Back in Time – Dragon Age: Inquisition
Il recente annuncio di Dreadwolf fa tornare d'attualità Dragon Age: Inquisition.
Il recente annuncio di Dreadwolf, quarto episodio di Dragon Age, ci dà l’occasione giusta per parlare del prequel Inquisition (2014), che ormai ha quasi otto anni sul groppone. Abbastanza per Back in Time.
Diversamente da Dreadwolf, Dragon Age: Inquisition è un titolo cross-gen, uscito su PC, PlayStation 3 e 4, Xbox 360 e One (versione testata). La piattaforma di riferimento nello sviluppo è stata il PC, quindi la versione Windows si rivela senz’altro la migliore, proprio come accadde con Dragon Age: Origins. Ciò non toglie che esistano alcuni problemi, tanto che BioWare ha sfornato qualche patch, volta a limare numerose imperfezioni proprio della versione PC. Quelle per PlayStation 4 e Xbox One sono abbastanza vicine alla resa che ha il gioco su PC con dei settaggi buoni, ma non massimi; per fare un esempio, un dipendente di BioWare dichiarò che la resa grafica dell’acqua è decisamente migliore su PC (e in effetti su Xbox One non è una meraviglia… – N.d.R.).
Sul versante fluidità, il frame rate ci è parso abbastanza solido, ancorato ai 30 FPS quasi sempre. Esistono comunque delle differenze: la versione per Xbox One ha una risoluzione di 900p contro i 1080p su PlayStation 4, ma sembra poter contare su un frame rate leggermente migliore. Paradossalmente, comunque, i cali di fluidità più seri si riscontrano nelle cutscene, ma sembra che il problema sia legato soprattutto alle animazioni.
In luogo dell’Eclipse/Lycium Engine, che ha prodotto risultati controversi nei due episodi precedenti, BioWare ha deciso saggiamente di utilizzare il Frostbite 3, che si è adattato bene al genere WRPG. Il lavoro grafico è stato massiccio, e sicuramente ha dato i suoi frutti: Inquisition è ricco e spettacolare, grazie ai suoi ampi e dettagliati ambienti, che rendono un piacere l’esplorazione. Le zone sono notevolmente più grandi rispetto ai predecessori, anche se la struttura non è quella di un open world; piuttosto, tramite una world map si accede alle varie macroaree, diversificate per conformazione geografica e clima, anche se manca l’alternanza tra giorno e notte e tra fenomeni meteorologici. Oltre a Ferelden, questa volta si metterà piede anche su Orlais.
Come in tanti giochi grandi, anche in questo caso ci sono numerose imperfezioni più o meno piccole. Innanzitutto, ci sono tempi di caricamento abbastanza cospicui, anche se non frequentissimi; inoltre, c’è una discreta serie di glitch, che non ha nemmeno senso enumerare in questa sede. Cercateli su YouTube, ché alcuni meritano. Infine, bisogna constatare come alcuni elementi paiano vetusti: ci riferiamo, ad esempio, alla resa di pellicce e capelli, che non ci ha proprio deliziati.
BioWare resta fedele alla linea e ci regala qualche glitch anche nel comparto audio, soprattutto nella versione PC. Il doppiaggio inglese (assente quello italiano, presenti quelli francese e tedesco) è corposo – date un’occhiata alla lista “additional voices”! – e di qualità. Ovviamente i fan conosceranno già buona parte del voice cast, proveniente dal passato della serie: citiamo le voci di Leliana, Morrigan, Alistair e Cullen.
La colonna sonora passa dalle mani di Inon Zur, autore delle OST di entrambi i giochi precedenti, a quelle di Trevor Morris, un nome che non risulterà nuovo agli appassionati di serie TV: l’abbiamo sentito all’opera, infatti, nella tre fortunate stagioni di Vikings e in altri telefilm storici, come The Tudors e The Borgias. Morris si è rivelato assolutamente all’altezza della situazione, ma, vista la sua lunga esperienza, ciò non deve sorprenderci.
