Lies of P PROVATO | Gamescom 2023
Gamescom 2023, fra le tante altre cose, mi ha permesso di mettere le mani su Lies of P, sfatando dubbi e, forse, suggerendone altri.
Credo sia profondamente indicativo il fatto che in una sola Gamescom 2023 io e i miei colleghi presenti alla fiera ci si sia ritrovati a provare e poi a descrivere più di qualche Soulslike. È un genere che ha dato molto e che forse solo ora finalmente sta iniziando ad essere compreso e non solo (tentativamente) riprodotto.
Lies of P PROVATO | Gamescom 2023 ci regala un altro souls
C’è chi prende la formula tradizionale dei Souls e decide di tradirla, come Lords of the Fallen, c’è chi decide di localizzarla in un antico sud Italia, come Enotria, e poi c’è chi decide di prendere le regole e crearne una fusione ancora più profonda fra tradizione, in questo caso letteraria, dogmi e contesto narrativo e meccanico.
Pinocchio lo si conosce… o no?
Soprattutto per il pubblico italiano, magari di mie coetanee e coetanei, Pinocchio è una storia talmente radicata nella nostra infanzia e nella nostra memoria da essere riconosciuta quasi come imprescindibile all’iter di crescita di un bambino o di una bambina.
Detto questo, però, c’è anche la realizzazione, almeno da parte mia, ma sono sicuro anche da parte di alcuni di voi, che molti degli elementi di quella storia un po’ siano andati persi con il tempo, non tanto nei loro insegnamenti quanto nella più superficiale natura puramente narrativa che svolgevano quando li leggevamo da piccoli.
Lies of P come eredità evolutiva
Ecco, credo che in parte i Dark Souls originali e in parte anche il molto più recente Elden Ring, un po’ stiano svolgendo e debbano svolgere il ruolo delle storie che ci raccontavamo da piccoli, mondi e interazioni che, come ogni storia che sia degna di essere raccontata e ascoltata, forse sono più importanti per ciò che ci lasciano e per ciò che noi ne ricaviamo rispetto alla loro intrinseca identità, in questo caso ludica.
In questo contesto Lies of P è perfetta rappresentanza di un’eredità verso la quale la massima forma di rispetto è prenderne gli insegnamenti e farli propri, non il tentare di riprodurne il successo o la natura, il più delle volte cadendo in un quasi scontato fallimento.
Ti devo una premessa, qui come altrove
Come sempre è giusto fare una piccola introduzione non tanto al titolo ma il mio atteggiamento verso di esso nel momento in cui mi sono offerto per andare a provarlo alla Gamescom 2023.
L’interesse verso il titolo in me era già abbastanza alto al momento dell’annuncio, forse un po’ più per l’estetica vittoriana utopica che per il suo volersi riferire all’opera di Collodi, per me mai stata particolarmente gradita o, mio malgrado, compresa.
Quello che mi attirava del titolo, allo stesso modo in cui mi attraggono Lords of the Fallen ed Enotria, è la curiosità verso il modus ludendi che il team avrebbe deciso di perseguire con questo suo strano Soulslike tra burattini senza senno e un altro tramonto che dura un gioco intero.
Niente demo, solo questo hands on
Decisi quindi attivamente di non giocare la demo proprio per arrivare il più ignorante possibile ad un eventuale hands on o, nel peggiore dei casi, alla release del gioco completo. Beh, uscito dalla prova devo dire che le mie impressioni sono state molto buone, anche se non ottime.
Non avendo provato la demo ci potranno essere in questo testo prime impressioni che in realtà tu già hai avuto o con le quali magari non ti trovi d’accordo, ma come promesso ho intenzione di trattare questo contenuto hands on come la vera prima prova pubblica del titolo.
Ok, è ora di parlare davvero del gioco
Parto da una sensazione che ho avuto sin da subito: il personaggio è più pesante rispetto a quello che mi aspettavo. La figura di P infatti sembra esteticamente piuttosto leggera, dinamica, agile, ma pad alla mano rivela una pesantezza che non mi aspettavo ma che non per questo mi è sgradita. Su questo aspetto tornerò più tardi.
Columbia e la malattia del sangue
Un altro elemento di reazione immediata da parte mia è il senso di immersività verso l’environment. Molti, dato che fa prepotentemente parte del dizionario comune, più visivamente che meccanicamente, paragonavano l’urbis vittoriana location di gioco ad una sorta di Yarnham.
