[E3 2014]Lords of the Fallen, visto e provato
Veniamo al dunque, il vero cambiamento è che non solo è stato visto il gioco, ma l’abbiamo anche provato. Seguono qui le nostre impressioni.
Pentitevi (o no)
Se vi parliamo di un gioco d’azione con elementi ruolistici, pervarso da un’atmosfera macabra e piena di mostri che vi uccidono molto facilmente, cosa vi viene in mente? Ovviamente, Dark Souls. Le similitudini tra i due titoli sono effettivamente rilevanti: entrambi sono estremamente gameplay-centrici, e impongono una seria sfida al giocatore, poi se si muore si perdono i punti esperienza. Le differenze?Per quanto l’ultima volta Tomasz si sia sforzato di convincerci di come la storia sia un elemento secondario, dobbiamo ammettere di essere comunque rimasti attratti dal mondo di Lords of the Fallen, il quale ricalca un basso medioevo in cui la religione comanda i popoli, sprofondati nella paura della punizione divina, che infine è arrivata. Un antico dio esiliato dal mondo terreno, “the Fallen“, è ritornato per conquistare l’umanità con un esercito di creature mostruose, guidate dai suoi “Lords“. Avendo perso la fede, il clero ripone le sue speranze di salvezza in un eretico e reietto della società macchiatosi dei peggiori crimini, tale Harkyn, che per qualche ragione pare essere uno dei pochi individui in grado di contrastare l’armata. Ovviamente si tratta del protagonista.
Questa premessa fa carpire una seconda importante differenza: il personaggio è statico, non viene creato da zero, e pertanto gode di una maggiore caratterizzazione. Sebbene sia un gioco prevalentemente lineare, Lords of the Fallen prevede più di un finale, il cui esito dipenderà da quanto Harkyn (o meglio, il giocatore) abbia desiderio di redenzione verso la società che lo ha escluso, contrastando il male, o avvicinandosi ad esso vedendolo come più affine a lui.
Ruolismo Avere un unico protagonista non impedisce però di poterne modificare le caratteristiche e il gameplay. Premettiamo una cosa: essendo un gioco incentrato sul combattimento, gli sviluppatori non hanno permesso di distaccarsi dall’uso ricorrente del corpo a corpo, relegando le magie a uno strumento di supporto, rendendolo più The Witcher che Dark o Demon’s Souls. Al contempo, esistono tre diversi rami di magia (con cinque incantesimi per ognuno di essi) scelti all’inizio del gioco, e vanno tenuti fino alla fine. Ciò non si applica alle armi: a differenza di quanto anticipato l’anno passato, non ci saranno più limitazioni di classe, ed è possibile usarle come più si allinea ai propri gusti, anche se si fortificheranno o indeboliranno grazie alle caratteristiche del personaggio. Parlando di sviluppo, esso avviene tramite la raccolta di punti esperienza, che vengono persi in caso di morte. La variabile? Non spariscono se morite una seconda volta, ma più tempo passa prima del recupero più l’ammontare dei punti terminerà, ed è segnalato con un indicatore che si attiva nell’eventualità. Per “depositare” l’esperienza ci sono appositi luoghi sicuri dove si converte in punti abilità (spendibili in forza, agilità, intelligenza, fortuna) o magia (per potenziare gli incantesimi).
Preparatevi a morire
Veniamo finalmente al gioco vero e proprio. La demo era divisa in due scenari: in uno bisognava raggiungere la fine di un dungeon e abbattere il suo custode, facendosi strada tra vari nemici, mentre la seconda era lo scontro con un grosso boss. Andiamo con ordine: il livello esplorativo ci ha permesso di prendere nota del level design, dei quali apprezziamo la complessità multi-livellare, la non-linearità e l’inserimento di molti luoghi nascosti. L’impatto coi nemici è stato piuttosto impietoso: ci è voluto veramente poco per essere abbattuti, e più di un tentativo per avere confidenza coi controlli, che prevedono schivate, parate, la possibilità di impugnare le armi con una o due mani (impugnando o meno lo scudo), colpi veloci, caricati, rotolate, e pure qualche combo. Una volta presa la mano la musica cambia, e si iniziano ad apprezzare la differenza di approccio rispetto a Dark Souls. Uno dei risultati più palesi è il combattimento meno legnoso, grazie alla possibilità di interrompere le azioni. In altre parole, se si sta compiendo un attacco caricato, nulla impedisce di fermarsi e rotolare via, oppure bere una pozione.
Lo scontro col boss ha permesso di saggiare ancora meglio questo aspetto, dovendo affrontare un nemico molto grosso e non lento, che costringeva a cercare di aggirarlo senza essere troppo diretti e inflessibili sul momento dell’attacco. Inoltre, a differenza di molti giochi occidentali, esiste l’evoluzione dello scontro: più il boss perdeva salute (e pezzi di armatura), più diventava aggressivo, portando il giocatore ad adeguare la tattica (e l’arma) di conseguenza.
Spendiamo anche qualche parola sull’equipaggiamento: Lords of the Fallen prende ispirazione dagli hack’n’slash, rendendo i drop dei nemici casuali e limitando la presenza di oggetti unici, allo scopo di rendere l’esperienza più variabile quando il giocatore decide di ricominciare. Esiste anche un sistema di incantamento e crafting basato sugli elementi raccolti in giro, ma non abbiamo avuto modo di vederlo. Infine, sempre analogamente al genere citato prima, missioni e potenziamenti vari prendono luogo in una base, in questo caso il monastero, dove inizia il gioco.
Pulite i vostri peccati
Parlando dell’aspetto grafico, guardando gli screenshot e i video è piuttosto palese che si tratti di un gioco assolutamente dignitoso, tant’è vero che l’uscita è prevista solo su PC, Xbox One e PlayStation 4. La nostra prova è avvenuta su personal computer, nel quale esiste un buon grado di personalizzazione per adeguarlo a macchine più o meno recenti, e nel suo massimo livello si distingue di netto dalle console. Al di là delle differenze tecniche e di piattaforma, ciò che abbellisce veramente è il livello di dettaglio degli ambienti, il quale rende molto bene l’idea di medioevo decadente, e ancora di più di armi, armature e nemici. Ben riuscite anche le animazioni, molto fluide e verosimili.