La trama di Dragon Age: Inquisition è collegata a quella dei capitoli precedenti. Le vicende iniziano un anno dopo la fine di Dragon Age II e hanno luogo ancora una volta nel continente di Thedas; inoltre, come già accennato sopra, molti vecchi personaggi faranno il loro ritorno. Per questi motivi è sconsigliabile al neofita iniziare ex abrupto con Inquisition, ma BioWare ci ha messo una pezza creando il Dragon Age Keep, che consente di ripercorrere rapidamente gli antefatti, nonché di importare nel gioco le numerose scelte demandate al giocatore, alcune delle quali in grado di influire sull’assetto del mondo. Questo, peraltro, è l’unico modo per i fan di vecchia data di importare le proprie scelte, dal momento che non si può più fare tramite i salvataggi.
Questa nuova avventura si apre con un evento molto drammatico, cioè l’apertura di un varco nel cielo (quella roba là che c’è in copertina – N.d.R.), dal quale giungono su Thedas malvagi demoni. Il nostro protagonista, personalizzabile a piacimento grazie a un editor soddisfacente, pare l’unico essere umano in grado di risolvere il problema, grazie ad un misterioso potere che esercita tramite la mano stregata. Attorno all’eroe si costituisce una fazione, nota come Inquisizione, che ha il duplice compito di ottenere la fiducia della popolazione e di chiudere la perniciosa breccia. Inizia così un intrico di alleanze, personali e tra fazioni, gestito principalmente dal giocatore, tramite numerose scelte che condurranno a finali diversificati: le varianti annunciate da BioWare sono una quarantina, ma noi non abbiamo ovviamente avuto modo di verificare.
Non è facile dare un giudizio sulla trama, soprattutto da parte di chi scrive, che non ha avuto l’opportunità di portare a termine gli episodi precedenti, però l’impressione è quella di una vicenda non particolarmente originale e, tutto sommato, non troppo coinvolgente, per quanto sufficientemente articolata. Il problema del coinvolgimento, peraltro, è anche connaturato alla struttura ludica, che consente ingenti divagazioni a causa delle numerosissime subquest. Non è difficile che trascorra una decina di ore senza alcun sostanziale progresso nella trama, già di suo non proprio speditissima, soprattutto nella prima metà. Un giudizio, positivo, invece, va espresso sui compagni, perlopiù ben caratterizzati, e sul lore, che premia il giocatore più solerte. Leggendo il leggibile ed esplorando l’esplorabile, si va ad arricchire il Codice, un grande volume contenente tutto lo scibile umano di Thedas: personaggi, leggende, mappe, bestiario… l’unica sezione un po’ smunta è il tutorial. La scrittura è complessivamente gradevole, anche se discontinua (ci hanno lavorato in molti) e forse non eccellente in Italiano (ho notato un “not at all” tradotto con “non tutti”… – NdR).
In numerosi RPG è impossibile illustrare in sede di recensione tutti i sistemi di cui si compone il gameplay, e Dragon Age: Inquisition non fa eccezione: fra combattimenti, crafting, skill tree, romance e chi più ne ha più ne metta, è davvero difficile essere esaustivi. Cerchiamo, dunque, di toccare solo gli aspetti più importanti.
Prima di tutto, è necessario un avvertimento: Inquisition non parte con il piede giusto. Le prime ore sono caratterizzate da una trama lenta e da una prima area, le Terre Centrali, tutt’altro che entusiasmante. Inoltre, il gran numero di sistemi e variabili manda un po’ in crisi il neofita. Oltre alle cose classiche, come livelli, equipaggiamenti e skill tree, gestiti attraverso menu non proprio eccellenti, si sommano altre meccaniche, soprattutto quelle legate alla gestione dei territori nel consiglio di guerra: manda un emissario qua, sblocca un territorio là, potenzia le truppe, le spie, punti inquisizione, punti potere… tanta confusione. Fortunatamente, però, dopo la prima dozzina di ore buona parte dei tasselli del puzzle va al suo posto, consentendo a tutti di godersi il gioco in santa pace, un gioco ricco e articolato, che dà più di molti altri una piacevole sensazione di progressione.