Nel mio provato e nel contesto del caldo chiarore di un tramonto di gioco che sembra sempre eluderci, la mia percezione primaria è stata quella di trovarmi in una Columbia colpita dalla malattia del sangue e non propriamente nella città che il cacciatore deve “purificare“. Se Bloodborne fosse ambientato a Columbia ho l’impressione che sarebbe davvero Lies of P.
Le prime botte, i primi cenni del combat system
Ovviamente il mio passivo godimento della città non poteva durare troppo, dato che siamo di fronte ad un soulslike, ed ecco quindi i primi nemici. Già dal primo nemico ho capito, o almeno così interpretato, che anche i nemici più semplici di Lies of P non sono da prendere sottogamba.
Serve infatti più di qualche colpo leggero o un paio di colpi caricati pesanti per abbattere il primo tipo di mob che l’hands on mi mette davanti. In una mossa che ho davvero apprezzato il gioco cambia subito le carte in tavola e mi presenta una variante di nemico esteticamente simile alla prima ma capace di colpirmi dalla distanza.
Leggibilità e distanze
Leggere le mosse corpo a corpo è quasi un istinto che ti si sviluppa autonomamente, dopo anni di Soulslike, ma applicare lo stesso guizzo da sistema nervoso autonomo a un colpo da distanza è onestamente stato inebriante, un po’ proprio per la distanza dal nemico, un po’ per l’ibridazione d’attacco che mi era fino a quel momento inaspettata.
Con il terzo nemico, una sorta di cameriera robotica prona a tre o quattro attacchi consecutivi, si ritorna un attimo sul binario, ma ecco di nuovo una palla curva con un nemico strisciante che, apparentemente abbattibile in pochi colpi, me ne richiama subito altri.
Immagina 5-6 automi striscianti, attivatisi dal tuo essertici avvicinato, ora pronti ad inseguirti in una sorta di lenta, inesorabile e vagamente inquietante danza fatta di corpi trascinati e urla pericolosamente a metà fra quelle di un bambino e quelle di un mostro. Evocativo, eh?
Completare l’antagonistico quadro un amico dotato di lanciafiamme e non uno ma due boss, tra i quali un’umana, primo stralcio biologico in una sequela fin troppo costituita da elementi meccanici malfunzionanti e automi non troppo consapevoli delle lì utopiche leggi della robotica.
Stile da vendere, sotto molti aspetti
Se l’aspetto meccanico dei nemici, almeno da come te l’ho descritto, potrebbe non restituire il senso di relativa freschezza che ho provato nell’affrontarli, devo invece sottolineare come il loro aspetto estetico (tanto dei nemici quanto della città che ospita loro e me) sia incredibilmente… costituito da stile. È una resa estetica assolutamente interessante.
È questa che forse rende più unico di quanto possa sembrare l’enemy design che il team di sviluppo ha esercitato e portato a schermo. Non sono portato ad esagerare, almeno quando scrivo, ma veramente ogni pixel di Lies of P ha stile, e il primo boss che ho affrontato, l’umano, ne è un ottimo, palese e violentissimo esempio.
Non parlo solo ma ANCHE delle movenze di combattimento stesse, una sorta di danza fra noi due spadaccini sottolineata solamente da una soundtrack dal giusto peso e le accuse mosse dall’umana verso di me i riguardi di una presunta sorella uccisa.
Idiosincrasie fra forma e funzione
Purtroppo è in questo contesto che inizia a insinuarsi dentro di me la sensazione di un combat system forse eccessivamente sbilanciato verso la pesantezza.
Ripeto, parte di questa sensazione potrebbe derivare dal mio non aver giocato la demo, ma, se a livello di comandi esso è piuttosto regolare (R1 colpo leggero, 2 X R1 colpo concatenato, R2 colpo pesante, R2 tenuto premuto = colpo pesante caricato) la sua applicazione visiva mi dà la sensazione che il funzionamento meccanico del protagonista non combaci perfettamente col suo aspetto estetico.
Dagli un dito, si prenderanno un braccio
Mi aspettavo una danza elegante, ma il tutto sembrava più una zuffa senza troppo ritmo (o con un ritmo che ancora non riconosco) e senza troppa grazia. Per pura curiosità verso la struttura di gioco, o meglio verso i ritmi e le sfumature dei verbi di gioco principali, quelli di combattimento, ho voluto sostituire immediatamente il mio braccio sinistro con una sorta di scudo.
