Medal of Honor – Anteprima Medal of Honor
Il multiplayer è ormai diventato immancabile nei FPS, e si sta affermando sempre più spesso anche in altri generi all’apparenza non adatti a questo tipo di modalità. La modalità single player del prodotto viene di frequente sacrificata per far spazio a componenti online sempre più complesse e qualitativamente ottime. Purtroppo, il grandissimo numero di sparatutto ha ormai rovinato il fattore novità e la conseguente sorpresa che colpisce il giocatore; questo accade soprattutto quando le stesse software house che hanno programmato il capostipite di una serie, si lanciano nello sviluppo di un seguito. Molto spesso, i capitoli successivamente prodotti mostrano diverse idee nuove, ma altrettante riciclate dagli episodi passati. Non fa eccezione il nuovo Medal of Honor, almeno nella sua parte multiplayer (l’unica che abbiamo provato).
Una cosa particolare che riguarda lo sviluppo del gioco è la scelta di EA di frazionare il lavoro di programmazione a due software house differenti: EA Los Angeles per il gioco in singolo e i ragazzi di DICE per la modalità multigiocatore. La decisione del produttore non è un caso isolato, è successo già diverse volte che un team si occupasse dell’online e un altro nell’offline: un esempio abbastanza recente è quello di Bioshock 2.
Due sviluppatori, un solo gioco
La beta multiplayer a cui abbiamo avuto accesso ci ha permesso di provare due modalità di gioco e altrettante mappe. Già dalle prime partite è facile intuire la volontà degli sviluppatori, che sembra abbiamo deciso di improntare al titolo un gameplay immediato, ma allo stesso tempo strategico e riflessivo. Il controllo delle armi è preciso ed efficace, e il rinculo di queste non è molto accentuato; ciò aumenta di sicuro la fruibilità del prodotto, che non necessita di molto tempo per essere padroneggiato a dovere. Allo stesso tempo, però, il gioco si presenta inizialmente ostico, dal momento che con pochi colpi ben assestati è possibile perdere la vita, soprattutto quando si incappa in partite con giocatori più esperti; cosa che, fortunatamente, non accade troppo spesso, e le partite risultano abbastanza equilibrate.
La prima modalità presente è un classico deathmatch a squadre, dove è possibile approcciarsi con uno stile di gioco aggressivo e poco ragionato, fatto di corse dietro al riparo più vicino, di inseguimenti per cercare di ammazzare il nemico scappato dietro l’angolo, di salti tra un palazzo e l’altro, di fortuite uccisioni e di morti causate da un cecchino ben appostato, che non aspettava altro che un passante da giustiziare a sangue freddo con un solo e preciso colpo alla nuca. Il gioco è ambientato in Afghanistan, e la mappa, che riproduce un quartiere quasi completamente distrutto in balia dei guerriglieri, appare perfettamente costruita e ottimamente caratterizzata. Il level design è buonissimo e permette diversi approcci di gioco, adatti a tutti i tipi di giocatori: dal cecchino, che può trovare buone postazioni sui palazzi, al soldato di fanteria, che, tra le strade e i vicoletti della cittadina, scova i posti migliori dove ripararsi dal fuoco nemico e attaccare indisturbato i nemici scoperti. La mappa è immensa, e assomiglia a quella del rivale Call of duty, non solo in dimensioni e conformazione, ma anche nel ritmo di gioco: serrato e votato principalmente all’azione tipica dei run&gun, dove si spara a tutto ciò che si muove, senza pensare troppo al resto.
Strategia o spregiudicatezza
La seconda modalità, invece, mostra il lato tattico del prodotto. Due squadre si danno battaglia, una offende e l’altra difende: gli attaccanti sono chiamati a distruggere un punto strategico della mappa, e i difensori devono cercare di respingere gli attacchi avversari in ogni modo. Una volta abbattuto l’obiettivo, o respinta la carica nemica, si passa a quello successivo, che in alcuni casi si presenta in zone della mappa ancora inesplorate, proprio come accadeva in Bad Company. Il compito dei giocatori è, fondamentalmente, quello di occupare zone nemiche, respingere gli avversari o distruggere le postazioni degli oppositori. Il tutto è ben orchestrato, e la mappa, fatta di spazi aperti molto ampi, è inframmezzata da baracche e colline. Il gioco di squadra la fa da padrona, e viene completamente abbandonato lo stile azzardato della modalità deathmatch: buttarsi a testa bassa in questi spazi privi di riparo è praticamente inutile, se non vi è il giusto supporto dalle postazioni sopraelevate. Un marchio di fabbrica di Bad Company ritorna anche in qui: l’utilizzo dei mezzi. Sfortunatamente era presente solo un carro armato da guidare, ma ci è bastato per apprezzare gli spunti tattici derivati dallo sfruttamento di questi veicoli. L’ambientazione costruita riprende una zona desertica, caratterizzata da un risicato numero di costruzioni e diversi ripari naturali; la mappa è organizzata in modo da creare una zona adatta ai difensori e una dedicata agli attaccanti, e tra le due c’è una vallata divisoria. Anche qui il level design è ottimo, ma si sente pesantemente la somiglianza con l’ultimo titolo firmato DICE; ciò non giova di certo a Medal of Honor, che rischia di diventare un gioco senza personalità, simile a Bad Company e allo stesso Call of duty.