Ciò non significa che i difetti si correggano da sé, ovviamente. Per quanto ad alcuni aspetti si possa fare l’abitudine, e la progressione possa portare novità interessanti, Inquisition si mostra decisamente in difficoltà in una delle componenti più importanti di un RPG: i combattimenti. Come ho già detto, non potrò fare un paragone completo con i predecessori, perché non li ho testati approfonditamente, ma alcune osservazioni saranno comunque svolte. Innanzitutto, se il party è composto da quattro elementi, il giocatore deve potersi fidare degli alleati gestiti dall’IA, ma purtroppo così non è: i personaggi sono stupidi e il sistema di customizzazione del comportamento risulta oltremodo impoverito, soprattutto rispetto a Dragon Age: Origins.
Quantomeno, se proprio si desidera far fare qualcosa a un combattente, è possibile lo switch al volo del personaggio con la croce direzionale. A ciò si aggiunge una telecamera con zoom out limitato, l’eliminazione della coda di comandi e l’impossibilità di posizionare i compagni, sicché, in barba alla vastità delle aree, ci si trova spesso e volentieri tutti a combattere in un fazzoletto di terra di dieci metri per dieci. Da questo quadro emerge una notevole semplificazione – visibile anche in altri aspetti: pensiamo, ad esempio, all’eliminazione degli stat point – che rende più difficile giocare tatticamente. A onor del vero, esiste anche una modalità tattica non in tempo reale e con inquadratura dall’alto, ma non si può dire che sia stata realizzata a dovere, quindi più di qualcuno ne farà a meno. Una caratteristica particolare è l’assenza di healer veri e propri, aspetto questo che incentiva all’uso e alla distillazione di pozioni. Tutto sommato non ci sembra un difetto, ma comunque andava precisato.
Come detto per il gameplay, anche sul piano dei contenuti c’è talmente tanto materiale da non poter parlare di tutto. Ogni macroarea visitabile cela un’enorme quantità di segreti fra oggetti nascosti e subquest. Molte di queste appartengono alla categoria delle fetch quest: si tratta, insomma, di trovare un oggetto particolare, o più unità di uno stesso oggetto, e consegnarle a chi ci ha commissionato l’incarico. Anche le missioni che non appartengono a questa famiglia sono caratterizzate da uno svolgimento analogo. Pensiamo, ad esempio, alla ricerca di una persona dispersa: proprio come se si trattasse di una fetch quest, non ci resta che raggiungere sulla mappa il punto indicato e cercare nelle vicinanze, poi tornare indietro e riferire. Inoltre, la maggior parte degli incarichi si ripete in ogni macroarea: in tutte le zone ci sono numerosi Squarci nell’Oblio da chiudere, piante e minerali da raccogliere per gli approvvigionamenti, accampamenti da allestire e così via. Ciò non è un grande difetto, perché fa parte delle caratteristiche del genere RPG (o di parte di esso), e comunque si tratta di materiale opzionale, che peraltro aiuta a dare un senso e a strutturare l’esplorazione. Diciamo che può dare l’idea di trovarsi in un MMO. A ogni modo, esistono anche missioni più interessanti e articolate, soprattutto nella seconda parte del gioco.
In chiusura, parliamo anche brevemente del multiplayer (buggato anch’esso). Per la prima volta nella serie, Dragon Age: Inquisition offre una modalità cooperativa online per un massimo di quattro avventurieri, che costituisce una gradevole aggiunta ma che non va a cambiare gli equilibri di un prodotto che è essenzialmente un’esperienza single player, a cui il multi non è collegato. Il gioco è presto detto: si sceglie fra dodici classi, tre delle quali disponibili sin dall’inizio, e ci si mette a esplorare tre ampi livelli rigiocabili, costituiti da cinque diverse sezioni. Sono presenti microtransazioni per chi vuole tutto subito, mentre gli altri possono rimboccarsi le maniche e mettersi a lootare e grindare in compagnia.
Dragon Age: Inquisition rappresentò un deciso passo in avanti rispetto al suo deludente predecessore, che però era almeno due passi indietro rispetto all’ottimo capostipite della serie. Speriamo che Dreadwolf prosegua la risalita verso l’Olimpo dei WRPG.