Quello che davo per scontato era un tradizionale intervallo di tempo che, una volta compreso, mi avrebbe permesso di effettuare un parry, magari spingendo l’avversario a perdere l’equilibrio. L’unico scudo che però mi veniva fornito, appunto legato ad un braccio sinistro specifico, premiava invece un suo utilizzo più statico e di attesa.
Premendo infatti il grilletto sinistro con un anticipo di circa un secondo o un secondo e mezzo era possibile rispondere all’attacco nemico con un’esplosione che non solo lo respingeva ma gli restituiva anche danno. È sicuramente una meccanica interessante, e che avrò modo di apprezzare nel titolo completo una volta arrivato nella sua interezza.
Convenzioni dissolte
Detto questo, però, lo status quo videoludico spesso si regge su convenzioni che, prima di tutto in modo visivo, sono punto di riferimento tra giochi dello stesso genere. Uno scudo in uno Soulslike è una sorta di stella polare alla quale chi gioca guarda come ad un inamovibile punto cardinale (si, Bloodborne è un eccezione).
E potrebbe essere proprio in questo che Lies of P dimostra maggiormente la sua voglia di prendere la tradizione dei Souls e rivisitarla in funzione dell’esperienza di gioco che vuole raccontare e non come riflesso delle convenzioni di Miyazaki e co.
UI, perché mi sei così ostile?
C’è poi un secondo elemento, questa volta di UI, che mi ha confuso non poco. Lo dico di nuovo, e mi spiace ripetermi, ma tendo a considerare un hands on senza troppe introduzioni come una Vertical Slice che “si deve spiegare da sola“, soprattutto se si parla di un soulslike.
In questo caso, durante il combattimento con entrambi i boss, si è manifestata una cornice bianca attorno alla barra della salute dei miei aggressivi nemici che per qualche secondo pulsava a intermittenza.
Non sembrava essere stata causata da un mio attacco particolarmente soddisfacente o il raggiungimento di una delle “tacche” della bara della Salute del boss, e, cosa fosse ancora peggiore, non avevo idea di come sfruttare la meccanica che quell’intermittenza mi stava troppo opacamente suggerendo.
Sedatavo???
Ho forse rotto la difesa del mio nemico? Il fatto che la spada della mia duellante umana si è rotta è forse associato a questo elemento UI? Boh, e questo boh mi infastidisce, ma procediamo.
Rimango dell’opinione, e voglio sottolinearla di nuovo, che se l’enemy design dei due boss che ho affrontato è simbolico del lavoro sull’estetica fatto dal team di sviluppo… preparati, perché siamo davanti a qualcosa di veramente memorabile.
Un sound design che fa invidia a titoli ben più blasonati
Altro straordinario lavoro è stato fatto sul sonoro: la soundtrack accompagna mestamente l’azione a schermo, ma il sound design è fatto talmente bene che, dopo un paio di colpi ricevuti, ero in grado di capire la fase d’attacco del mio nemico o quanto vicino fosse a sferrare il suo colpo anche senza averlo a schermo, solamente ascoltando i suoni che provenivano dal suo modello.
[Se vuoi un assaggio di soundtrack c’è uno spezzone davvero bellissimo a questo link]
“Lui si giraaaa, lo guardaaaa… F4”
C’è un altro aspetto nel quale il parallelismo con Bloodborne, tanto inevitabile quanto forse usato in modo troppo didascalico, viene meno: la gestione delle, presuppongo, quest secondarie. Se infatti uno dei quest giver non ha particolari rimandi, l’altra che ho incontrato è un accenno più che marcato alla donna dietro la finestra illuminata del soulslike Lovecraftiano di Miyazaki.
Detto questo, entrambi sono sembrati un po’ troppo verbosi nel loro assegnarmi un compito: i dialoghi erano comunque scritti bene, ma NPC così prolissi non sono forse il contraltare migliore ad un personaggio che, almeno nella mia prova e forse in pieno rispetto della tradizione dei soulslike, non proferisce mai parola.
Interessantemente il canovaccio narrativo che sembra giacere DIETRO le quest che mi sono ritrovato a gestire erano particolarmente ispirate e interessanti: un umano che mi chiede di andare a recuperare gli averi di sua moglie morta poco distante? Volentieri. Ah, la moglie in realtà era un automa. Tutto regolare.
