El Hijo: Provato – Gamescom 2019
Una coming of age story dalle mille influenze ma con una sua precisa identità
Gamescom 2019 non è solo palcoscenico di grandi titoli tripla-A, ma anche una cassa di risonanza per le piccole realtà creative, una conchiglia da brandire per esprimersi, team e giochi che aspettano solo che si dia loro spazio e voce, come Honig Studios e il loro El Hijo.
Il numero di produttori e sviluppatori sotto THQ Nordic è a dir poco grande, e fra i tanti componenti di questa famiglia allargata c’è Handy Games: è grazie a loro e THQ che Gamesource ha potuto mettere mani (e cuore) su un titolo che rappresenta al meglio la realtà indie di un mondo spesso fin troppo assordato dal frastuono dei “titoloni” per riconoscere la melodia delle voci più bianche (e pure) del coro.
El Hijo ci vede vestire i panni di un bambino di 6 anni, abbandonato dalla madre in un monastero dopo l’incendio doloso della loro abitazione; all’addio della genitrice l’ultima cosa che il piccolo vuole fare è rimanere intrappolato fra le stringenti pareti del luogo di culto in cui si ritrova, da qui la sua fuga alla ricerca di chi lì l’ha abbandonato.
In El Hijo siamo davanti ad uno stealth game completamente non violento, immerso nelle calde tonalità della tradizione spaghetti-western. La scelta di aderire ad una meccanica basata sul flight piuttosto che sulla fight-response, a detta di Maria (Game Developer di Honig Studios), si è resa necessaria per coerenza con l’età del protagonista.
Non capisco i giochi che hanno per protagonisti dei ragazzi o dei bambini in grado di uccidere mostri o nemici. Quanto può essere forte un ragazzino di 6-7 anni? La reazione più logica per un bambino davanti ad un conflitto è quella di scappare o nascondersi, non certo combattere.
Non ha tutti i torti.
Il piccolo protagonista dovrà quindi sempre evitare il conflitto, cercando costantemente nuovi metodi per superare gli ostacoli e sgattaiolare oltre i suoi nemici; i livelli saranno 30, divisi in tre sezioni (Monastero, Deserto, Città dei Banditi), e quelli che abbiamo potuto giocare nel nostro hands-on ci hanno visto usare in modo creativo fionde, petardi fumogeni, e perfino giocattoli a carica manuale, per superarli al meglio; ogni “stage” può essere affrontato con quasi totale libertà, tanto che raramente ci siamo visti forzare la mano verso l’una o l’altra obbligatoria risoluzione.
Il gioco di Honig Studios è da lodare per la sua trasparente semplicità: nessuno dei 30 livelli introduce nuove feature, preferendo invece vertere sull’evoluzione e sul perfezionamento delle meccaniche base introdotte nel tutorial; il parallelismo con la storia del piccolo protagonista è innegabile, una coming of age attraverso la quale tutti devono (per fortuna o purtroppo) passare. Risulta molto piacevole anche l’inserimento di una modalità “vista dall’alto” che permette, come in altri giochi simili, di osservare movimenti e coni di visione dei nemici.
La potenza narrativa di El Hijo non è minimamente sminuita dalla totale assenza di dialoghi o parlato di qualsiasi tipo, riuscendo piuttosto a conveire emozioni e idee con un gesto o una melodia, senza perderne in efficacia. Vogliamo rassicurare i completisti: sì, ci sono dei “collezionabili” ma solo chi deciderà di esplorare maggiormente i livelli potrà ottenerli.
In chiusura, un plauso all’identità grafica del gioco: è stato questo l’aspetto cardine della genesi di El Hijo, da un lato omaggio al film “El Topo” del 1970, dall’altro chiaro richiamo alla tradizione spaghetti-western cinematografica (e non). Durante il nostro hands-on Maria si è perfino autodefinita “pixel-nazi”, proprio per la sua precisa immagine mentale di come El Hijo deve apparire e della forza con la quale reagisce alla differenza fra questa immagine e la sua effettiva realizzazione.
El Hijo è una piacevole sorpresa di questa Gamescom 2019, un titolo tanto videogame quanto metaforico figlio digitale di chi l’ha creato.
Parafrasando un potente mantra, sono sviluppatori come Honig Studios a concretizzare maggiormente l’idea di “crea il gioco che vuoi giocare”, ed è una vera fortuna esserne testimoni.