Grand Theft Auto V – Grand Theft Auto V: il capolavoro di fine generazione?
Welcome to the Hotel California
Such a lovely place, dicevano gli Eagles nel ’76. E lo descrivevano come un posto dove puoi lasciare libera la stanza quando vuoi, ma non potrai andartene mai, frase ambigua che poi valse alla canzone, insieme ad altre cose, la sua sinistra fama. Los Santos è un po’ così, no? Una metropoli poliedrica, con le sue luci e le sue zone d’ombra, un posto dal quale non si può mai andar via davvero, un luogo dove si è liberi di essere tutto e fare tutto, nel rispetto delle regole o meno, purché si sia pronti ad accettarne le conseguenze. In un mondo così pieno di possibilità, ci viene offerto di gestire le vite di tre individui distinti, tre storie indipendenti e ricche di fascino, che non faranno che intersecarsi tra loro per dar vita ad una trama avvincente e di raro spessore, come mai si era visto prima in un capitolo della serie. Cosa ancora più intrigante, queste tre esistenze criminali andranno avanti senza di voi, in modo del tutto autogestito, quando ne abbandonate una per dedicarvi ad un’altra. Un espediente che ricorda molto le simulazioni di vita reale, stile The Sims, ma che risulta del tutto rivoluzionario, inserito in un contesto simile. Cosa farà Michael mentre siete intenti a rubare un’auto con Franklin? Dove lo ritroverete? Quali azioni folli e sconsiderate potrebbe compiere Trevor, mentre non siete lì a sorvegliarlo? Lo ritroverete vicino ad un mucchio di cadaveri o mentre piscia, fischiettando, in una lurida latrina chissà dove?
Una storyline tripartita, così come è stata concepita, ha diversi vantaggi. Il più evidente è che i tediosi tempi morti, onnipresenti in ogni GTA prima di questo, saranno del tutto eliminati. L’esperienza di gioco sarà più varia e immersiva; lo switching automatico, unito alla maestria scenica di Rockstar, renderà il tutto più simile ad una serie televisiva a tinte fosche, stile Brian De Palma. Per ridurre ulteriormente ogni attimo superfluo è stata eliminata un’altra storica e ricorrente caratteristica del franchise, la fase di inserimento nel nuovo habitat e l’addestramento progressivo del personaggio. Michael, Trevor e Franklin non sono i nuovi venuti, i forestieri appena giunti in un universo a loro sconosciuto; sono tre identità perfettamente radicate nella storia di Los Santos, vivono lì e sanno già come muoversi. Possono andare dove vogliono, non esiste una zona della mappa che sia loro preclusa e, per facilitare l’esplorazione, i tre vivono in tre punti diversi: Michael nella zona borghese vicino ai riflettori di Vinewood, Franklin a South Los Santos, la savana delle gang, e Trevor negli spartani anfratti di Blaine County. Sono già dei criminali provetti, quindi non ci sarà nessuno che dovrà addestrarli per renderli più feccia di quanto già non siano.
Inoltre, scegliere un personaggio piuttosto che l’altro non sarà un’azione dettata dalla sola simpatia, ma avrà anche una giustificazione tattica. I tre sono dotati di alcune abilità comuni, cioè basilari e uguali per tutti, che potranno essere sviluppate nel corso dell’esperienza e che terranno conto dei talenti di ognuno: furtività, volo, forza, stamina, capacità di guida ecc. Questo garantirà ad ogni personaggio la medesima possibilità d’interazione con l’ambiente di gioco, ma resta sempre più saggio assecondare la natura dello stesso anziché forzarlo a compiere azioni che un altro personaggio, sin dall’inizi della storia, potrebbe svolgere con molta più facilità. Perché trasformare Michael in un pilota, se Trevor, che lo è stato, è in grado di apprendere e migliorarsi più rapidamente? E così via. In aggiunta a questo, ognuno dei tre possiede un’abilità speciale, utilizzabile in alcuni frangenti solo dopo aver caricato la rispettiva barra, durante l’esperienza: Michael è in grado di sfruttare una sorta di Dead Eye, durante gli scontri a fuoco più pericolosi; Franklin è in grado di rallentare il tempo, alla guida di un auto, per eseguire curve strette e manovre particolari; Trevor può accedere ad una particolare modalità in cui infligge più danni e ne subisce di meno, oltre a poter utilizzare delle letali mosse corpo a corpo – ricordiamo che non è stata mostrata alcuna rissa o scazzottata, quindi si ignorano le capacità dei tre quando è necessario venire alle mani.
