Ghostwire: Tokyo – Anteprima
Abbiamo provato in anteprima la versione finale di Ghostwire: Tokyo. Benvenuti nel Paese dei Fantasmi.
Dopo uno sviluppo lungo e travagliato, GhostWire: Tokyo è finalmente pronto a fare il suo ingresso nella scena videoludica in un 2022 che continua a sfornare prodotti di grandissima qualità e interesse. Il titolo creato dalla mente di Shinji Mikami – apprezzatissimo per Resident Evil 4 e per i due The Evil Within – doveva essere un sequel diretto delle precedenti produzioni ma, a causa delle problematiche nello sviluppo, è cresciuto fino a diventare una nuova IP su cui il team di Tango Gameworks non ha mai nascosto di puntare molto e che si presenta ai nastri di partenza carico di aspettative. Lo abbiamo seguito molto, Ghostwire: Tokyo, lo abbiamo atteso e bramato, da buoni fan del lavoro di Mikami, aspettando questo momento a lungo, per poter vivere un’ esperienza che sulla carta ha tutti i requisiti per soddisfare gli appassionati del genere e non soltanto. Dopo aver passato oltre trenta ore in compagnia di Akito, KK, Rinko e degli altri volti principali della produzione, grazie a un codice PlayStation 5 fornitici dal publisher in super anteprima, siamo pronti a tirare le prime somme, in attesa di un giudizio complessivo che arriverà nel corso dei prossimi giorni.
Vogliamo però tranquillizzare i più scettici e dubbiosi: Ghostwire: Tokyo è un prodotto che sembra funzionare a dovere, al netto di alcune evidenti mancanze, e siamo sicuri che potrà fare felici sia tutti gli appassionati del lavoro di Mikami sia in generale chi è alla ricerca di un titolo diverso che fonde horror e GDR in maniera comunque sapiente e funzionale.
Ghostwire: Tokyo. Storie di fantasmi, ma non solo
Prima parlavamo del forte collegamento tra GhostWire: Tokyo e la serie The Evil Within, e non a caso. Sin dalle prime battute è infatti impossibile non avvertire la forte carica autoriale di Mikami nella struttura narrativa e tematica del gioco, al netto del piglio diverso sia in termini di ambientazioni e ispirazioni varie sia in termini più pratici. La storia assume però sin da subito contorni e situazioni – analogamente a The Evil Within – disastrosi, seppur su larga scala.
La città di Shibuya è infatti finita in un vortice di terrore e perdizione da cui sembra impossibile uscire. Gli abitanti sono spariti, volati via come polvere dai loro corpi lasciando dietro di sé soltanto gli indumenti, ricordi e tanta, tanta paura; una paura che si percepisce, si respira a ogni passo e diventa via via sempre più asfissiante. Intrappolata in una notte senza fine e in una misteriosa nebbia ingabbiante e terrificante, le strade della città ora pullulano di fantasmi, Oni, Yokai e demoni di ogni sorta e al centro della storia c’è la figura di Akito, un giovane che rimane coinvolto nelle fasi iniziali della vicenda in maniera diretta, finendo col vivere un contatto con colui che sembra celarsi dietro ai misteriosi eventi, il temibile Hannya. Per ragioni che non vogliamo in alcun modo svelarli in questa sede, il temibile nemico, famoso per la sua maschera da Oni, ha infranto il confine tra il mondo umano e quello spiritico, intrappolando così la città in una realtà spaventosa e minacciosa.
Il fine ultimo di Hannya, però, passa per Akito e più precisamente per ciò a lui più caro, ed è proprio questo il motivo che segna l’inizio dello scontro tra i due, con quest’ultimo desideroso sì di debellare la spettrale minaccia ma soprattutto di salvare la sua famiglia. Un po’ come in The Evil Within, infatti, in qualche modo la mente e le energie interiori delle persone hanno un ruolo centrale nella storia, e lo si scopre proprio progredendo con il racconto, il quale si mantiene sempre su livelli interessanti, senza però mai brillare particolarmente dal punto di vista della genialità o dell’originalità ma risulta comunque sempre di buon livello, grazie soprattutto alle forti influenze tematiche figlie del bagaglio smisurato da cui attinge. In questo contesto si affaccia anche un character design di ottimo livello.