Concentricità quasi abbandonata
Non posso non spendere due parole sul level design in senso stretto, altro punto di distacco dal tracciato From. Lies of P in questo hands on si dimostra molto lineare, con le poche scorciatoie che, una volta sbloccate, non risultano sempre efficaci nel restituire quel senso di magica concatenazione concentrica che, ad esempio, lo stesso Bloodborne si avvicina a sublimare ad arte.
Il poco che ho visto dei livelli sembra fare vago accenno ad una maggiore tendenza, da parte del titolo, alla verticalità, elemento che, pur nel contesto della linearità che Lies of P sembra portare sul bavero con orgoglio, ha potenzialmente sviluppi interessanti in fatto di strategie a breve termine.
Mi aspettavo un Pinocchio leggermente più loquace
Ottimo contraltare a questa deviazione dal modus operandi soulsiano è invece il ruolo stesso del protagonista, e mi perdonerai l’ennesimo paragone ma è stato un hands on che richiama confronti ad uno specifico immaginario. In un’opera qualsiasi di Miyazaki, tolto forse Elden Ring, l’anonimità caratteriale del tuo alter ego fa letteralmente parte del gioco.
In un soulslike (o nei souls in generale) sei un Nessuno autoconvinto di essere centro di una profezia, ogni tua azione semplice accelerazione verso una destinazione di oscurità o rinascita, ogni tuo momento di agency nel mondo memento di un’ineluttabilità quasi fuori luogo in un videogioco in cui meccanicamente così tanto dipende dal tuo crescere e agire.
In chiave narrativa eri un ruolo, una maschera, e la coerenza del mondo derivava e rafforzava questa anonima intercambiabilità. Il protagonista di Lies of P è un personaggio specifico, con una specifica connotazione estetica, e vederlo vestire i panni di un anonimo e silente protagonista un po’ stona. Il suo nome è tecnicamente sulla copertina, no?
Una vertical slice manchevole, in alcuni tratti
L’hands on non mi ha dato cenni di un’ombra di personalità, lo scopo del viaggio del protagonista, moventi, desideri o assenza di essi. Il gioco completo probabilmente risolverà in modo naturale questa mia slogatura a livello di esperienza, ma in toto credo che una tranche di gioco così valida vada contestualizzata un po’ meglio anche e soprattutto nei suoi aspetti più spigolosi.
Purtroppo, ad esempio, non sapevo come usare il 90% dell’inventario, che mi era stato completamente sbloccato dai dev, immagino per permettermi di godermi meglio la prova. C’erano pozioni di cui non potevo capire la funzione, troppe braccia di ricambio da sperimentare, combo di else e spade che alteravano la percentuale di danno e ne modificano l’effetto “elementare” aggiuntivo…
È bello vedere che ci sono questi sistemi, ma è controproducente rovesciarmeli addosso senza troppi preamboli: la massima libertà d’inventario non ha significato in una tranche di gioco portata in una fiera e che chiaramente vuole “parlare di altro”, come ad esempio del combat system e dell’enemy design.
Fortunatamente una delle due braccia che ho provato, delle 10 circa sbloccate, è il braccio gancio, che mi avvicinava ai nemici più grossi, permettendomi anche un salto in alto con conseguente colpo caricato, e sembrava invece capace di avvicinare a me quelli più piccoli (non l’ho visto in azione, però, dato che l’ho usato solo con i boss).
Lies of P non ha nulla da dimostrare, a mio riguardo, in funzione di un design che si ispira alla tradizione soulslike ma non ha paura di discostarsene quando e quanto serve. Ci sono stati alcuni spigoli alla mia esperienza in Gamescom 2023, forse dovuti ad una vertical slice troppo chirurgica e non prona alla contestualizzazione delle sue meccaniche.
Dopo averci passato un’ora sono ancora più invogliato a perdermi nel gioco completo e a scoprire se gli aspetti che più mi hanno scalfito il flow avranno trovato naturale soluzione o se effettivamente sono spauracchi di alcune debolezze di game design più marcate.
Per il resto, se Lords of the Fallen è la personificazione del tradimento dei Souls (leggi la mia anteprima), Lies of P ne è decisamente l’erede, e si immerge nella consapevolezza che non esiste evoluzione senza rischi, altrimenti non è vera evoluzione.