Fire Emblem Engage – Provato
Abbiamo già potuto mettere le mani su Fire Emblem Engage. Ecco le nostre prime impressioni dopo le prime ore, in attesa della recensione.
Il 2023, e l’ho già ripetuto più volte, sarà un anno meraviglioso, e al contempo “devastante” sul fronte videoludico. Sì, meraviglioso, perché di uscite importanti ce ne sono veramente tante, talmente tante che ho seriamente paura per il mio portafogli e per il mio conto in banca e, come ormai da tradizione, a spalancare le porte a quello che si prospetta un anno veramente ricco per il medium videoludico, ci pensa proprio il mese di gennaio, capace di offrire già almeno un trittico di uscite di grande valore, capaci di focalizzare, in modi se vogliamo diversi, l’attenzione di una forte schiera di fan. Tra graditi ritorni e scommesse importanti, il mese di gennaio, però, per quanto mi riguarda significa quasi soltanto una cosa: Fire Emblem Engage.
Il nuovo capitolo “canonico” della saga è pronto a fare il suo debutto su Nintendo Switch, a distanza di ormai cinque anni da quella perla indimenticabile e mai dimenticata di Three Houses, che ancora oggi risulta uno dei migliori titoli della batteria di Nintendo per il genere in questione, almeno per il sottoscritto. Dopo aver provato il titolo per già un cospicuo numero di ore, sono pronto a offrirvi le mie primissime impressioni, chiaramente incatenate da embarghi e restrizioni varie, ma che spero possano ugualmente fornirvi una prima infarinatura su ciò che ci aspetterà a partire dal prossimo 20 gennaio.
Fire Emblem Engage: la compagnia degli anelli
Le mie prime impressioni sulla componente tematica e narrativa di Fire Emblem Engage sono genuinamente contrastanti. Da appassionato “di primo pelo” della serie, e soprattutto da giocatore che ha passato nel Fodlan centinaia e centinaia di ore, ho apprezzato soltanto in parte la scelta di tornare a quelle tinte fantasy se vogliamo un po’ più classiche e “romantiche”, che ha portato alla creazione di un comparto tematico per certi versi più tradizionale e meno “coraggioso” di quello visto nel capitolo precedente. Sia chiaro, non voglio dire che la trama sia meno interessante, meno intrigante o meno complessa, ma, più che altro per un gusto parecchio personale, ho apprezzato soltanto in parte la scelta di tornare ad affondare il coltello in radici più fantasy e meno “attuali”, cosa che, a mio modo di vedere, ha anche – inevitabilmente – esposto la narrazione al rischio di cadere più facilmente in cliché e stereotipi vari, tipici dei prodotti del genere. Questo però, come dicevo poco sopra, non vuole dire che il comparto narrativo e tematico di Engage sia da valutare in modo negativo, anzi. Per gli appassionati del genere e per gli amanti del fantasy più puro, l’immaginario creato da Intelligent Systems, sono sicuro, può fare la felicità di molti.
Tra draghi, regni in rovina, castelli sfarzosi e potenti e incredibili alleanze, il mondo di Elyos e le sue vicissitudini saprà intrattenere e appassionare, almeno stando a quanto visto finora. Nei panni di Alear il Drago Divino (si può scegliere soltanto il sesso dell’avatar, come per Three Houses), destato da un sonno millenario, il giocatore è chiamato a fronteggiare la nuova minaccia portata dal Drago Maligno, anch’egli risvegliatosi dopo la lunga battaglia avvenuta ormai mille anni prima dell’inizio degli eventi narrati nella storia. Da qui in avanti, i primi capitoli sono un susseguirsi di nozioni fondamentalmente esplorative, in cui il protagonista trova vecchi e nuovi alleati per sconfiggere la propria nemesi. Tra intrighi, tradimenti e alleanze a volte scontate e volte improbabili, la storia sembra proseguire su un binario ben chiaro e forse un tantino scontato, ma voglio valutare affondo il tutto una volta che avrò concluso l’avventura principale. Nel complesso, comunque, l’intreccio narrativo sembra anche funzionare, ma ho qualche dubbio sulla sua impronta “definitiva”. Ne riparleremo a tempo debito.