Oltre ad Akito, che ci è parso in realtà abbastanza anonimo come figura, mosso da intenzioni tutto sommato scontate e poco originali, a convincerci sono i volti secondari, tra cui spiccano senza dubbio KK, lo spettro che possiede Akito e gli dona i poteri, così come i suoi “soci” Rinko e il misterioso e strampalato Ed. Tutti loro possiedono un background narrativo interessante, ben curato e sfaccettato e risultano, paradossalmente, ben più in grado di coinvolgere il giocatore e di farlo empatizzare con loro, proprio grazie a una qualità nella scrittura – anche se non sempre super originale – studiata in maniera certosina. I dialoghi, mai invasivi, che ampliano la storia, sono infatti gestiti in modo tale da accompagnare il giocatore verso un punto e l’altro della storia in maniera leggera ma piacevole, con cutscene spesso e volentieri spettacolari e che rubano la scena.
La grande fortuna di Ghostwire: Tokyo è anche quella di attingere a un immaginario smisurato da un punto di vista dell’iconografia e delle influenze esterne. Avanzando nella storia, e soprattutto dedicando tempo alle tante Missioni secondarie (davvero tante, fidatevi!) entrerete in contatto con un mondo ricco e smisurato, le cui storie e la cui linea narrativa vanno ben oltre quella principale e, anzi, si estendono attraverso un insieme di storie, drammi e rivelazioni difficili da quantificare. Ghostwire: Tokyo è un viaggio all’interno di una cultura, e per quanto la mano di Mikami e le sue perversioni si avvertano nel design di alcune situazioni e creature, è chiaro che vuole lavorare all’interno di un panorama ben delineato, e tutto ci sembra funzionare molto bene.
Combat system e progressione di Ghostwire: Tokyo
A livello di gameplay, Ghostwire: Tokyo è un prodotto che si divide un po’ a metà, finendo per manifestare una natura sia volutamente carica di tanti buoni spunti innovativi e mai banali sia però molto tradizionale, che si avverte in particolar modo nella gestione della mappa di gioco della città e soprattutto nella gestione della progressione nelle attività. La città di Shibuya, nella sua sepolcrale solitudine è diventata il teatro involontario di un’infinità di pericoli, in cui persino gli spiriti, quelli buoni, sono alla completa mercé di entità malevole di ogni sorta. Spietate creature provenienti dalla cultura esoterica nipponica e non soltanto pullulano per le strade, rendendo ogni singolo spostamento del nostro alter ego, il giovane Akito, una vera e propria lotta per la sopravvivenza.
Sin dalle primissime battute ma in maniera sempre più decisa man mano che si avanza nella storia e si sbloccano nuove zone, Ghostwire: Tokyo metterà continuamente alla prova il giocatore, chiamato a difendersi da un numero e da una tipologia di creature sempre più minacciose e difficili da affrontare. Grazie a quella che definiremmo, per citare il buon Solaire di Dark Souls, una “jolly cooperation” con KK, uno spirito che sembra avere buone intenzioni e soprattutto deciso più che mai a sconfiggere l’esercito di Visitatori che affligge la città, il protagonista può avvalersi della Tessitura, una dinamica che consiste nell’attaccare con colpi d’energia spiritica le creature.
Tale tecnica si basa sull’utilizzo delle forze elementali, che si sbloccano man mano, avanzando con le missioni principali della storia. All’inizio Akito può utilizzare contro i nemici soltanto la Tessitura del Vento, un po’ quella principale per intenderci, la quale consente proprio nello sferrare contro i nemici sia dei colpi veloci sia potenti, quest’ultimi però che richiedono un tempo di caricamento che spesso e volentieri gli avversari non vi lasceranno. Man mano il giocatore sbloccherà anche gli altri elementi, tra cui spicca quello del Fuoco, che abbiamo reputato quello palesemente più “sgravo” e soprattutto quello più efficace contro la maggior parte delle creature.
Le forze elementali sono utilizzabili da Akito proprio come se fossero una sorta di arma da fuoco: tramite una gestualità molto credibile e ben curata, in cui il giovane sembra recitare una sorta di sutra e kanji vari, i colpi raggiungono gli spiriti nemici con un sistema di combattimento in verità però molto classico, in cui oltre ai colpi offensivi, Akito può bloccare le offensive attraverso la pressione di un tasto, con la possibilità di effettuare delle parate perfette che generano sfere di Etere, le munizioni del gioco. L’Etere è assimilabile sia colpendo alcuni oggetti ben contrassegnati sulla mappa sia dai nemici e in particolare utilizzando l’estrazione del Nucleo.