Le grandi rapine ci frutteranno un bel po’ di soldi, ma al di là dei colpi più riusciti, che comunque comportano dei costi e dei rischi, guadagnare non sarà così semplice e tutto avrà un prezzo, anche molto alto. È bene ricordare che Los Santos è una metropoli moderna, attanagliata dalla crisi; non ci sono sconti per nessuno e regna quel clima di indecisione e sfiducia che grava anche sul mondo reale. L’equipaggiamento generale per le rapine, l’armamento e i vari gadget correlati (giubbotti antiproiettile di vario tipo, munizioni, mirini, puntatori laser, caricatori extra ecc.), le proprietà e le abitazioni – che tornano alla ribalta, come ai tempi di Vice City – i garage, le piste d’atterraggio e i moli per le imbarcazioni, le attività commerciali, le personalizzazioni (taglio di capelli, vestiti): dovrete sudare per ogni singolo acquisto e guadagnarvi ogni centesimo speso. Tenete a mente che, nonostante il brioso ménage à trois, non vi sarà comunione di beni: ogni acquisto effettuato da un personaggio, di qualunque tipo esso sia, sarà legato a lui solo, sia per quanto concerne l’utilizzo che per quanto concerne ricavati e vantaggi – ad esempio, i benefici specifici legati alla tipologia di attività commerciale acquistata.
Dato che gestire tre realtà è già sin troppo complesso, le relazioni amorose sono state eliminate anch’esse. Vengono conservate, invece, le amicizie; la vostra intera cerchia di conoscenze è contattabile mediante smartphone – dal quale è anche possibile accedere ad internet ovunque siate – e starà a loro decidere se accompagnarvi nel vostro tempo libero o meno, non a voi l’onere di stabilire se accettare o declinare un loro appuntamento. Infine, per impedire che lo switching manuale divenga una facile scappatoia, Rockstar ha fatto in modo che quando si è attaccati, in punto di morte o ricercati dalla polizia, non sia possibile gravitare verso un altro compagno.
L’universo di gioco è un autentico miracolo del RAGE, rifinito e perfezionato, in combinazione con il ben noto Euphoria Engine e col Bullett. In questa unione risiede il segreto della perfezione, che ha fatto di Rockstar Games la miglior azienda sviluppatrice in fatto di mondi aperti, che eccellono per impatto visivo, naturalezza e verosimiglianza. Le strade appaiono quantomai affollate e dense di vitalità, con numerosissimi NPC che compiono azioni diverse ed articolate; è possibile notare, al mattino, i giardinieri che prendono il bus per andare al lavoro e poi rincontrarli, durante la giornata, mentre svolgono la propria mansione nella zona prestabilita. Gli animali che popolano l’area rurale, così come l’oceano e le sue profondità, sembrano provenire da un documentario comportamentale su Discovery Channel. La terraferma, vista dal cielo, risulta spettacolare come se fosse dipinta su tela, con una linea dell’orizzonte sempre più distante e dettagliata. La maniacale attenzione per i dettagli, come le ferite sulla pelle o il tettuccio automatico di una macchina che si richiude appena vi entrate, fanno sempre la differenza. E questa è solo una piccolissima parte delle sorprese che il mondo di GTA V potrebbe riservare, considerando che la demo non si è mai soffermata più di tanto sull’esplorazione degli ambienti.
Sappiamo però che ci saranno missioni casuali, come quelle in cui si imbatteva John Marston, anche se molto più approfondite, rispetto al popolare western, e adattate, di volta in volta, al personaggio in uso e al contesto. Ritornano anche gli sconosciuti, quei bizzarri individui, contrassegnati da un punto interrogativo, che avevano costituito una simpatica novità in GTA IV. I minigiochi sono tanti e ben strutturati: potete giocare a golf, su un campo con nove buche e con tanto di scelta delle mazze; potete giocare a tennis, potete fare yoga, cimentarvi nel triathlon, rapinare gli ATM, fare base-jumping, correre su moto, auto e quad. E si, potete andare a caccia, magari sperando di beccare davvero quel fantomatico bigfoot stavolta, o magari addirittura gli alieni, chissà; queste sono favole che ruotano solo attorno alle leggende, ai giochi che divengono tali.