Oltre al tipo di gameplay, l’ultima opera firmata EA eredita da Battlefield anche il sistema di crescita del personaggio, bastato sul punteggio ottenuto tramite le uccisioni. Con l’aumentare dei punti ottenuti, si ottengono potenziamenti da utilizzare per migliorare le armi, o cambiare equipaggiamento; quest’ultimo, almeno inizialmente, è davvero scarso, e richiede necessariamente accessori che migliorino le armi: mirini più precisi, caricatori extra, eccetera. I fucili, i mitra e le pistole sono ben ricreate e molto belle da vedere, con uno stile moderno ma non futuristico. Ciò che purtroppo non ci ha convinto è la differenziazione delle armi: sia nel rinculo, che nella potenza queste risultano molto simili tra loro e, in alcuni casi, addirittura uguali anche nell’aspetto. Sotto questo punto di vista, gli sviluppatori avrebbero potuto migliorare il prodotto, che comparato a giochi concorrenti risulta molto più debole.
Motori a confronto
In apertura dicevamo che il gioco è sviluppato da due software house differenti, non solo quest’ultime sviluppano due tronconi opposti del prodotto: single player e multiplayer, ma utilizzano addirittura due motori grafici diversi: l’Unreal Engine 3, prodotto da Epic, per il single player, e il Frostbite 2.0, proprietario di DICE, per il multiplayer. Una scelta del genere può sembrare azzardata, dal momento che, essendo due motori grafici a se stanti, con potenzialità differenti, l’intero gioco potrebbe apparire incoerente nell’aspetto grafico. Però, grazie ad una scelta "azzardata" dei DICE, a conti fatti il Frostbite 2.0 è davvero molto simile all’Unreal Engine 3; questo perchè gli sviluppatori hanno eliminato la feature più importante e famosa del motore che muove Bad Company 2: la distruttibilità degli ambienti. I programmatori hanno ridotto le parti distruttibili a pochi elementi di contorno, come staccionate e frammenti di cemento. Da un lato ci sentiamo di lodare il lavoro svolto dal punto di vista grafico, che anche se sfrutta un motore differente dalla parte single player, a una prima occhiata l’impianto tecnico appare omogeneo, grazie a delle scelte coraggiose che appoggiamo pienamente; utilizzare lo stesso motore per sviluppare l’intero gioco (multiplayer compreso) ne avrebbe tuttavia giovato di certo la continuità visiva.
Nel complesso il gioco è molto piacevole da vedere, ma purtroppo non è tutto oro quel che luccica: le animazioni, anche se buone, sono riciclate di peso dal precedente lavoro DICE, e i modelli poligonali dei personaggi sono troppo spigolosi; critichiamo anche le animazioni durante una uccisione: il personaggio, ricevuto un colpo mortale, cade a terra come fosse un manichino, in maniera irrealistica e davvero antiestetica.
Considerazioni
Che DICE sia sinonimo di qualità nessuno lo mette in dubbio, e lo si vede anche dalla beta che abbiamo avuto modo di provare. Il problema è che il multiplayer di Medal of Honor è privo di carisma, nonostante sia ottimo sotto tutti i punti di vista. Sviluppare due giochi a distanza di così breve tempo, a nostro avviso, non è la scelta migliore; EA poteva affidare agli sviluppatori di Bad Company un lavoro più a lungo termine, visto che a meno di un anno di distanza, i videogiocatori non saranno intenzionati a prendere un gioco fotocopia, o quasi, di un altro. Il gameplay è frenetico e tattico al punto giusto, e risulta un giusto compromesso tra due acerrimi rivali: Battlefield e Call of duty. E proprio quest’ultimo è il difetto maggiore di cui soffre Medal of Honor, almeno nella sua parte multigiocatore.