Questa feature consiste nello strappare fisicamente l’energia dal corpo dai visitatori, attraverso uno squarcio nell’addome che si crea dopo un certo numero di colpi subiti, che varia a seconda sia della Tessitura utilizzata sia a seconda della tipologia di Visitatore. L’estrazione del nucleo consente di rigenerare anche una parte di salute, e dunque il nostro consiglio è sempre quello di provare a finire i nemici sfruttando questa caratteristica. Oltre ai poteri metafisici, però, Akito può servirsi di amuleti vari, capaci di intrappolare e stordire i nemici, il cui impiego è diventato man mano sempre più importante e decisivo, soprattutto contro i nemici più agguerriti e in generale contro i gruppi di Visitatori più numerosi.
Questi ultimi si rendono decisamente più utili e, anzi, diventano fondamentali nelle sezioni solitaria: in alcuni momenti (pochi, finora) Akito si ritroverà separato da KK e di conseguenza non potrà fare affidamento sulle abilità sopracitate. In tal caso, l’utilizzo di amuleti, shuriken e soprattutto dell’Arco, l’unica vera e propria arma del gioco, diventa l’unico modo per poter portare a casa la pelle, seppur la curva di difficoltà in questa sezione diventi ovviamente più ripida. In generale, comunque, il combat system di Ghostwire: Tokyo ci è parso caratterizzato da una duplice faccia: spettacolare e pirotecnico da un lato ma troppo caotico dall’altro, in cui si evidenziano alcune difficoltà a gestire i vari poteri e i vari comandi, specialmente con più nemici a schermo e in generale per via di alcuni aspetti quale il lock dei nemici, che approfondiremo con più calma nel corso dei prossimi giorni.
Esplorazione e progressione, decisamente più ordinarie
Se da un punto di vista degli scontri e delle abilità il gioco prova, riuscendoci anche in parte, a portare su schermo una forza variazione sul tema, è quando si osservano elementi quali la progressione di Akito e in generale la gestione della struttura di gioco che Ghostwire: Tokyo si dimostra ben più ordinario e meno super stiloso di quanto si potrebbe immaginare. Proprio partendo dallo sviluppo delle abilità del giovane Akito è evidente quanto Tango abbia lavorato confinandosi in una sorta di comfort zone, in cui non possiamo segnalare punti di interesse particolarmente rivoluzionari o ispirati. Akito diventa più forte in maniera molto ordinaria, semplicemente livellando in uno skill tree piuttosto basilare e poco ampio. I rami di abilità finora sbloccati sono molto classici: uno è pensato per migliorare le capacità fisiche di Akito, che non si fermano al solo combattimento ma, anzi, si estendono anche alla capacità di quest’ultimo, ad esempio, di volare partendo però da luoghi sopraelevati e di scannerizzare l’ambiente circostante, entrambi molto utili in particolare per la fase esplorativa.
Queste due meccaniche possono essere potenziate proprio dall’albero delle attività, spendendo i punti totalizzati sia combattendo sia e soprattutto completando richieste e attività varie, specialmente quelle secondarie. Oltre alle capacità fisiche e alla dotazione utilizzabile da Akito, è chiaramente potenziabile anche la Tessitura, sia quella divisa per singolo elemento sia a livello generale. Con pochi step è possibile aumentare elementi quali il danno, la cadenza di fuoco e via dicendo, in un albero delle abilità in verità molto spoglio, la cui unica differenza con l’immaginario generale è data dalla presenza di alcuni step bloccati dalla necessità di acquisire un particolare item.
Si tratta nello specifico delle Magatama, simbolici amuleti che si ottengono completando alcune missioni secondarie, specialmente quelle legate ad alcuni particolari tipi di nemici. Nel complesso, comunque, non possiamo non nascondere un pizzico di delusione in tal senso, poiché avremmo gradito un pizzico di inventiva in più da Ghostwire: Tokyo, per quanto comunque la formula generale funzioni e non stoni mai, anche grazie a tanti spunti sicuramente interessanti e potenzialmente intriganti.
Un altro aspetto importante del gioco è quello legato alla gestione dalla mappa e la sua relativa densità ed estensione. In Ghostwire: Tokyo il giocatore può esplorare più o meno liberamente la mappa, che si è dimostrata di dimensioni tutto sommato giuste, quindi né dispersiva né piccola, caratterizzata da diversi punti di interesse. Per la mappa è infatti possibile, oltre che scontrarsi con i Visitatori, visitare negozi, accettare Missioni secondarie e trovare oggetti utili, quali note e registratori, fondamentali per ampliare la conoscenza sul mondo di gioco e tanto altro ancora.