La fisica dei veicoli, le dinamiche di guida, tutto è stato cambiato e si è guardato con attenzione a Midnight Club per trarre ispirazione. Il parco veicoli sarà il più nutrito di tutta la serie, così come quello delle armi, e con squillo cristallino di trombe, ritorna il tuning: serigrafie, sospensioni, iniettori, motore, tutto quel che occorre per tornare ad essere i paladini del pessimo gusto, della pacchianeria motorizzata.
C’è davvero di tutto in questo gioco, forse c’è troppo perché non vi sia anche qualche limite, ben celato da qualche parte. Infondo è solo una dimostrazione, uno show orchestrato. Il gioco è un’opera d’arte, la grafica è sbalorditiva, nonostante qualche incertezza e difettuccio qui è là – stiamo pur sempre parlando di current-gen e di una demo ricavata da una versione alpha. Tuttavia, quando è tutto troppo bello, deve esserci qualcosa che non va, anche se minore. La demo, ad esempio, appare meno convincente dei vari trailer. Eppure, i ragazzi del team tengono a precisare che anche i trailer sono ricavati da versioni del gioco per console, forse da versioni più avanzate di quella della demo, ma comunque versioni per PS3 e Xbox 360. Tutto tace per quanto riguarda PC e WiiU, così come per le piattaforme next-gen. Ad ogni modo, Rockstar ha ancora mesi per lavorare sul prodotto finale. A loro va eterna ed incondizionata fiducia.
Un GTA così non si è mai visto
D’accordo, le affermazioni sensazionaliste fanno parte del trito e ritrito iter pre-lancio di un qualsiasi gioco. Abbiamo lavorato duro, il miglior gioco mai prodotto, non vediamo l’ora che lo proviate e così via. Già detto, già sentito, nient’altro che un rito apotropaico e una banale autocelebrazione. È anche vero però che molto spesso queste frasi note vengono pronunciate, del tutto immeritatamente, addirittura per giochi a cadenza annuale. Ebbene, Rockstar ha impiegato perlomeno cinque anni – cinque anni e cinque mesi, considerando la release settembrina – per creare GTA V; un periodo di lavorazione del tutto inconcepibile per molte delle grandi aziende odierne. Pensate, ad esempio, cosa significherebbe avere due soli Assassin’s Creed per generazione. Del resto, i creatori del brand criminale più celebre di tutti i tempi, nonché il più divertente, ci hanno abituato alle lunghe attese, a una gestione seria e attenta dei loro prodotti, immune alle lusinghe del business. Il tempo viene ripagato con la qualità, la qualità col successo.
Va bene, si dirà, ma che cos’ha Rockstar dalla sua, a parte la cieca fiducia che possiamo riporre nel suo operato? Cos’ha questo gioco di tanto speciale? Potenzialmente ha tutto. Tutti gli ingredienti che servono a GTA V per soddisfare le aspettative, per essere il miglior Grand Theft Auto di sempre e il free-roaming game definitivo, come lo dipinge il team di sviluppo, sono lì sul piatto. GTA IV è solo un ricordo e l’unico termine di paragone possibile è quel tanto decantato San Andreas al quale Houser & Co. hanno voluto far ritorno, non solo geograficamente, per ritrovare qualcosa che forse era andato smarrito.
GTA V sarà il prodotto, non solo dell’estrema perizia e della padronanza tecnologica di cui si più disporre esclusivamente a fine generazione, quando ormai gli hardware non hanno apparentemente più nulla da dire, bensì anche dell’esperienza formatasi nell’arco di un’intero ciclo vitale di console: GTA IV, L.A. Noire, Red Dead Redemption, Midnight Club: Los Angeles, Max Payne 3, è come se tutti questi piccoli ottimi titoli concorressero alla creazione del capolavoro supremo, lo sforzo finale.
Esistono altri titoli, in grado di insidiare quella che sembra ormai una vittoria annunciata per la combriccola di ragazzotti di Los Santos? Forse Watch Dogs? In nome dell’arte, della più alta qualità, del divertimento, ce lo auguriamo vivamente.