Ghost in the Shell: Stand Alone Complex-First Assault Online – Hands On
Per tutti voi amanti dell’anime Ghost in the Shell, abbiamo una bella notizia: pochi giorni fa ci è stata data da Nexon e Star2com (che ringraziamo vivamente) la possibilità di provare in anteprima Ghost in the Shell: Stand Alone Complex-First Assault Online, il nuovo FPS basato sull’anime omonimo e che arriverà presto sui nostri PC. È stata una prova breve ma intensa e, dettaglio di non poca importanza, abbastanza divertente.
La prova si è svolta in compagnia di due degli sviluppatori che ci hanno spiegato una dopo l’altra le caratteristiche principali della loro nuova creatura. Il gioco è stato ispirato da una puntata precisa della prima stagione dell’anime, in cui la Section 9 viene ingiustamente accusata di tradimento e dovrà combattere per riscattare il proprio nome. L’intera esperienza di gioco è profondamente ispirata alla serie e l’attenzione per i dettagli è palpabile dall’accuratezza delle mappe, dai numerosi riferimenti e dai vari personaggi, le cui abilità si rifanno direttamente alla loro controparte animata.
Subito dopo aver avviato il gioco e fatto i vari tutorial, avremo la possibilità di scegliere il nostro personaggio tra un roster fatto di facce note per i fan della serie. Ogni personaggio ha delle abilità peculiari, come diventare invisibile, utilizzare una serie di razzi che spuntano da un braccio, vedere i nemici attraverso i muri, eccetera. Noi abbiamo scelto Makoto (ovviamente), la cui abilità è quella di diventare invisibile, o quasi. Curiosamente, ma nemmeno troppo, la nostra squadra era composta quasi solamente da varie Makoto. Prima di iniziare la prova, ci è stata svelata una delle feature più divertenti del gioco: indipendentemente da quale personaggio prenderemo, i nostri avversari ci vedranno come un soldato generico e non avranno idea di quale personaggio avranno di fronte, non finché non sarà troppo tardi, probabilmente.
La prova si è svolta in tre partite, ognuna in una modalità e mappa diversa: Team Deathmatch, Terminal Conquest e Plant the Bomb. Niente di troppo innovativo per quanto riguarda le modalità, ma ci è stato promesso che ne saranno aggiunte altre nel corso della fase di early access che arriverà prossimamente. Cosa invece ci è piaciuto è stata l’atmosfera durante le partite, molto immersiva grazie a mappe sicuramente molto familiari per chiunque abbia confidenza con Ghost in the Shell. Ma non solo per questo: Ogni mappa è ben studiata e presenta diversi punti di vantaggio per chi sa cercarli. Prendiamo ad esempio la mappa che abbiamo provato nella prima modalità, il Team Deathmatch: nonostante fosse solo un cerchio, lo sviluppo verticale della mappa la rendeva molto profonda da un punto di vista strategico. Prendere possesso delle zone più elevate offriva un’ottima visuale su quasi metà mappa, che però essendo abbastanza piccola, rendeva questi punti strategici molto contesi e non un angolo di paradiso per i camper. Il nostro team ha vinto questa partita (con una buona prova di chi scrive questo articolo), e alla fine del match siamo stati portati sulla schermata delle ricompense. Qui ci viene riassunto il nostro andamento durante la partita, ci vengono assegnati punti esperienza sia per il personaggio sia per la proficency con il loadout utilizzato. Livellare entrambe le cose serve a sbloccare nuovi oggetti per customizzare le nostre armi e il resto dell’inventario, ma di questo parleremo più avanti.
La seconda partita è stata su una mappa diversa, ispirata da un’altra puntata della serie. Terminal Conquest è semplicemente una modalità a obiettivi, in cui bisogna hackerare dei terminali per far spawnare un grosso mech che combatterà al nostro fianco. Niente di diverso dal solito, ma l’annessione del mech è una divertente aggiunta visto che oltre a farci correre come pazzi quando ci punta, offre altra profondità strategica. È infatti possibile hackerare il robottone per metterlo fuori uso e annullare il vantaggio conquistato dagli avversari. Farlo però è un’impresa tutt’altro che facile visto che ci vuole del tempo e c’è bisogno che il resto del team lo tenga occupato e tenga lontani gli altri avversari da chi sta hackerando. Decidere di percorrere questa strada è quindi tutt’altro che scontato, anzi.