In verità però esplorare liberamente si basa fortemente sulla voglia di andare proprio ad accettare e a completare gli incarichi secondari, giacché la libera esplorazione è sì interessante e ripagante ma per certi versi è poco stimolante, seppur non diventi comunque utilissima ai fini dell’esperienza ludica. Proprio a tal proposito è giusto sottolineare che le missioni secondarie sono veramente tantissime e complessivamente ben strutturate che, per quanto in alcuni casi ci sono sembrate ripetitive, offrono comunque esperienze ludiche molto interessanti e diverse dal filone generale e soprattutto danno al giocatore sempre buone ricompense.
Una dinamica interessante è invece quella legata al ritrovamento e al salvataggio degli spiriti benevoli, sparsi un po’ per tutta la città. Tramite un amuleto chiamato Katashiro è infatti possibile assorbire questi spiriti e poi liberarli, facendoli uscire dalla città, attraverso un sistema che però vogliamo lasciarvi scoprire in autonomia.
Un’attività utilissima è senza dubbio quella relativa alla purificazione dei portali Tori, la cui presenza rende inaccessibili molte zone, contraddistinte da una nebbia bianca e che diventano accessibili proprio dopo averli purificati. Va detto che le nuove zone spesso nascondo santuari a cui rivolgere una preghiera, con effetti decisivi sulle abilità di Akito, nuovi nemici e nuovi punti di interesse e dunque l’esplorazione diventa comunque via via sempre più incentivante e in qualche modo necessaria.
Va detto che l’estensione della mappa aumenta mano a mano che i portali vengono purificati, e data la presenza di tanti nemici va da sé che raggiungere un luogo o un altro non è mai cosa semplice. Per fortuna, comunque, i portati Tori una volta liberati, possono fungere da punto di trasporto rapido, col fine di velocizzare pesantemente la navigazione all’interno del gioco. In generale, non ci siamo mai annoiati per le infestate strade della Tokyo di Tango e siamo sicuri che al netto di qualche mancanza, la formula saprà convincere la maggior parte dell’utenza.
L’Aspetto tecnico e artistico di Ghostwire: Tokyo
Da un punto di vista artistico e dell’ispirazione generale, Ghostwire: Tokyo si è rivelato – senza mezzi termini – un prodotto incredibilmente solido, capace di trasudare stile da ogni singolo poro. Da appassionati della cultura e soprattutto del folklore nipponico, ma di opere storiche appartenenti ad altri settori dell’industria dell’intrattenimento come Kakurembo, Tokyo Ghoul e altri ancora, passando per il più recente Alice in Borderland, non abbiamo potuto che apprezzare e anzi divinizzare l’aspetto audiovisivo della produzione, capace di lasciarci senza fiato in più di un’occasione. Ghostwire: Tokyo è infatti un trionfo sensoriale da un punto di vista della realizzazione artistica, un prodotto in cui si avverte fortemente quella carica infinita data dalla voglia degli sviluppatori giapponesi di attingere a piene mani dall’infinito bagaglio tematico che si cela dietro il mondo esoterico, fatto di storie, creature e soprattutto diramazioni di ogni sorta. E questi si avvertono e si percepiscono tutti, sin dalle primissime battute. Durante il nostro primo contatto ci siamo imbattuti in creature quali i Nurikabe, degli spiriti intrappolati e diventati tutt’uno con i muri, ma abbiamo anche avuto la fortuna di poter sfruttare le ali dei misteriosi e affascinanti Tengu, che svolazzano per la desolata Tokyo, senza parlare dei tenerissimi Takumi, degli spiriti simili a volpi che vagano tra i fantasmi cercando di passare inosservati.
Oltre a queste entità innocue o comunque positive abbiamo però dovuto fare i conti soprattutto con una quantità smisurata di demoni, Yokai, Oni e tante altre creature, tutte caratterizzate da uno stile encomiabile e difficilmente dimenticabile. Basti pensare ad esempio alla terrificante Kuchisake, una donna vestita di bianco e con una maschera, con in mano un paio di gigantesche forbici, desiderosa più che mai di spazzare via l’esistenza sia di KK sia Akito. È proprio il design dei nemici che ci ha lasciato sensazioni molto positive, sia in termini di varietà sia proprio di qualità, che si è dimostrato un aspetto su cui – palesemente – il titolo sembra aver puntato molto.
