Follia – Dear Father: Provato – Gamescom 2019
L’altro volto del gaming varsaviano
Si parla di nuovo di anteprime, di nuovo dalla Gamescom 2019, ma stavolta in chiave horror, grazie a un hands-on di Follia – Dear Father, creatura dello studio napoletano Real Game Machine.
È nel booth di Destructive Creations che la fiera coloniese si mostra in uno dei suoi aspetti “meno” mainstream, quello che per sua stessa natura fa leva sulla più primordiale delle emozioni che l’essere umano conosca: la paura. Secondo una suddivisione piuttosto sommaria, ma non per questo incorretta, del genere, i titoli horror tendono a dividersi fra chi si affida ai cosiddetti jumpscares (quelli che regalano un sussulto di paura) e chi invece mira a tormentare la psiche del giocatore, con meccanismi ben più complessi di un facile spavento. Se dovessimo attribuire Follia – Dear Father a una di queste due categorie, sarebbe decisamente la prima, nonostante l’ambientazione universitaria che aveva il potenziale di essere qualcosa “di più”. Nella demo da noi provata, il protagonista, Marcus Pitt, si ritrova a dover correre al proprio campus per una strana chiamata ricevuta dai genitori, professori presso la struttura.
Una volta arrivato, l’orrore non tarda a farsi vivo, immergendo lui e noi in una soffocante estraniazione che traccia incancellabili squarci sul sottile velo di sicurezza che fino a poco prima i corridoi della scuola erano in grado di offrire. Ciò che è successo non è chiaro, né come uscirne: la demo non ci mostra infatti i momenti tra la telefonata iniziale e il nostro arrivo al campus, solo il terrore e i sanguinolenti corpi che sono lì ad accoglierci.
Il buio non è il nostro unico nemico, ma è sicuramente quello che più ci rallenta nell’esplorazione e nella ricerca di una via di fuga, tanto che avremo non uno ma due oggetti a illuminarci il cammino: il classico accendino, che illumina poco e brevemente ma senza bisogno di essere riempito o altro, e la torcia, dall’illuminazione più potente ma anche più ostile nella richiesta di batterie per ricaricarla.
La developer che mi ha affiancato durante l’hands-on ha voluto chiarire un aspetto fin da subito: Follia – Dear Father ci mette al centro di un labirinto dopo l’altro, rispettando i classici stilemi del genere (la porta è chiusa e bisogna trovare la chiave, l’interruttore non funziona e dobbiamo riattivare la corrente, ecc.) senza stravolgerli o farne uscire qualcosa di più dell’ordinario. Più degna di nota è l’IA dei nemici: se nella maggior parte dei casi quelli con le creature sono incontri scriptati, ci sono diverse situazioni in cui invece i nostri tormentatori vagano senza meta per i corridoi, cercandoci e seguendoci.
Se è la paura di essere presi a motivare maggiormente la ricerca di un nascondiglio o di un modo di evitare lo sguardo di questa o quella creatura, nel malaugurato caso in cui fossimo trovati e attaccati calerebbe il sipario sulla feature forse meno giustificabile in un genere e contesto come questo: la necessità di una barra della salute. Sia chiaro, non è un elemento a schermo, anzi, la UI è talmente pulita da spingerci a gridare un enorme e sentito grazie, però è difficile trovare una ragione per la quale non lasciare quell’insta-kill che ha così tanto definito il genere.
C’è chiaramente da considerare il fatto che abbiamo giocato a difficoltà normale e che potrebbe essere una ragionata mossa per avvicinare al titolo chi magari è più dubbioso, ma rimane una forzatura che stona non solo in rapporto ad altri titoli ma anche con alcune caratteristiche interne di Follia – Dear Father che invece più rispettano i criteri da Survival Horror a cui sembrerebbe aspirare. La grafica fa bene il suo lavoro, e sia gli ambienti che i mostri sono abbastanza curati, pur senza brillare nel character design.
Tiriamo quindi le somme su questo titolo, che se da un lato aspira ai grandi del genere, dall’altro scivola in un paio di trovate user-friendly che fanno un po’ storcere il naso, soprattutto in confronto alla complessità del level design o al discreto senso di terrore costante che riesce ad incutere.
Lo terremo senz’altro d’occhio, perché ha una mano che può ancora vincere, se giocata al meglio.