like o in altro modo vedrà più tracce del passaggio degli altri, mentre chi invece è meno comunicativo sarà meno disturbato dal comparire di questi beni condivisi. C’è anche da considerare che ogni edificio o costruzione, se si vuole che resti, deve essere sistemato e mantenuto, perchè la pioggia cade e distrugge senza guardare in faccia nessuno.”
Death Stranding ha una componente online, e questo richiede un modo di comunicare. Come sai che non sarà uno strumento di ostilità, come tanti altri esempi attuali?
“Il mondo moderno ci ha abituato alla comunicazione diretta e immediata, ma pensate a qualcuno 100-200 anni fa, un soldato sul campo di battaglia: deve scrivere una lettera alla moglie, lettera che ci metterà qualche mese ad arrivare. Non può scrivere ciò che davvero vuole o ciò che pensa al momento, deve pensare alla moglie e al suo stato d’animo quando aprirà quella lettera. Anche in Death Stranding non c’è una comunicazione diretta e immediata, e spero che questo spinga le persone ad essere più empatiche e compassionevoli. La componente online diventa più un essere coinvolti insieme che il classico versus in cui ci si spara addosso.”
Troviamo particolarmente curiosa la meccanica dei “Like”.
“Lo paragono sempre all’affetto disinteressato, cioè all’amare senza volere o pretendere qualcosa indietro. Se costruisci qualcosa e hai piacere di condividerlo, devi fare in modo di ricevere più like possibili, e magari costruire quel rifugio vicino a una strada piuttosto che disperso su un colle. Creare e condividere sono due concetti profondamente interconnessi, in Death Stranding.”
Durante il gameplay abbiamo notato che si può mettere più di un “like”, e non c’è il pulsante “dislike”…
“Sì, era l’unica fusione possibile fra i way of life dell’Occidente e dell’Oriente: il primo like lo attribuite in automatico quando usate qualcosa lasciato da un altro utente, specchio dell’ospitalità disinteressata dei Giapponesi, ma poi potrete lasciare volontariamente un 2° like, questo invece per accontentare il concetto americano di ricompensare chi ci ha fornito un servizio.”
Hai sempre evitato di definire il mondo di gioco di Death Stranding come post-apocalittico. Perchè?
“Come avete potuto vedere anche nel gameplay, sembra più una Terra appena nata, non il mondo devastato a cui la letteratura e fimografia post-apocalittica ci hanno abituato. È un mondo in cui la pioggia, quando cade, scioglie tutto, eliminando le tracce labili del passaggio dell’uomo; fra questo e i BT, gli esseri umani si sono semiabituati ad abitare sottoterra, protetti, uno dei motivi per cui non verranno a salutarvi di persona quando consegnerete loro qualcosa.”
Cosa succede se Sam muore?
“In Death Stranding non esiste il game over vero e proprio, solo il fallimento della missione se magari il pacco che dovete consegnare va perso o viene distrutto. Piuttosto, alla morte di Sam si crea un cratere, presente solo nel mondo del giocatore e non condiviso, e Sam si ritrova nel “Nodo”, un mondo subacqueo nel quale vagare alla ricerca del proprio corpo. Nel primo trailer che avete visto, la spiaggia in cui sta Norman è la spiaggia oltre il Nodo.”
Com’è stato arrivare fino a qui?
“Difficile, onestamente. Sono diventato indipendente 3 anni e 9 mesi fa, avevo 53 anni, quasi età da pensionamento. La mia famiglia era preoccupata per me e mi era ostile perchè ero senza soldi, completamente da solo, e volevo mettere su uno studio e fare un gioco open world: la cosa brutta è che nessuno credeva ce l’avrei fatta, perfino le banche erano restie a concedermi un prestito. Poi, per fortuna, sono entrato in contatto con un dipendente della banca più importante del Giappone e mi ha aiutato ad ottenere il finanziamento.
In un gioco che parla di connessioni, scoprire che Death Stranding è stato reso possibile anche grazie all’impronta che Kojima (con Konami) ha lasciato sulla gente non può che scaldare il cuore.
Vedere un Mondo in un granello di sabbia,
E un Cielo in un fiore selvatico,
Tenere l’Infinito nel cavo della mano
E l’Eternità in un’ora