Direzione artistica e character design: il fantasy che ci piace
Lo ammetto: da appassionato di anime e manga giapponesi, Fire Emblem Engage sotto il profilo artistico e “visivo” mi sta facendo impazzire. In senso buono, ovviamente. A mia memoria, escludendo dalla classifica i poderosi traguardi raggiunti da Atlus con gli ultimi capitoli della serie Persona, faccio fatica a ricordare un character design tanto riuscito, soprattutto sotto il profilo della realizzazione tecnica. Attenzione, però: sarà che sono diventato vecchio e forse anche un po’ troppo pignolo, ma voglio sottolineare ancora una volta quanto detto poco sopra sul piano dell’ispirazione e dell’originalità, che anche sotto il profilo del cast e della realizzazione dei personaggi è tornata a vacillare un tantino, almeno per quanto mi riguarda. Senza girarci troppo intorno, un po’ tutti i protagonisti della vicenda, sia quelli facenti parte della schiera dei buoni sia i cattivi, mi hanno suscitato una sensazione di fondo di “già visto”, ma ciò non ha impedito comunque all’opera di lasciarmi a volte anche senza fiato per la bellezza e la cura dei modelli, soprattutto proprio sul piano estetico e realizzativo. D’altronde, il team sviluppo ci ha abituato molto bene negli ultimi anni, e Fire Emblem Engage non è da meno rispetto ai suoi predecessori e, anzi, riesce a risultare un gradino avanti.
Mi è piaciuta moltissimo la scelta di optare per una palettatura cromatica decisamente più sgargiante e accesa, in cui i colori più decisi, come il rosso, il giallo e il viola, sono praticamente il collante di un mondo di gioco che sembra voler smorzare, almeno visivamente parlando, l’oscurità di una realtà sempre più vicina all’inevitabile tracollo. Gli stessi nemici, del resto, sono spesso caratterizzati da una vena estetica esagerata, un’epifania cromatica che risplende ancor di più se vissuta sul display della Switch Oled, che riesce a replicare alla perfezione uno scenario che per certi versi sembra quasi disegnato ad hoc sul pannello. Tornando al discorso della derivazione, sul piano tematico e narrativo, in contrasto con quanto detto sulla realizzazione tecnica e artistica, ho avuto la sensazione che i personaggi siano un po’ eccessivamente stereotipati. Storie di vendetta, voglia di redenzione e l’atavico senso di giustizia sono temi molto ricorrenti, soprattutto per il genere, e da questo primo impatto avuto con Fire Emblem Engage sembrano anche essere una parte importante dell’ultima fatica di Intelligent System, in modi per certi versi anche un po’ troppo marcati. Nel complesso, però, la sensazione è quella che i puristi del genere ameranno un po’ tutto quel che Fire Emblem Engage ha da offrire anche in tal senso, ma forse una fetta di utenza, anche minore, potrebbe non apprezzare quella che sembra una minor “maturità” di fondo della storia e dei suoi interpreti, almeno se paragonata a quella di Three Houses.