Durante questa partita (che abbiamo vinto ancora, anche se questa volta assolutamente non grazie a chi vi scrive), abbiamo notato diversi problemi di lag e importanti cali di FPS che però non abbiamo riscontrato né nella prima, né nella terza partita. Nemmeno gli sviluppatori sembravano preparati a questo inconveniente, quindi non doveva essere un problema frequente. In ogni caso il gioco è ancora in piena fase di sviluppo, e la stabilità e fluidità delle altre modalità ci fa ben sperare.
La terza modalità è stata forse la più divertente: la classica Plant the Bomb tanto cara ai vecchi fan di Call of Duty 4. Come è lecito aspettarsi, questa modalità ha fatto salire l’adrenalina e la tensione a livelli decisamente alti. La conversazione di otto persone in cui eravamo era diventata decisamente meno rumorosa e la concentrazione era palpabile. Per chi non sapesse di cosa stiamo parlando, Plant the Bomb è una modalità in cui un team deve piantare una bomba in uno di due punti specifici della mappa, e l’altro lo deve impedire. A rendere la cosa avvincente c’è il limite di una vita per giocatore. Una volta morti, tutto quello che possiamo fare è guardare giocare i nostri compagni (e insultarli quando vengono uccisi). La partita è iniziata decisamente male per il nostro team, che si è trovato indietro di quattro round persi su quattro. Per fortuna i round erano dodici, in cui i primi sei dovevamo attaccare, e gli altri sei difendere. Dopo un inizio drammatico però siamo riusciti a riportare la partita in parità, per poi vincerla in estremis nel finale (ancora una volta, non grazie a chi vi scrive). Anche sta volta la mappa era piena di punti caldi, snodi che, se controllati con sapienza, possono fare la differenza nel corso della partita. Questo titolo ci è stato presentato come un gioco molto tattico, dove il teamplay è una caratteristica fondamentale. Se nelle altre due modalità però ognuno ha giocato abbastanza da solo senza poi procurare effetti troppo negativi ai compagni, in questa terza partita la comunicazione è stata molto importante. Un po’ per la modalità, un po’ perché stavamo iniziando a prendere confidenza con i nostri personaggi, ma quest’ultimo match è stato, di molto, il più divertente.
Parliamo ora un po’ di customizzazione. Come detto, ogni personaggio ha le proprie abilità, perciò la scelta di quest’ultimo a inizio partita ha un’importanza elevata. A questo bisogna aggiungere un’altra delle caratteristiche più importanti del gioco: Le nostre abilità possono essere condivise con il resto del team, a patto di aver caricato una barra apposita e che i nostri compagni siano abbastanza vicini a noi. Se entrambi questi requisiti sono soddisfatti, ecco che possiamo condividere le nostre abilità con gli altri e allora avere un team vario che possa rispondere a ogni tipo di minaccia diventa fondamentale.
In ogni FPS che si rispetti bisogna avere una scelta di armi di un certo livello. First Assault ci ha soddisfatto molto da questo punto di vista, con una buona quantità di armi e un’eccellente scelta di modi in cui modificarle. Tra grip, mirini, muzzle, e tante altre cose, avremo davvero tanto su cui pensare prima di scegliere il loadout che preferiamo. Inizialmente però non avremo a disposizione granché ed è a questo che servono i punti esperienza che riceveremo alla fine di ogni partita: per sbloccare sempre più oggetti e slot con cui potenziare il nostro inventario.
Tutto bello quindi per quanto riguarda il gameplay. Ma la tecnica? Beh qui forse First Assault mostra delle incertezze: la grafica dà la sensazione di essere un po’ datata. Se fosse uscito qualche anno prima probabilmente sarebbe degna di un titolo tripla A. Oggi risulta abbastanza comune. Non è necessariamente un aspetto negativo però, visto che se da una parte questa grafica non fa urlare al miracolo, dall’altra è decisamente leggera e non richiede computer particolarmente potenti per far girare il gioco in modo più che eccellente. E al resto ci pensa l’ottimo lavoro di richiami alla serie e dettagli che ci fa dimenticare le incertezze visive. Anche per quanto riguarda la stabilità ci possiamo ritenere soddisfatti, con FPS stabili per quasi tutta la durata della prova, il che, considerato lo stato di sviluppo, è abbastanza incoraggiante.
Siamo rimasti abbastanza soddisfatti da questa prova di Ghost in the Shell: Stand Alone Complex-First Assault Online. Il titolo si presenta come un FPS abbastanza classico per quanto riguarda le modalità di gioco, ma ha diverse piccole innovazioni che lo potrebbero rendere interessante per giocatori di shooter vecchi e nuovi. E poi stiamo parlando di Ghost in the Shell: tutti coloro che amano questa serie non possono che fremere dalla voglia di mettere le mani su un gioco che, a nostro modo di vedere, ha un buon futuro davanti a sé.