I “Visitatori” come vengono chiamati gli spiriti che vagano per la città sono infatti realizzati in maniera sapiente, mixando in modo intelligente uno stile leggero e innovativo alla solidità di quelle basi di partenza di cui parlavamo poco sopra e ciò si avverte fortemente in ogni singola creatura. Abbiamo infatti amato il design tanto dei nemici ordinari, quali quella sorta di impiegati vestiti di tutto punto ma senza volto o dei giovani studenti senza testa, così come quello di Oni e alcuni boss, affascinanti e in grado di creare un perfetto connubio tra la tradizione e l’innovazione con risultati sorprendenti.
Questa beltà visiva viene affiancata da un comparto tecnico che invece non funziona allo stesso modo e che si macchia di alcune criticità anche importanti. Il primo aspetto a cui subito vogliamo dedicare il nostro tempo è quello che ci ha chiaramente lasciato di più l’amaro in bocca, ossia il frame-rate, un aspetto certamente cardine considerando anche la natura di un gioco che fa della dinamicità degli scontri e della verticalità nell’esplorazione il proprio punto di forza.
Prima di iniziare, va specificato che Ghoswtire Tokyo, almeno sulla carta, si preoccupa veramente di saziare diversi tipi di palato, offrendo ai giocatori una quantità soddisfacente di modalità grafiche, pensate per chi predilige sia il frame-rate sia la tecnica, ma anche per chi possiede strumenti più all’avanguardia e in grado di sfruttare al meglio il progresso tecnologico con cui le nuove produzioni si affacciano sul mercato.
Noi abbiamo chiaramente provato sia la modalità Prestazioni, che promette di stabilizzare il frame-rate sui 60fps, sia quella Prestazioni HFR, che prova a fare di meglio, sfruttando i pannelli più innovativi, con dei risultati decisamente sottotono. In entrambi i casi e con due tipologie di pannelli diversi, purtroppo, abbiamo dovuto appurare la presenza di numerosi scatti, cali di frame continui anche in situazioni tranquille e in generale un target di riferimento che non si avvicina mai veramente ai 60fps. A ciò si aggiungono altri problemi minori, come qualche texture in bassa risoluzione e alcuni elementi meno curati di altri, che però nella maggior parte dei casi risultano una discreta minoranza.
Per il resto, i ragazzi di Tango hanno svolto un ottimo lavoro, sulla gestione sia dei modelli poligonali sia dell’effettistica, sicuramente di primissimo livello. I giochi di luce, la pioggia battente, gli spettacolari particellari che si avvertono in particolare durante i tanti scontri sono infatti una vera e propria estasi sensoriale, e risultano nel complesso uno degli aspetti più positivi dell’intera produzione.
Molto buono è anche il sonoro: il doppiaggio originale giapponese è infatti semplicemente fuori scala e tutti gli attori, compresi quelli che prestano la voce ai tanti yokai sparsi per il mondo di gioco, hanno lavorato con una cura e una dedizione pazzesche, che si avvertono in ogni singolo dialogo e anche la OST ci è parsa molto a fuoco, con tracce sempre a tema e in grado di enfatizzare ogni scena sapientemente.
Valido, infine, il supporto al DualSense: i grilletti adattativi e il feedback aptico riescono a restituire bene la sensazione dei colpi sia quelli inflitti sia quelli subiti e anche la gestione dell’audio attraverso lo speaker funziona piuttosto bene.
Ghostwire: Tokyo è, fino a questo momento, una piacevole conferma. Il nuovo corso di Tango e Mikami ha tutte le carte in regola per un futuro roseo, per quanto alcune meccaniche troppo arretrate come quelle della progressione – banale e poco ispirata – e la gestione troppo vetusta della mappa di gioco e delle sue attività, avrebbero dovuto essere gestite diversamente. A ciò si aggiunge un comparto tecnico spaccato a metà: tanto stile e un’art direction da urlo da un lato ma anche tanti problemi tecnici dall’altro, con tempi di caricamento non esattamente brevissimi e noie relative al frame rate piuttosto frequenti, anche nella modalità Prestazioni. Per il resto, narrativamente parlando, il gioco ci ha fatto una buona impressione, soprattutto analizzando le storie secondarie e le derivazioni del mondo di gioco, ricco di fascino e di influenze tematiche e stilistiche che difficilmente passeranno in secondo momento. Peccato soltanto per il protagonista che, a dire il vero, ci è parso proprio l’anello debole della situazione, ma si tratta comunque del nostro gusto personale. In conclusione, dunque, siamo molto soddisfatti da quanto visto finora e siamo convinti che, al netto dei problemi sopracitati, questo progetto farà breccia nel cuore di tantissimi giocatori, sia quelli più affezionati sia i novizi.