Per tutto il resto, c’è il Somniel
L’aspetto su cui non ho alcun dubbio è sicuramente quello del gameplay e delle dinamiche di gioco. Sin da questo primissimo contatto, e posso garantirvi che ho già abbondantemente superato le 20 ore di gioco, Fire Emblem Engage è un prodotto dalla solidità e dall’identità videoludica ben precise, che riesce a divertire e appagare il giocatore come pochissime altre produzioni. Sul piano “pratico” degli scontri, la formula non si discosta più di tanto da quella che abbiamo già imparato ad amare e apprezzare nel corso degli anni, con un sistema di combattimento di tipo strategico basato su turni che fa da contorno a missioni con un obiettivo dinamico, che spesso e volentieri consistente nell’eliminare il boss o un determinato numero di avversari. Per quanto possa sembrare semplice, la realtà dei fatti, come i fan del brand ormai sapranno già, è completamente diversa. Fire Emblem Engage è un titolo che parte “piano” ma che sa diventare più complesso col passare delle ore, grazie alle sue forti ispirazioni ruolistiche, che risultano predominanti già dopo le prime ore di gioco. Per uscire in piedi da uno scontro è fondamentale gestire al meglio le proprie truppe, in un contesto videoludico che non si preoccupa più di tanto di prendere per mano il giocatore, per quanto comunque viene offerto un buon numero di tutorial per ognuna delle azioni possibili in battaglia. Conoscere a fondo il proprio team significa anche imparare le debolezze e le resistenze non soltanto a livello di elementi, ma anche quelle delle stesse armi bianche, che risultano più o meno efficaci di altre, in un sistema che ricorda un po’ quello della morra cinese. Ascia batte spada, arco batte ascia e via dicendo, in un sistema pensato per “disarmare” gli avversari ed esporli maggiormente agli attacchi, specialmente quelli “critici”, che sembra avere le potenzialità per offrire una maggiore profondità tattica e strategica agli scontri. Riflettere bene prima di ogni turno, dunque, sembra sempre la strada migliore, senza dimenticare che però c’è anche la possibilità di tornare indietro grazie a un particolare oggetto e correggere eventuali errori di valutazione. Occhio, però, che ogni cosa ha un costo, e io l’ho imparato mie spese.
Se il sistema di “combattimento” non mi ha lasciato alcun dubbio, qualche piccolo patema in più me l’ha suscitato la gestione degli Anelli e degli Emblemi, che rappresentano un po’ il cuore delle novità ludiche della produzione. Equipaggiando un Emblema è possibile far sì che l’avatar selezionato, non per forza il protagonista, possa unirsi (da qui il termine Engage) con lo spirito di un eroe del passato, che può donare al personaggio selezionato poteri speciali e attacchi unici, oltre a permettergli di ereditare Abilità molto utili per procedere con l’avventura. Tutto chiaro e bello? Certo, ma ho avuto l’impressione che questo sistema in alcuni momenti sia diventato una semplificazione eccessiva e, soprattutto, risulti un po’ anacronistico sul piano narrativo, ma questo aspetto lo approfondiremo in fase di recensione. Parlando di equipaggiamenti, anche in Fire Emblem Engage è presente un hub centrale in cui smanettare con armi e accessori, forgiare nuove armi, nuovi oggetti del vestiario e in generale gestire tutto il party, compresi l’utilizzo e la gestione degli anelli e degli Emblemi. Questo luogo è il Somniel, una sorta di dimensione “celeste” a cui ha accesso soltanto il Drago Divino e coloro che egli ritiene meritevoli. Ho passato, senza esagerare, il 50% del mio tempo proprio nel Somniel, tra una cucinata, un paio di flessioni e una carezza al misterioso essere nella grotta, che ho ribattezzato “Doraemon” e di cui non conosco ancora il suo effettivo ruolo nella storia. Nel Somniel è anche possibile assistere alle immancabili sequenze pensate per ampliare il Legame tra i vari membri del party che, come sempre, aumentando sblocca nuove dinamiche in combattimento quando si utilizzano gli avatar in questione. C’è tanto da fare, insomma, c’è un regno intero da salvare, ci sono alleanze da far crescere e altre da far nascere, e sono sicuro che il Somniel sarà anche per voi il posto in cui rilassarsi tra una fatica e l’altra, anche tra un’attività secondaria e una Scaramuccia, tutti elementi che fanno da contorno alla campagna principale e che, sono sicuro, faranno la felicità dei completisti e dei più affamati dell’azione sul campo.
In conclusione
Questo primo contatto con Fire Emblem Engage è fondamentalmente positivo. Tralasciando gli aspetti che mi hanno convinto di meno, è chiaro che il titolo funziona alla grande e tiene il giocatore incollato allo schermo, diventando quasi un “abitudine” giornaliera. Lo ripeto, mi è risultato difficile, per ora, legarmi più di tanto alla storia e ai suoi personaggi, ma ho comunque amato tutto quello che il titolo offre sul piano estetico e audiovisivo. Nel complesso, comunque, è chiaro che ci troviamo di fronte all’ennesimo prodotto vincente della batteria di Nintendo, ma per un giudizio definitivo vi rimando alla recensione completa.